Il commento di Giulio Profeta
Già da domenica sera persone e personaggi ben più autorevoli di me si sono scatenati con la passione da sempre più diffusa in Italia: l’opinionismo sfrenato.
Per qualche giorno ho tentato disperatamente di astenermi da questa asuefazione al commento, che dall’avvento dei Social Network si è ironicamente molto accentuata, ma una certa pa(osse)ssione per la politica mi ha indotto a salire un po’ in cattedra.
Iniziamo con alcuni dati:
- Al voto c’erano 1342 Comuni
- Di questi 25 erano Capoluogo ( Torino, Novara, Milano, Varese, Trieste, Savona, Bologna, Ravenna, Rimini, Grosseto, Roma, Cagliari, Carbonia, Napoli, Caserta, Brindisi, Salerno, Cosenza, Benevento, Crotone, Isernia, Latina, Olbia, Pordenone e Villacidro)
- Lo scontro elettorale è stato dominato da Liste Civiche e scontri “classici” destra-sinistra, con il Movimento presente solo in 252 realtà
- L’Affluenza media è stata del 62,14%, in calo di 5 punti rispetto al 2011 (in alcune realtà come a Roma l’affluenza è stata però più alta rispetto alla precedente tornata elettorale)
- In gran parte dei Comuni si dovrà aspettare il secondo turno per capire il vincitore
Ora sfuggendo al gioco classico dopo ogni elezione del “Io non ho vinto ma gli altri” oppure “noi siamo primi qua e qua” meritano di essere analizzate alcuni aspetti, a cominciare dai più grandi Capoluoghi al voto (Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli).
Bologna e Milano vedono uno scenario che potremmo definire classico o da Seconda Repubblica con un candidato di Centro-Sinistra in vantaggio su uno di Centro-Destra; Roma e Torino vedono al contrario un ballottaggio da Terza Repubblica, sul modello proprio di Livorno, con da una parte un candidato istituzionale di centro-sinistra (Giachetti e Fassino) e dall’altra in testa o ad inseguire un esponente del Movimento Cinque Stelle (Raggi o Appendino).
Napoli è una storia a sé con un candidato antisistema di sinistra in forte vantaggio come De Magistris e con un centrodestra istituzionale con Lettieri a seguire ben più staccato, con un Partito Democratico completamente tagliato fuori dai giochi.
Ora provare a ricondurre ad unità questa sequela di situazioni è impresa quanto mai ardua è proprio questo ci permette di parlare del primo profilo interessante di questo voto: la totale frammentazione del quadro politico italiano.
La storia italiana si è sempre contraddistinta per una certa divisione interna ma tanto nella Prima quanto nella Seconda Repubblica il campo politico era dominato da raggruppamenti definiti e monolitici, rappresentativi di un preciso insieme di valori.
Oggi vediamo uno scenario totalmente balcanizzato, dove le coordinate classiche destra-sinistra o settentrione-centro-meridione faticano ad affermarsi. In linea di massima possiamo notare come il Movimento vada forte nei grandi centri urbani e nei luoghi dove la classe dirigente locale ha in qualche modo fallito la sua attività, Roma su tutte, mentre nelle zone meno problematiche continua a persistere uno scontro classico fra destra e sinistra.
Il Partito Democratico sembra oramai aver occupato in qualche modo lo spazio lasciato da Berlusconi, quell’area grigia dei moderati che rappresenta senza alcun dubbio la classe sociale dominante e più influente in Italia. Questo, se può essere una leva utilissima a livello nazionale, rischia di essere un terribile boomerang a livello locale dove questo tipo di elettore o è meno portato a curare i propri interessi non votando o risulta più incline a favorire formazioni civiche.
La situazione attuale si prospetta, tuttavia, ben diversa per certe sfumature rispetto alla Seconda Repubblica e una semplice sostituzione all’equazione con Renzi (e prima Berlusconi) che sta ai moderati come il Movimento al resto dell’elettorato(e prima la Sinistra) risulta semplificatoria e illusoria.
Se in passato i moderati riuscivano ad essere numericamente in vantaggio ed economicamente prosperi, oggi sembrano chiusi a difendere i propri interessi, in declino e sprovvisti di alcun ampio disegno per il Paese.
Se Renzi dovesse steccare il Referendum e abbandonare la politica per quest’area sociale, che ripeto è sicuramente quella più ricca e rappresentativa seppur oramai recessiva, si aprirebbero scenari apocalittici con la sicura ascesa del Movimento Cinque Stelle.
E questo, per il Sistema Italia, sarebbe una oggettiva incognita.
@ProfetaGiulio
giulio.profeta@uninfonews.it
L’opinione di Lamberto Frontera
L’esito del primo turno elettorale ci consegna dei messaggi meritevoli di essere analizzati e discussi. Perché? Perché che lo volessimo o no, e forse a ragione, queste amministrative erano state attese e lette perlopiù come un test per il MoVimento 5 stelle e per il Partito Democratico.
Quest’ultimo, da solo e assieme alle liste civiche ad esso collegato, lungi dall’aver subito una debacle, come da molti è stato detto, con centinaia di sindaci eletti e tanti altri in corsa per i ballottaggi, si conferma comunque la formazione politica più votata in termini numerici assoluti. Al Nazareno, però, non si respira un’aria di festa e Matteo Renzi ha cosi riassunto lo stato d’animo del suo partito “Siccome siamo intellettualmente onesti, lo ammettiamo, ci sarebbe piaciuto fare meglio”.
Ciò perché, fermo restando quanto scritto sopra, il centrosinistra tra le grandi città vince solo a Cagliari (con Zedda al 51,67%) e va al ballottaggio come prima forza cittadina a Bologna, Torino e Milano, come seconda a Roma e perde con un gran distacco a Napoli, in favore di Luigi De Magistris. I dati, se non letti attentamente, però, possono non far comprendere pienamente i motivi di preoccupazione del premier riguardo le sfide che si terranno tra due settimane. Nonostante il buon risultato ottenuto finora, infatti, si delinea il rischio che alla fine i comuni conquistati dal PD siano davvero pochi, dato che spesso quando il MoVimento 5 stelle va al ballottaggio, vince, come ci hanno insegnato le lezioni di Parma e Livorno, manifestandosi così come la più inattesa conseguenza della forma tripolare assunta dalla struttura politica italiana.
La formazione politica capitanata da Beppe Grillo, sebbene sia andata al ballottaggio solo in venti comuni su milletrecento, ha rilevato quasi ovunque tangibili incrementi percentuali ed ha ottime possibilità di trionfare in gran parte di queste realtà. Paradigma di questa situazione non può che essere Roma, in cui una determinata Virgina Raggi, dopo aver sbaragliato al primo turno i quattro front-runners di altrettante coalizioni avversarie con il 35.54% dei voti, sfida al secondo un Roberto Giachetti che non ha sfigurato con il suo 24.71% (ricordiamo in che condizioni versasse il PD alla vigilia di queste elezioni, nel post-Marino e dopo Mafia Capitale).
Qui, proprio in virtù di quanto accaduto lo scorso anno e della vicinanza di molti esponenti del M5s agli ambienti di destra, è prevedibile che gran parte dei voti di Giorgia Meloni, arrivata terza con il 20.72%, confluiscano verso l’outsider grillina, relegando il Partito del Nazareno all’opposizione. E se la battaglia per la Capitale non fosse abbastanza ardua, anche le sfide di Torino e Bologna contro il M5s, seppur per ragioni diverse, non sembrano affatto scontate. Per di più l’eventualità di un centrosinistra all’opposizione potrebbe verificarsi anche a Milano, in cui i voti che separano Giuseppe Sala dal suo inseguitore, Stefano Parisi, stavolta del centrodestra, sono soltanto cinquemila, facilmente colmabili con voti dei 5 stelle, che conservano, tra i loro primi obiettivi, quello di mettere l’esecutivo alle strette.
Infine, se ci si sofferma su quanto accaduto a Napoli, dove che si è affermato il più agguerrito candidato anti-renziano, vero tribuno del popolo, capace di spazzare via la concorrenza di un centrosinistra lacerato da lotte intestine, si possono comprendere le preoccupazioni del Presidente del Consiglio, tanto saldo alla guida del paese, quanto incapace di dare quella scossa necessaria affinché il suo partito non sia costretto a ricorrere all’espediente delle liste civiche per strappare la vittoria.
Ora Matteo Renzi non potrà far altro che affidarsi alle capacità attrattive dei candidati sindaco del suo partito per sperare di spuntarla in quanti più teatri possibile, giocando tendenzialmente su alleanze di sistema con il centrodestra, ricompattando sinistra e centrosinistra e sperando che il MoVimento, ormai la forza più accreditata per guidare l’opposizione al governo, non sia all’altezza della sfida storica che ha dinnanzi.
La Voce di Giorgio Pacini
Domenica 5 Giugno si sono svolte l’elezioni per il rinnovo delle amministrazioni di oltre 1’300 Comuni, ma gli occhi sono rimasti puntati su Torino, Milano, Roma e Napoli, sia durante la campagna elettorale che oggi con i dati definitivi dello spoglio elettorale. Alle urne erano chiamati più di 13milioni di italiani, ma ha votato il 62,14% di essi. Tenendo bene a mente che si trattavano di elezioni locali, legate più alle vicende territoriali che non nazionali, e vista la realtà frastagliata dei risultati, è molto difficile dare una visione unitaria per ogni forza politica.
Tuttavia non si può negare che il Partito Democratico fosse quello che più aveva da perdere in queste elezioni, ma per stabilire effettivamente questo si dovrà attendere il 19 Giugno, ovvero la seconda tornata elettorale, dove si giocheranno partite molto importanti come quelle di Torino, Milano e Roma. D’altronde, limitandoci a questa prima tornata, non si può parlare di un disastro così come di una performance soddisfacente: a Napoli la Valente non è nemmeno riuscita ad arrivare al ballottaggio, e vedendo anche la situazione a Cosenza, verrebbe da dire che l’alleanza coi Verdiniani ha allontanato molti più voti di quanti ne ha portati al PD.
A Torino e a Bologna ci potrebbe essere il rischio di un ribaltone al secondo turno, come è stato per il Comune di Livorno nel 2014, in cui il M5S col 19% finì al ballottaggio con Ruggeri (PD), vincendo poi con un buon 53% dei voti espressi. Un sospiro di sollievo invece è rappresentato da Cagliari, dove il candidato del centrosinistra, Massimo Zedda, tendendo assieme una coalizione che va dal PD a Sel, è stato riconfermato col 50.9%. Pure a Roma non è andata malissimo, poiché l’obiettivo, non molto semplice per chi ha ancora a mente l’esperienza di Marino, del Presidente del Consiglio era quello di far arrivare Giachetti al ballottaggio, e così è stato. Il MoVimento 5 Stelle si ritiene soddisfatto per il buon esito, abbastanza scontato, di Virginia Raggi a Roma, e per quello, più inaspettato, di Chiara Appendino a Torino, che è riuscita a mandare al ballottaggio il Sindaco uscente Piero Fassino, Presidente dell’ANCI e storico fondatore del PD.
Però, togliendo questi due episodi, il M5S , nelle altre realtà, sembra abbandonare completamente lo scenario politico, basti pensare a Milano in cui il candidato sindaco, Gianluca Corrado, si è arrestato al 10,1%. Il quadro che sembra emergere è che il movimento fatichi a comporre una classe dirigente che sia all’altezza delle sfide locali, riuscendo a cogliere buoni frutti solo la dove si è avuta in precedenza una cattiva amministrazione, quindi per demeriti altrui. Il Centrodestra nonostante Milano, in cui Parisi ha tallonato Sala, e Trieste in cui è in testa col 40%, ha collezionato una serie di delusioni, Roma prima su tutte, in cui avrebbe potuto far escludere il centrosinistra per la prima volta nella Storia dal ballottaggio. Tuttavia i voti della Meloni e di Marchini non sembrano essere sovrapponibili, poiché rappresentanti di due destre, non diverse ma, quasi opposte, ovvero la prima con l’anima lepenista e l’altra affine al Parito Popolare europeo.
Perciò se unito il centrodestra riesce nell’impresa di Milano, se diviso nella disfatta capitolina, ma al livello nazionale la vera partita sarà proprio riuscire ad unire queste due anime, le quali, o l’una o l’altra, dovranno rinunciare a qualche pretesa.
Volete un dato da queste elezioni? Sì, uno credo ci sia: la politica italiana sta affinando la già sottilissima arte del parlare del niente. È incredibile quanto tempo possa essere occupato a parlare di niente: nottate intere con Mentana, ore e ore di Sky Tg 24, discorsi che girano a vuoto di giornalisti, editorialisti, pubblicisti, opinionisti che si avvicendano l’un con l’altro e, cambiando canale, li ritrovi tutti quando da una parte, quando dall’altra.
Ecco che io non vi deluderò, e parlerò anch’io, nel mio piccolo, del nulla. Ho trovato che questo sia il passatempo prediletto di chi si occupa di politica, dal semplice simpatizzante o appassionato, a chi fa politica attiva, a chi ricopre cariche. Volete che vi dia i numeri? Ce n’è per tutti. Percentuali sopraffine. Ve le do a caso, i più esperti in questo gioco del nulla sapranno ricollegarle ai candidati.
Roma, 10,93%, 0,6%, 35,32%, 4,47%, 24,78%; Milano, 41,69%, 3,55%, 10,06%, 40,79%. E sulla ruota di Napoli 42, 24, 21, 9, 1. Sennò posso parlare dell’exploit (si dice così oggi, no?) del Movimento 5 Stelle. O della débâcle (si dice così oggi, no?) del PD. Tanto ormai si va avanti per slogan. E se al sud i 5 Stelle stravincono, al nord stentano a imporsi. Oppure: il PD tiene, ma non vola; crollata la destra. Ma se sommiamo le forze del centro-destra siamo a un testa a testa col PD. Comincia il declino di Renzi. La volpe Renzi lascia la patata bollente di Roma e aumenta il suo consenso. E nel delirio generale il sublime viene raggiunto da: tripolarismo. La goduria superba, il fiele più dolce del fedelissimo dei talk show.
È così: si sguazza nel livor di bile e se ne è estasiati. La zuccherosa bile. Certo, i più raffinati ricordano che le amministrative sono una cosa, le politiche un’altra; che bisogna valutare le diverse situazioni locali; che non si può far d’ogni erba un fascio; che la sintesi è giusta per l’analisi, ma è sbagliato generalizzare. E via giù, con exit poll, sondaggi, proiezioni sul dato nazionale, chi vincerebbe alla Camera, chi vincerebbe al referendum. Continuano le montagne russe della politica, continua imperterrito questo teatrino (che, per la verità, è più dei mezzi di comunicazione che della politica in sé), quando è clamorosamente acclarato che di tutto ciò funziona poco o niente, e che comunque tutte le carte, nel momento che davvero conterà, saranno rimescolate.
Cercando di tornare seri (se è ancora possibile): chi non vive una città non può rendersi conto di quali siano le esigenze reali del voto, che sono, è verissimo, del tutto sganciate dalle diverse esigenze di politica nazionale e internazionale. Ma, alla fine, per il poco che quella sostanza è riuscita a filtrare dai piccoli e grandi centri, si capisce che anche questo non è vero. Ce n’è poca, ahimè, di sostanza, almeno io ne ho percepita pochissima. E più grave si fa la situazione, più sfilacciate le corde della politica (quella vera), più la facciata della politica si arricchisce di colori, si fa variopinta. E ancora si gioca a chi è più bravo (ma a far che?). Però questa non è passione, o almeno non mi pare che sia. Questo non è servizio della collettività (quanto mai centrale nelle politiche amministrative).
Questa non è politica.