“La legge ferrea dell’oligarchia”: quando un partito fallisce? (PT 2)
Il partito che si dimentica della base e l’inevitabile strutturazione di un partito
Di fronte a questa domanda, la risposta più semplice sarebbe quella di dire che un partito fallisce quando non ottiene più voti. Invece, i motivi per cui un partito scompare da un panorama politico sono molto più complessi e si sviluppano in varie fasi. Partendo dal presupposto che un partito non durerà mai in eterno e che raggiungerà sempre delle circostanze che lo porteranno inesorabilmente a “morire”, il politologo Tedesco Robert Michels (1876-1936) scrisse la legge ferrea dell’oligarchia.
La legge ferrea dell’oligarchia, enunciata nel libro Sociologia del partito politico (1911), teorizza che:
“tutti i partiti politici si evolvano da una struttura democratica aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia”
Questa visione di Michels, che avvenne dopo aver osservato la Spd tra fine ottocento ed inizio novecento, lo portò ad osservare che un partito, quando nasce, si deve sempre proporre come qualcosa di rivoluzionario o di rottura, che porti ad un cambiamento radicale nella società. Questo annuncio di cambiamento dovrà convincere gli elettori che il loro voto sia utile e che porti ad un completo miglioramento nella società, ma, dopo l’elezioni, che succede? La legge prevede che il partito, inesorabilmente, col passare degli anni, si “imborghesirà” e che non penserà più a mettere in pratica il programma od a mantenere un rapporto con la base del partito. In poche parole, la necessità di specializzazione farà sì che un partito si debba strutturare in modo burocratico, creando dei capi sempre più svincolati dal controllo dei militanti di base. Con il tempo, chi occupa cariche dirigenziali si “imborghesisce” e si allontana “dalla base”, per diventare un’élite compatta dotata dello spirito di un nuovo corpo politico all’interno di un vecchio corpo politico. Nello stesso tempo, il partito tenderà a moderare i propri obiettivi: l’obiettivo fondamentale diventerà la sopravvivenza dell’organizzazione e non la realizzazione del suo programma. Questi fenomeni porteranno un partito alla lunga a scomparire.
I partiti politici hanno subito dal XVIII secolo un enorme ed impressionante trasformazione: sono nati come partito di notabili, dove i politici erano solamente persone dotate di risorse autonome e dove l’attività del partito era saltuaria, per poi arrivare a partiti di massa, in cui i politici sono persone che svolgono questa attività come un lavoro a tempo pieno e che permettono un attività permanente del partito. I partiti si sono così strutturati secondo la logica della sezione: l’obiettivo è quello di ampliare al massimo il numero degli iscritti e di educare le masse, insegnando ai membri una dottrina per prepararli all’attività politica. L’obiettivo dei partiti di massa diventa comunque quello di sopravvivere dal punto di vista finanziario attraverso le quote d’iscrizione e le donazioni dei membri del partito. Il prevalere degli interessi economici e della sopravvivenza del partito portano l’élite di questo a dotarsi di alcuni mezzi per proteggersi: vengono creati i giornali di partito ed aumentati a dismisura il numero dei dirigenti con la conseguenza letale di dimenticarsi della base del partito. Michels, riguardo a quest’ultime cose, scrisse:
“Quanto più si estende e si ramifica l’apparato ufficiale del partito, cioè quanto è maggiore il numero dei membri, quanto più si riempiono le sue casse, quanto più aumenta la stampa di partito, tanto più si riduce il potere popolare sostituito dall’onnipotenza dei comitati e delle commissioni”.
Per il bisogno di rispondere alla domanda politica interna ed esterna al partito, vengono inseriti nell’oligarchia nuovi membri. L’inserimento nell’oligarchia tende poi a trasformare il modo di pensare stesso dei dirigenti: chi occupa cariche di rilievo si “imborghesisce” e si allontana dalla massa dei lavoratori. Gli ex/neo lavoratori, cioè i funzionari stipendiati dal partito, si approprieranno di una routine che li farà ascendere sempre più al di sopra dei loro “mandanti”, così che infine perdono il senso di comunità con la classe che li ha espressi; ne deriva una “nuova classe” all’interno del partito stesso.
La gerarchia, la strutturazione e l’imborghesimento all’interno dei partiti, sono continuati fino ad adesso. Quale partito italiano non ha le caratteristiche fino ad ora elencate? Ogni partito si è dotato di un coordinamento interno parallelo alle forme di governo presenti in Italia (coordinamento nazionale, regionale, provinciale, comunale…) che a sua volta si divide i compiti in base a determinati sotto incarichi (responsabile regionale dell’economia, responsabile nazionale del welfare, etc).
I modi con cui si cerca di tenere attivi i militanti ed i propri iscritti possono essere diversi. Si può partire dalle primarie che coinvolgono tutti gli iscritti, oppure si può giungere a delle consultazioni su alcune decisioni che il partito a breve deve compiere. Questi stratagemmi possono funzionare o meno, ma il problema con cui i partiti si devono ora confrontare resta quello del calo degli iscritti e della totale dipendenza dai finanziamenti pubblici.
D’altra parte, quanti di voi se diventassero dei sindaci o dei deputati continuerebbero ancora a rapportarsi con la base? Quanti di voi non direbbero: “e a me che importa dei tuoi problemi: tanto ormai sono diventato un deputato, tanto ormai “ce l’ho fatta”…?Appuntamento fra 14 giorni dove parlerò della fine dei partiti politici.
@paologamba10
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