L’Orchestra della Toscana ha debuttato ieri 1 dicembre al Teatro Guglielmi di Massa e c’è una sola parola per descrivere l’esito della serata: trionfo. Raramente nello storico teatro massese ho assistito a esecuzioni di così alto livello e che abbiano ricevuto un tale immediato ed universale consenso da parte degli spettatori.
Un programma denso ed impegnativo, certo, ma la professionalità dell’Orchestra regionale unita all’eccellente direzione del M° Dietrich Paredes ha regalato una splendida interpretazione di tre memorabili pagine di musica. Prima di proseguire, vorrei spendere due parole sul M° Paredes: violinista di chiara fama (a 11 anni ha vinto il Concorso Encuentro Internacional de Niños y Jóvenes Solistas Instrumentistas di Córdoba, Argentina a 17 ha suonato nella fila dei primi violini dell’Orchestra Sinfonica Simón Bolivar e a 22 è stato selezionato come primo violino dell’Orchestra Giovanile delle Americhe), ha intrapreso lo studio della direzione d’orchestra con José Antonio Abreu e si è imposto come uno dei più promettenti maestri emergenti del Venezuela dirigendo diverse orchestre sudamericane. In Italia ha diretto lo scorso anno l’Orchestra della Toscana al Cortona Mix Festival (con cui ha stretto una collaborazione per le produzioni della Stagione Concertistica 2015/2016) e l’Orchestra Giovanile Italiana. Paredes non ha un gesto particolarmente chiaro nel dirigere, ma sa comunicare egregiamente con l’orchestra (che, difatti, non ha alcun problema a seguirlo) e soprattutto possiede un gusto estremamente raffinato che gli consente – come nel caso di ieri sera – di interpretare le proprie esecuzioni in modo molto moderno, imponendo all’orchestra un suono pulito, aggressivo e accattivante ed è questo che ci vuole: non si può continuare a sentire certi direttori che interpretano Čajkovskij in modo svenevole, questa è musica che necessita di carattere, ed un carattere ben deciso.
È proprio con questa decisione ed “aggressività” che si è aperto il concerto con l’ouverture Egmont di Ludwig van Beethoven che, col senno di poi, è stata una concisa panoramica di come si sarebbe sviluppata l’intera soirée. Molto buona l’esecuzione di questa impetuosa composizione beethoveniana, ed intelligentemente sfruttata per catturare l’attenzione del pubblico. A questo breve episodio sinfonico è seguito il il Concerto per violino n.1 in sol minore di Max Bruch, in cui l’ospite d’onore è stato il giovane violinista armeno Sergey Khachatryan. Khachatryan mi ha colpito non poco, non solo per l’invidiabile bravura tecnica che difficilmente mi è capitato di osservare in violinisti della sua età, ma soprattutto per l’intensa espressività con cui interpreta ed il suono – cristallino, alato ma pieno – che riesce a ricavare dal proprio strumento. Il Concerto di Bruch è stato molto apprezzato dal pubblico (probabilmente più per l’esecuzione, sentita e di altissimo livello, del solista e dell’orchestra che per la bellezza del Concerto in sé) ed ha messo in luce la duttilità dell’interpretazione di Khachatryan, in grado di passare con nonchalance da momenti intensamente emotivi, ora quasi eroici, ora a passaggi brillanti e virtuosistici. Subito dopo lo sfavillante Finale del Concerto per violino, il M° Khachatryan ha eseguito un breve bis per il pubblico del Guglielmi, una canzone popolare armena. Nell’arco della semplice melodia popolare, Khachatryan ha eseguito una serie di effetti davvero affascinanti, passando da fitti tremoli sul ponticello (il vento d’Armenia?) ad argentei armonici che ricordavano da vicino il timbro del flauto. Non è stata una mera dimostrazione di abilità tecnica, è stata una dimostrazione impareggiabile di gusto ed espressività nell’esecuzione che ha coronato l’esecuzione di un concertista di altissimo livello.
La seconda parte della serata, la più attesa, era occupata dalla monumentale Sinfonia n.5 in mi minore di Pëtr Il’ič Čajkovskij, una delle più note ed amate del celebre compositore russo. La Sinfonia è articolata nei canonici quattro movimenti, ma la loro complessità è tale che sarebbe possibile definirli come quattro diversi episodi collegati da un filo rosso, ossia dal tema del destino espresso nell’Andante iniziale. Come già detto sopra, la qualità delle precedenti esecuzioni è stata davvero alta, ma è con questa Sinfonia che si è toccato l’akme. L’orchestra, sotto la guida del M° Parades, ha saputo condurre gli spettatori nell’eterogeneo universo sinfonico della Quinta, passando dal cupo tema del destino al tema vero e proprio del I Movimento (quasi una marcia), arrivando al II Movimento – Andante cantabile – dove situazioni intime e nostalgiche cedono il passo ad archi di melodia tesi e minacciosi che culminano con una tensione emotiva che quasi atterrisce, il III Movimento, brillante ed ironico, scioglie questa tensione e prepara lo spettatore al pirotecnico Finale. Studiando le prove d’orchestra di Leonard Bernstein ho imparato quanto gli ottoni siano determinanti nelle Sinfonie di Čajkovskij ed è per questo che rivolgo un complimento speciale alla sezione degli ottoni dell’Orchestra della Toscana che, in questa seconda parte del programma, hanno veramente dato il meglio di loro stessi, sostenendo la compagine orchestrale con una sonorità ora ricca e spavalda, ora nostalgica ed ovattata; ma l’esecuzione di questa Sinfonia è stata – da parte di tutta l’orchestra – un capolavoro, tanto che non mi soffermo nemmeno a segnalare quel tentennamento o quella intonazione calante perché una simile analisi, di fronte ad una simile esecuzione, è assolutamente inutile. Quale migliore conferma di ciò se non la calorosa reazione del pubblico, il cui applauso si è tanto prolungato da richiamare sul palco il direttore per ben quattro volte? Spero che questo debutto sia solo l’inizio di una lunga collaborazione tra l’Orchestra della Toscana ed il Teatro Guglielmi di Massa e che un simile riscontro (anche di incasso, dato che il teatro era pressoché gremito) spinga l’amministrazione comunale ad investire di più su questo settore.