Oggi la Camera all’unanimità, fatto più raro che mai, ha approvato la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta nei confronti delle donne e la violenza domestica siglata a Istanbul nel maggio del 2011, cosiddetta Convenzione di Istanbul. Uno strumento internazionale forte che vuol dare, almeno nelle intenzioni, un messaggio chiaro: lotta contro ogni sopruso perpetrato ai danni delle donne. Una Convenzione che ritengo lodevole, necessaria e importante, ma che come un’eventuale legge contro il femminicidio si risolva in un nulla di fatto. Vorrei a proposito parlare di un’eventuale legge sul femminicidio proprio perché dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul alcuni deputati hanno espresso la necessità di promulgare una legge apposita contro la violenza delle donne, inasprendo pene già presenti contro i colpevoli di tali aggressività e semplificando le risposte contro questi atti inaccettabili. Invocano, però, questa legge come se fosse la soluzione finale per le brutalità a cui molte donne devono sottostare, spesso arrivando a tragiche conclusioni. L’inutilità di una legge del genere è evidente agli occhi dei meno populisti e superficiali, non può essa giovare a nessuno, se non a qualche manuale di diritto che dovrà essere aggiornato. La legge è mera artificiosità umana arida e inutile quando non è accompagnata dai costumi e dall’educazione; si vuole, infatti, proprio in questo caso scaricare ogni responsabilità sulle spalle invisibili della legge, la quale non può cambiare le situazioni da un momento all’altro, non è una bacchetta magica, né tanto meno uno strumento rapido e immediato.
Immaginate un uomo in preda all’ira o che abitualmente picchi la propria compagna; cosa potrebbe fare la legge in quel caso? Niente.
Cosa può fare nel momento stesso in cui quell’uomo, maledetto, alza la mano per accumulare energia cinetica? Niente.
Cosa può fare nel momento in cui l’energia cinetica venga liberata violentemente sotto forma di pugno? Niente.
Cosa può fare nel momento in cui l’ambulanza a sirene spiegate cerca di salvare una vita ormai persa? In quel caso qualcosa potrebbe fare, ma sarebbe ineluttabilmente tardi, troppo tardi.
Non è questo quello per cui stiamo lottando, non è certo per punire l’aggressore, o almeno non è principalmente per questo, visto che già esistono delle leggi, ma è per salvare la vita di una persona indifesa, che spesso subisce quotidianamente angherie psicologiche e fisiche, trattata come un oggetto, spesso abbandonata a se stessa. Vi chiederete allora se la legge non può far nulla nel momento cruciale in cui dovrebbe principalmente intervenire, chi o cosa dovrebbe fermare il furioso e maledetto uomo? La domanda ha una risposta semplice, la cui applicazione però è assai più difficoltosa, soprattutto in un Paese che ritiene la cultura un semplice accessorio di cui è facile fare a meno.
Quindi qual è questa risposta?
E’ l’educazione la vera forza che potrebbe limitare, in maniera sicuramente più incisiva, lo stato attuale delle cose.
Basta messaggi subliminali, impliciti ed espliciti che ritraggono la donna come schiavizzata da un uomo, pubblicizzata esclusivamente come giocattolo sessuale, in cui spesso e volentieri vengono ritratte come prive di ragione. Bombardati con messaggi del genere molti uomini, forse deboli essi stessi, ma non per questo minimamente giustificabili, vengono circuiti e agiscono senza logica o pensiero. E’ doverosa un’educazione che sottolinei l’uguaglianza fra uomo e donna, dove quest’ultimo soggetto venga descritto non come alcuni uomini vorrebbero che fosse, ma come ella è in realtà. Prendiamo, ad esempio l’India, da tempo ormai le caste sono state abolite per legge, ma ancora nella tradizione, nella cultura, nell’educazione e nella consuetudine esistono e continueranno a esistere, anche in presenza di una legge che le ha abolite da decenni, finché la gente sarà istruita, educata e avrà una tradizione che ogni giorno gli ripete che le caste esistono e vanno rispettate così come sono. Nel rispetto profondo che io nutro per la donna vista non solo come corpo, ma anche come mente, intelligenza, sentimento, trovo degradante che possano essere trovate soluzioni così blande e poco determinanti per un cambio di direzione che abbia reali ripercussioni positive sulla società odierna. Inoltre ritengo, in ultima analisi, discriminatorio nei confronti degli uomini, che per quanto in netta minoranza vengono maltratti fisicamente e psicologicamente dalle compagnie, la discussione per una futura legge specifica riguardante le violenze sulle donne e l’omicidio delle stesse e la totale assenza di un dibattito che faccia promulgare una legge uguale in favore degli uomini maltrattati. Aggiungo che trovo curiosa la distinzione tra omicidio e femminicidio dettata appunto dalla creazione di quest’ultima parola, in controtendenza alle teorie egualitarie, quasi si volesse distinguere i due reati o comunque le due fattispecie concrete, quando a ben vedere un omicidio di una persona è sempre e comunque un omicidio, uomo e donna non c’è alcuna diversità.
Almeno che non si voglia così addurre che in teoria non c’è alcuna differenza, ma in sostanza alla fine qualche differenza c’è.
Matteo Taccola
Bell’articolo, uccide un pò l’ipocrisia dietro la vicenda del femminicidio.
Il problema è culturale e, come spesso succede in Italia, si tenta di risolverlo applicando una convenzione internazionale la quale, per carità, è sacrosanta ma ha evidenti profili di limitatezza.
In Italia vuoi per la tradizione vuoi per la realtà sociale è quasi un “obbligo”, soprattutto nelle piccole città, fidanzarsi presto e quando magari le strade alla fine del percorso di crescita si separano poi si è disabituati a stare da soli.
Non a caso spesso queste vicende colpiscono coppie in crisi, dove l’uomo reagisce in questo modo nel timore di un abbandono.
Si dovrebbe insegnare ai ragazzi a prestare maggiore accortezza e, soprattutto, si dovrebbe far loro capire che fino a quando non si trova la persona giusta stare soli è del tutto positivo e ti permette di capire come si sta al mondo.