La scorsa settimana ha attirato l’attenzione mediatica e politica non la Leopolda del Premier Matteo Renzi ma il salvataggio di quattro istituti di credito(Banca Etruria, Banca Marche e le Casse di Risparmio di Ferrara e Chieti) ad opera del Governo.
Le operazioni in questione sono state finanziate mediante il ricorso ad un nuovo metodo di derivazione europea chiamato “Bail In”, obbligatorio dal 1 Gennaio 2016 e fortemente voluto dalle istituzioni dell’Unione dopo le drammatiche crisi bancarie degli ultimi anni, caratterizzate da un sistematico ricorso ai soldi pubblici per ripagare le perdite private di singoli istituti di credito.
Il Bail In è astrattamente apprezzabile proprio per le sue finalità: spezzare questo nesso, quasi automatico, tra guadagni privati e perdite pubbliche tipico delle banche del Vecchio Continente, più inclini a comportamenti opportunistici pienamente rientranti nel concetto di Azzardo Morale per la filosofia adottata dai vari governi europei in merito (le banche sono “Too Big To Fail”, troppo rilevanti per assistere inermi a loro fallimenti, e per questo devono essere sempre salvate).
Dal 2016 gli istituti di credito in crisi dovranno ripianare le perdite ricorrendo ai soldi degli azionisti e ai titolari di obbligazioni, esposti ai rischi derivanti dalla sottoscrizione di questi investimenti, e l’esecutivo di Renzi ha deciso di anticipare questa soluzione applicandola al caso in questione.
I profili che emergono da questa vicenda sono tanti e hanno varia natura ma il vero punto è in realtà da rintracciare nell’illusione, diventata oggi quasi ossessione, per cui noi tutti siamo uguali.
Il “Bail In” è, come detto, da apprezzare per gli intenti ma risulta concretamente efficace solo in contesti dove ogni investitore sia, come minimo, a conoscenza della natura di questi strumenti economici, per non parlare della corrente situazione finanziaria del proprio istituto di credito.
La vicenda delle quattro banche italiane dimostra, al contrario, come determinate persone non abbiano né possano avere determinate competenze in merito e, su influenza di altri, possano letteralmente perdere i risparmi di una vita.
Centinaia di investitori lamentano infatti di essere stati truffati da impiegati di banca che conoscevano da una vita, abili nell’approfittarsi di questo legame fiduciario per far sottoscrivere a pensionati o categorie deboli contratti il cui contenuto finiva per essere volutamente oscuro in certi passaggi (si parla soprattutto del dissesto finanziario degli istituti di credito non segnalato in molti casi).
In ogni società queste situazioni estreme, di certo non riassumibili nella semplicistica formula “Questi risparmiatori sono speculatori al pari del Lupo di Wall Street”, devono essere tutelate perché è in gioco lo stesso principio di eguaglianza sostanziale per cui chi è più debole deve essere protetto più degli altri.
Attenzione, questo non significa demonizzare il mercato e l’autonomia privata, anzi, qui si tratta solo di avere la
consapevolezza e la sincerità di ammettere che non siamo tutti uguali e che si debba attribuire a qualcuno una tutela più intensa.
Questa esigenza è peraltro trasversale in ogni impostazione teorica , sia che uno si definisca liberista sia che abbia posizioni più socialdemocratiche: i fautori del Libero Mercato e dell’autodeterminazione sosterranno come in questi contesti si debba ammettere una sorta di azione risarcitoria individuale nei confronti del dipendente della banca o dell’amministratore per aver concluso un contratto sulla base di informazioni incomplete o false(una sorta di vizio della volontà quindi o l’individuazione di un interesse societario bancario oggettivo legato al buon nome leso dalla condotta degli amministratori), specularmente chi porrà l’accento su esigenze di Giustizia Sociale potrà sostenere la creazione di un apposito fondo di solidarietà per risarcire gli investitori a carico degli istituti di credito, introducendo nel contempo a livello normativo dei correttivi per la sottoscrizione di questi strumenti di investimento (ad esempio l’obbligatoria presenza di un legale in certi casi).
Oltre ad uno scollamento tra teoria e prassi, possiamo riscontrare un fenomeno dello stesso tipo tra la dimensione europea e quella di ogni singolo stato.
La direttiva europea che introduce il Bail In è poco efficace, anzi, rischia di essere deleteria verso i più deboli in un contesto come quello italiano dove chi dovrebbe esercitare i poteri di vigilanza lo fa poco (siamo tutti amici bellezza, è il capitalismo di relazione), permane una profonda ignoranza in merito al funzionamento di alcuni meccanismi finanziari e la politica tenta ancora di influenzare ogni sfera della vita umana, compresa quella privata; il Governo, d’altro canto, come si batte per raccontare le storie dei suoi successi, più storie che successi, dovrebbe agire maggiormente proprio su questi versanti dove siamo più deboli e dove la rappresentanza italiana in seno alle istituzioni europee appare evanescente.
Ma anche questa temo che sia una illusione.
Giulio Profeta
giulio.profeta@uninfonews.it