24 Novembre 2024

Reyhaneh Jabbari, accusata dell’omicidio dell’uomo che ha tentato di stuprarla, è stata impiccata sabato scorso, dopo sette lunghi anni di prigionia. All’epoca dei fatti aveva solo 19 anni. Reyhaneh Jabbari è stata uccisa perchè si è rifiutata di negare di aver subito un tentativo di violenza sessuale. Reyhaneh è stata uccisa perchè uno stupro, in Iran, è  considerato ancora una “bravata”, perchè riceverlo, in fondo, vuol dire meritarselo.

Pubblichiamo di seguito il messaggio audio di Reyhaneh indirizzato alla madre, registrato lo scorso Aprile.


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“Cara Sholeh,

oggi ho capito che è arrivato il mio turno di affrontare la Qiṣāṣ [la legge iraniana del contrappasso]. Mi fa star male non aver saputo da te che ho raggiunto l’ultima pagina del libro della mia vita. Non pensi che avrei dovuto saperlo? Sai quanto mi vergogno che tu sia triste. Perché non hai colto l’opportunità di lasciarmi baciare le tue mani e quelle di papà?

Il mondo mi ha permesso di vivere per 19 anni. È in quella notte infausta, che avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città, dopo qualche giorno la polizia vi avrebbe portato nell’ufficio del medico legale per identificarlo, e lì avreste saputo anche che ero stata violentata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non abbiamo la loro ricchezza né il loro potere. Voi avreste proseguito la vostra vita tra sofferenza e vergogna, e alcuni anni dopo sareste morti per questa sofferenza.

Tuttavia, con quel colpo maledetto la storia ha preso una piega diversa. Il mio corpo non è stato gettato da una parte, ma prima nella tomba del carcere di Evin e dei suoi reparti di isolamento, e ora in quella di Shahr-e Ray. Ma tu confida nel destino e non lamentarti. Sai benissimo che la morte non è la fine della vita.

Mi hai insegnato che si viene al mondo per fare un’esperienza e imparare una lezione, e per ogni nuova nascita c’è una responsabilità sulle spalle di qualcuno. Ho imparato che a volte bisogna combattere. Me lo ricordo, quello che mi dicesti quando quell’uomo protestò contro quello che mi stava fustigando, ma l’aggressore lo colpì alla faccia e alla testa facendolo morire. Mi dicesti che in nome di un valore occorre perseverare anche a costo della vita.

Ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che bisognava essere una signora anche di fronte alle liti. Ricordi quanto sottolineasti l’importanza del nostro modo di comportarci? Ti sbagliavi. Quando è successo questo incidente, i miei insegnamenti non mi hanno aiutata. Presentarmi in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo e una criminale spietata. Non ho pianto. Non ho implorato pietà. Non mi sono afflitta, perché credevo nella legge.

Ma sono stata accusata di essere indifferente di fronte al reato. Tu lo sai, non ho neanche mai ucciso le zanzare, e gettavo via gli scarafaggi prendendoli per le antenne senza ucciderli. E ora sono diventata un’assassina con premeditazione. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un’inclinazione maschile. Il giudice non si è neppure posto il problema di considerare che al momento dell’incidente avevo le unghie lunghe e smaltate.

Ottimista colui che aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai considerato il fatto che non ho mani come quelle degli sportivi, specialmente dei pugili. E questo paese, che tu mi hai insegnato ad amare, non mi ha mai voluto. Nessuno mi ha sostenuto mentre piangevo durante l’interrogatorio e sentivo tutte quelle volgarità. Quando ho tolto da me l’ultimo segno di bellezza tagliandomi i capelli sono stata premiata: 11 giorni in isolamento.

Cara Sholeh, non piangere per quello che stai ascoltando. Fin dal primo giorno, quando nell’ufficio di polizia un vecchio agente scapolo mi fece male per le mie unghie, ho capito che non sono tempi per la bellezza. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e dello sguardo, e persino la bellezza di una voce.

Mia cara mamma, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono senza fine, e ora le consegno tutte a qualcuno in modo che ti siano consegnate quando sarà eseguita la mia condanna senza che tu sia presente o che tu neppure lo sappia. Ti lascio tantissimi miei manoscritti, come mia eredità.

Prima di morire, però, voglio qualcosa da te, qualcosa a cui dovrai provvedere tu al posto mio, con tutte le tue forze e in tutti i modi possibili. Questa è la sola cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che ti servirà tempo per questo. Quindi, ora ti dirò una parte delle mie volontà. Per favore, non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica loro le mie richieste. Non posso scriverla dalla prigione, una cosa del genere, perché la lettera non sarebbe approvata dal capo carceriere. E ora, ancora una volta, soffrirai per causa mia. Questa è la sola cosa per cui, se anche tu dovessi metterti a implorare, non ne sarei sconvolta – anche se ti ho detto molte volte di non supplicare per impedire la mia condanna.

Cara mamma, cara Sholeh, l’unica persona che mi è più cara della mia vita, io non voglio marcire sotto terra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventi polvere. Implora questo: che non appena sarò impiccata, venga disposto che il mio cuore, i miei reni, gli occhi, le ossa, e qualsiasi altra cosa che sia possibile trapiantare, vengano separate dal mio corpo e date a qualcuno che ne ha bisogno come dono. Non voglio che il paziente conosca il mio nome, che mi compri un mazzo di fiori e persino che preghi per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore: non voglio una bara su cui tu debba venire a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fa’ del tuo meglio per dimenticare questi giorni difficili. Dammi al vento, che possa portarmi via.

Il mondo non ci ama. Non mi voleva. E ora mi consegno a lui e accolgo la morte. Perché nel tribunale divino sarò io ad accusare gli investigatori, accuserò l’investigatore Shamlou, accuserò i giudici, e i giudici della Corte suprema del paese, che mi hanno colpita e non si sono astenuti dal molestarmi. Al tribunale del Creatore accuserò il dottor Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti quelli che – per ignoranza o con le loro bugie – mi hanno offesa e hanno calpestato i miei diritti, e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte la realtà è diversa da come appare.

Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo saremo io e te ad accusare, e gli altri gli accusati. E vediamo cosa vorrà Dio. Volevo abbracciarti fino al momento della mia morte. Ti voglio bene.

Reyhaneh”.

 

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Melissa Aglietti

Raccontarvi chi io sia non è semplice. Sono stata tante cose: sono stata la scure di Raskol'nikov, sono stata gli occhi vivi e intelligenti di Elizabeth Bennet, il vestito rosa di Kitty, lo sguardo rivolto al mare in tempesta di Sarah Woodruff. Sono essenzialmente tutti i libri che leggo.

Contatti: melissa.aglietti@gmail.com

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