Sveglia presto, alle sei del mattino l’aria è gelida, e il grande buco nella parete del bagno certo non migliora le cose. Dovrebbe essere qualche forma di sistema di areazione, credo.
Con tutta la forza che trovo mi alzo dal letto e dalle quattro coperte buttate addosso per passare la notte, mi lavo come posso con le salviette umide come faccio ormai da due giorni. L’acqua è fredda, il getto della doccia, non fissata a muro e pavimento, è decisamente insufficiente ed ha uno strano odore. Il rubinetto è quasi più lungo del lavandino e mi impedisce di lavarmi come si deve.
Fa davvero freddo. Non credo di essere mai stata così sporca in vita mia, i capelli sono diventati paglia e indosso l’ultimo cambio pulito che mi è rimasto nella borsa, un vecchio paio di jeans e una maglietta che ho strappato la mattina cercando di togliere l’etichetta.
Prendo la borsa ed esco nel freddo grigio della mattina. Saluto Mariù, la mucca che pascola davanti alla nostra casa, e mi dirigo verso il centro del paese. La marshrutka per Tiblisi è quasi piena, aspettano l’ultimo uomo per partire, che sono io. Dentro cinque ragazzi con un accento irriconoscibile parlano tra di loro e mi fanno spazio con cortesia.
Immaginate lo stupore dei miei compagni di viaggio quando ho tirato fuori le salviette e ho cominciato a disinfettare il finestrino. Sono pur sempre una massaia terrona, e prima di poggiarmi a quel portellone sudicio, l’ho fatto brillare che “Case da incubo” levate proprio.
Non spiccichiamo parola per tutto il viaggio fino alla sosta in un chiosco lungo la strada. Mi offrono delle patatine e gentilmente si prestano a reggermi lo zaino mentre vado al bagno.
Ecco, qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo: i bagni della Georgia.
Avete visto Trainspotting? Quando Mark Renton in preda agli spasmi addominali si butta nel bagno peggiore di tutta la Scozia. Ho visto di peggio.
Eppure pensavo di averne visti di bagni terribili in giro per il mondo, ma non ero comunque preparata a tutto ciò. Buchi nel legno marcio, allagati da un tubo che dovrebbe fungere da scarico, ma che non fa altro che sparpagliare i liquami dappertutto. Porte che coprono fino al busto, dove sei costretta a “finire” con una donna davanti che ti osserva, arcigna.
Buchi. Intasati dal ’96 a occhio, in cui l’aria stagnante provoca conati, e i corpi stecchiti dei topi ti fanno maledire il giorno in cui non hai dato retta alla Farnesina e sei rimasta a casa.
Perché in alcune zone (tra le quali quelle toccate da me) imperversano ancora malaria e tubercolosi, in Georgia.
Di norma sono una persona abbastanza schizzinosa, se non c’è la stringente necessità non vedo perché dovrei sottopormi a un tale stress. Eppure quando sei fuori, e solo, c’è poco spazio per queste cazzate. Di certo non avrei potuto trattenerla per altre quattro ore. La cosa fondamentale in questi viaggi è portarvi dietro le salviette, e tanta tanta Amuchina.
Il tettuccio della marshrutka è rotto, l’aria fredda della montagna mi batte insistentemente sul collo. Ad un certo punto crollo stremata, per svegliarmi un’ora dopo, a bocca aperta, sulla spalla del mio compagno di posto.
“I’m so sorry! Really I..I must have fallen asleep”
“It doesn’t matter” dice lui ridendo “I’m Noam, where are you from?”
Le ultime due ore di viaggio volano parlando con questo fantastico ragazzo israeliano, e per due giorni Noam è stato il mio compagno di mangiate e bevute nelle sere a Tiblisi, una di quelle aperture sul mondo che ti permettono di capire come gira fuori dalla tua finestra.
Ma di giorno ognuno ha il suo viaggio, ognuno ha il suo percorso, ed io non volevo farmi distogliere dal mio.
Rimanendo di base a Tiblisi è possibile visitare le regioni (mkhare) del Kartili, della Mtskheta e del Kakheti.
Vedere tutto è impossibile, ma posso consigliarvi i più bei (a mio dire) itinerari di viaggio. Tornerò presto a vedere il monastero di Mtskheta e l’Imereti, magari anche le spiagge di Batumi, sul Mar Nero, ma qui posso parlarvi solo di quel che ho potuto vedere.
Da non perdere le antiche grotte di Uplistsikhe, “la fortezza del Signore” in lingua georgiana, situate vicino Gori, la patria di Stalin.
Ecco, qui ho avuto purtroppo una delle esperienze più brutte della mia vita.
Per una donna che viaggia da sola, per quanto detesti ammetterlo, l’esperienza del partire non potrà mai essere uguale a quella di un uomo. Perché per quanto tu possa stare attenta, prendere ogni precauzione immaginabile, potrà sempre esserci qualcosa ad andare storto. Soprattutto in contesti come questi, in cui gli uomini extraeuropei associano automaticamente nella loro mente il binomio europea-facile, puttana.
Ho preso la mattina un’auto privata con una famiglia di polacchi per assicurarmi la visita a Gori e alle cave. Con la marshrutka non avrei avuto la certezza di quando sarei partita e se mai sarei tornata in tempo per l’ultima corsa. Mi era sembrata un’idea molto furba: con soli €25 (contrattati e anche parecchio) avrei avuto un autista privato per tutto il giorno.
Arrivati alle cave scendiamo qualche ora per il trekking in questa antica città abbandonata estesa per circa 40 mila m², culla della cultura georgiana, casa delle antiche popolazioni pagane che fino al IV secolo popolavano la regione. Nelle “grotte” scavate nella roccia, collegate da cunicoli, sono ancora visibili i segni dei luoghi in cui venivano praticati i sacrifici umani.
Non immaginereste nemmeno quanto sia liberatorio saltellare sulle rocce rispolverando l’intero repertorio degli Articolo 31 archiviato da quando J-Ax ha abbandonato la Maria e si è dato alle droghe brutte. Non ha prezzo. Soprattutto per chi queste cose non le fa nemmeno quando è solo a casa e si imbarazza anche di se stesso.
Tranqi Funky a parte comunque, riesco a tornare prima dei polacchi alla base, e mi fumo una Pirveli con Shota, l’autista.
Mi racconta di essere un pugile famoso, di conoscere personalmente Kaladze, e di essere innamorato dell’Italia, in cui ha vissuto tanti anni. Inutile dire che avessi capito subito che fossero ‘na marea di fregnacce, ma non me ne sono preoccupata più di tanto. Il problema è cominciato a rendersi palese a Gori, quando la famigliola non aveva la minima intenzione di visitare il Museo di Stalin. Interdetta e dispiaciuta, prometto una visita breve.
“Time is not a problem, Fabri.” Mi dice lui viscido.
A Gori in fondo non c’è molto da vedere, è una piccola città a 30km dall’Ossezia del Sud, teatro ancora oggi di forti tensioni e di due violente guerre negli ultimi decenni.
Nel 2008 Gori è stata attaccata dai missili dell’aviazione russa, che hanno sganciato bombe a grappolo, causando morti e feriti tra la popolazione. Secondo Human Rights Watch i russi hanno saccheggiato e dato alle fiamme la città, facendo prigionieri e torturando civili.
Solo nel 2010 la statua di Stalin che ancora faceva bella mostra di sé davanti al municipio è stata tirata giù, nell’ambito del processo di “de-sovietizzzione” del Paese.
E dopo aver visto la sua casa, il mausoleo, e un tedesco con l’iPhone scattarsi un selfie sulla sua tomba, ho deciso di abbandonare Stalin ed andare a controllare la situazione fuori. Qualcosa non mi tornava. E indovinate un po’, come per un brutto gioco di prestigio 7 polacchi erano spariti nel bel mezzo del Kartili.
Non ci ho messo molto a capire che qualcosa di certo non andava, ma a quell’ora non avrei saputo come tornare in città. Probabilmente, col senno di poi, sono stata davvero un’idiota a salire in macchina, ma senza modestia posso dire di essermela gestita egregiamente.
Ogni ragazza indipendente impara sin da subito come scoraggiare le persone moleste. Nell’ora e mezza che mi separava da Tiblisi ho passato ogni minuto al telefono con quello che ho finto essere mio padre, informando l’autista del fatto che lui, militare, avesse preteso fin dal momento in cui ero salita in macchina foto, numero di targa e nome del conducente. Ho allontanato le zampe sudice e glissato le domande personali. No, non sono sola, viaggio con dei militari israeliani (in effetti ci avevo viaggiato, per un po’). No, non c’è bisogno che mi accompagni a casa, mi incontro con loro a Didube.
Mai far capire che avete paura. Mai far capire che avete inteso le loro intenzioni. Soprattutto se siete bloccati in un’auto nel mezzo del nulla in Igoeti.
Anche se ne parlo con spirito adesso, ho superato la cosa solo giorni dopo, parlando con una donna scozzese incontrata a Gareji. Abbiamo parlato delle nostre esperienze, quelle belle da viaggiatrici, ma anche e soprattutto quelle brutte. Di come a volte serva solo fortuna, perché a finire male può bastare poco.
Non lasciatevi scoraggiare da queste esperienze, tutto quello che avrei voluto fare in quel momento era solo stare chiusa in camera per il resto del viaggio, prendere un aereo e tornare a casa. Ma le famose palle prima o poi devono uscire, soprattutto in queste situazioni, e l’averle potenziate per così tanto tempo era solo in preparazione di questo. Vi siete addestrate anni ad affrontare una situazione come questa, non potete mollare adesso. Quindi si va avanti, ci sono altri luoghi, altre montagne da esplorare, altri sentieri da battere prima degli altri. Con questo enorme bagaglio di esperienza in più sulle spalle che spesa. Ma non ci farà piegare sulle ginocchia.
Perciò la mattina dopo di nuovo in piedi, una doccia, finalmente, nel bagno condiviso a casa della signora Tamar, Tamar come la regina più famosa della Georgia.
Ci sono cose che non si possono raccontare, come i risvegli a casa della signora Tamar, con un russo smagrito in evidenti postumi da grappa che dorme a gambe all’aria sul divano in salotto e la figlia che già dal mattino presto ripete ad alta voce la lezione. Il TG su canali mal sintonizzati rimanda immagini distorte e ingrigite, dalla ricezione sembra il 1989, e ad ogni inquadratura ti aspetti che arrivi qualcuno a buttar giù il muro da un momento all’altro.
“TAMAAAR!” Se non è riuscita a svegliarti la luce delle persiane che non ci sono, di sicuro lo farà qualcuno che già alle 7 cerca la padrona di casa. Il quartiere è vivo, tutti si conoscono, e alla signora veniva riferito dalle vecchiette di guardia su Tsinamdzghvrishvili Street (no, non è uno scioglilingua) ogni mio spostamento. E il bel guascone israeliano che mi accompagnava a casa la sera è stato causa di numerosi occhietti durante il soggiorno.
Tbilisi è il miglior punto di partenza per i più suggestivi luoghi della Georgia, ma il mio preferito è di sicuro il complesso monastico di Davit Gareji, il posto più incredibile che abbia mai visto nella mia vita.
Incredibile come sia possibile vedere chiaramente ogni sovrapposizione della storia su quelle montagne, come strati che coesistono, come le cinquemila celle scavate nella roccia dai monaci che portarono il Cristianesimo in Georgia nel VI secolo, gli scempi vandalici dei militari sovietici che usarono l’area per le esercitazioni durante la guerra, il periodo stalinista, in cui il confine venne piazzato proprio nel mezzo del complesso, sulla montagna, e tutte le guerre e le tensioni che negli anni ciò ha causato tra Georgia e Azerbaijan per il possesso della regione. Azerbaijan che nel 2012 ha “requisito” il sito isolando le cave di Udabno, in territorio azero.
Il tutto in un percorso circolare (ovviamente) mal segnato sui costoni delle montagne, senza alcuna protezione, o corrimano, con i piedi a pochi centimetri da scarpate precipitanti, dove per chi soffre di vertigini è meglio non guardare giù.
Ma se alzate lo sguardo la vista è mozzafiato: da una parte il deserto rosso del Kakheti (Georgia), dall’altra le aspre pianure erbose dell’Agstafa (Azerbaijan).
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Ad ogni passo incerto la meraviglia, lo stupore infantile nell’assaporare da soli il deserto, e la totale assenza di paura, completamente cancellata dall’adrenalina del momento, della scoperta.
In fondo alla testa però, se ascolti bene, puoi sentire quella vocina petulante che ti ripete con assillo: “E mo’? A Fabbrì svejate, che te sei persa su una montagna in Azerbaijan e topi e vipere tra poco te se magnano. A Bianca e Bernie nella terra dei canguri ce giochi un’altra volta.” (l’eroico salvataggio teutonico nella prima parte).
Perciò quando ho visto avanzare sicuri tra le rocce tre ragazzi, divisa tra il trauma non ancora elaborato dell’autista di Gori e la prospettiva di rimanere la notte a dormire nelle celle di roccia con le vipere (una piaga per Gareji) gli ho chiesto di aggregarmi a loro.
Più fortuna non potevo avere, davvero. Il “capogruppo”, Tornike, è un geologo/guida, che conosce ogni anfratto della Georgia come le sue tasche (se avete intenzione di partire, questa è la sua pagina, lo pubblicizzo volentieri). E tra le spiegazioni sulla storia del posto e le discussioni dotte su quanto sia figa la Arcuri in Carabinieri, è riuscito a riportarmi sana e salva alla base.
Appena fuori Gareji, sulla via per Tbilisi, c’è il villaggio di Udabno.
Udabno è un piccolo villaggio (“daba”) al bordo conteso tra Georgia e Azerbaijan, il cui nome significa “deserto”, e la ragione se ci si guarda intorno è piuttosto chiara, ovunque solo rocce e terra rossa.
L’area è popolata da circa 200 famiglie di immigrati dello Svaneti fuggite dalla desolazione della regione dopo il terremoto del ’91. Solo baracche, reti di recinzione e cumuli di fieno, una scuola e un ristorante per i turisti di ritorno da Gareji.
Le condizioni di vita sono estremamente povere, la popolazione è permanentemente afflitta da gravi problemi di carenza d’acqua, e quando l’acqua c’è, è contaminata, sporca, decisamente non potabile.
(*non che negli altri posti sia tutto ‘sto splendore, considerando che anche l’acqua da bere ha un sapore, è questo è MALE, ndr)
Su Tbilisi non dirò molto, o dovrei scrivere altre mille pagine, perciò girate ragazzi, girate a piedi, è la mia unica regola, il mio unico consiglio. Vedete tutto quello che c’è da vedere, dividete la città in quartieri e perdetevi tra le vie.
Interagite con le persone, che non sono facili. Arrampicatevi sulla fortezza di Narikala, e da lì affacciatevi sul fiume Mtkvari.
Andate alle terme, nelle cupole di Abanotubani che escono dal terreno, ma non quelle per turisti, quelle della gente comune, che si riposa dopo una giornata di lavoro.
Incespicate nelle strade sconnesse, tra i vicoli dei palazzi in legno, tra i panni stesi. Visitate le chiese, le sinagoghe, la moschea e il tempio zoroastriano, e la tomba di Sayat Nova. Ascoltate la messa, fate le elemosine alle donne col capo coperto, comprate da loro per strada i prodotti del loro orto o i semi di girasole. Fermatevi per strada a mangiare gli Mtsvadi, gli spiedini di maiale più buoni mai mangiati (e probabilmente i più a rischio salmonella), e il puri dai forni che lo espongono accanto alle ali di pollo aperte, sulla strada, con il fumo e il profumo di pane e di spezie che ti faranno tornare a casa molto più pesante di quando sei partito.
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Fidatevi di me, ci lascerete il cuore in Georgia. E nessuna delle migliaia di parole che ho sprecato potrà mai descrivere quanto sia meravigliosa, ma le immagini di ogni strada, ogni viso consumato, di ogni ruga, di ogni paesaggio, vi entreranno nella testa, di notte nei sogni vi sembrerà di aver dimenticato qualcosa, che prima o poi dovrete tornare a prendere.
Alla prossima guida, viaggiatori!
PH Credits: Fabrizia Capanna
(*Più giù, le informazioni utili e i costi)
GEORGIA
- Capitale: Tbilisi
- Città principali: Kutaisi (aeroporto), Batumi (sul Mar Nero)
- Fuso orario: +2h rispetto all’Italia
- Lingue parlate: Georgiano, spesso russo, nelle zone più turistiche a volte “inglese” (tutto è fuorché inglese)
- Attenzione all’alfabeto: in molte zone (anche della capitale) i cartelli non hanno l’indicazione in alfabeto latino, quindi magari date un’occhiata a quello georgiano, che vi torna sempre utile.
- Religione: maggioranza cristiana ortodossa, minoranze ebraiche e musulmane
- Moneta: Lari georgiano (GEL) [1 GEL =0.38EUR]
- Telefonia: compratevi ‘sta benedetta scheda Geocell agli aeroporti, o ovunque a Tbilisi (la scheda è gratis, e 4gb di Internet costano 10GEL per farvi capire)
- Documenti necessari: Passaporto con validità residua di almeno 6 mesi, o ID (se si proviene da area Schengen) mi raccomando integra!
Se avete intenzione di spostarvi, soprattutto se siete soli, registrate i vostri spostamenti su https://www.dovesiamonelmondo.it il sito dell’Unità di Crisi della Farnesina.
- Situazione sanità: Fatevi l’assicurazione sanitaria ragazzi, sempre.
Nella zona sono ancora diffuse malaria e tubercolosi, e per chi viaggia in posti in cui acqua e igiene non sono proprio a livelli ottimali, difterite e epatite sono dietro l’angolo. In più data l’enorme quantità di randagi, la rabbia è alquanto diffusa.
Per maggiori info può essere utile: http://www.who.int/countries/geo/en/
http://www.salute.gov.it/portale/temi/paginaRicercaDBMalattie.jsp
- Sicurezza: escludendo ovviamente le zone di guerra (andarci è possibile, tornarci meno, quindi evitiamo), in Svaneti ci sono (anche se sembra siano in diminuzione) casi di rapimenti a danno dei viaggiatori, ergo stat’ve accuorti.
PAROLE DA CONOSCERE (con pronuncia-più o meno):
Ciao! -> Gamardjoba!
Buongiorno! -> Dila mschvidobisa!
Buonasera! -> Sagamo mschvidobisa!
Buonanotte! -> Game mschvidobisa!
Sì -> diach
No -> ara
Grazie! -> Madloba!
Per il resto, dove Google Translate non arriva, l’italico gesticolare lo farà.
COSTI
Viaggi: per i voli figlioli vi arrangiate, andate su Skypicker/Google Flights e guardate quando costa meno.
Il Georgian Bus da/per l’aeroporto di Kutaisi per Mestia costa 16E, per Tblisi 8E, per Batumi 6E; più economiche le marshrutke, ma da prendere solo al ritorno, quando avrete preso maggiore confidenza con i mezzi.
Da Mestia a Tbilisi la marshrutka ha un costo di 30GEL, così come quella per Ushguli.
Da Tbilisi a Davit Gareji parte da piazza Pushkin un minibus apposito (e se ci sono turisti in più tranquilli, qualcuno con la macchina che accompagni lo trovano sempre) al costo di 25GEL.
Da Tbilisi a Gori/Uplistsikhe partono marshrutke da Didube (la principale stazione dei bus) ma come sempre non si sa né quando, né come partiranno. Quindi cercate qualche autista disposto ad accompagnarvi, mostratevi poco interessati e fate scendere il prezzo. E pregate che prima di tre ore l’autista trovi qualcun altro che vuole andarci: prezzo minimo riuscito a strappare: 60GEL.
La metropolitana di Tbilisi è nuova ed efficiente, ai gabbiotti all’entrata si compra una scheda ricaricabile, e ogni viaggio costa l’equivalente di 0,20 centesimi.
Musei/siti archeologici:
Uplistsikhe: 3GEL
Museo di Stalin a Gori: 10GEL (15 con la visita al vagone personale di Baffone)
Ma come al solito, le cose più belle sono sempre gratis.