Spesse volte i fatti di cronaca non sono sufficienti a far prendere coscienza al pubblico della tragica veridicità di avvenimenti che si consumano in un paese. Quando va creandosi un tale stato di emergenza corre in aiuto, a corroborare l’opinione pubblica, la letteratura che ha la capacità di circoscrivere a un unico episodio mirato ma ben chiarito gli innumerevoli campi del possibile, di denunciare per mezzo di personaggi irreali situazioni sensibilmente reali.
Edito nel 1961, Il giorno della civetta, corse in aiuto agli italiani gridando che la mafia, le cosche e il pizzo, disconosciuti dalla classe politica coeva, erano invece un qualcosa di vivo, di pulsante, non sopra ma sotto la pelle dello stato: la politica ne era compromessa a tutti i livelli. Lo stesso Sciascia confermò l’urgenza di un tale romanzo poiché, sul genere, oltre ad inchieste difficilmente digeribili, esistevano solo altre due opere, “I mafiusi di la Vicaria” e “Mafia” entrambe commedie teatrali ormai consunte dal tempo. Con questo racconto Sciascia cercò di raggiungere e informare il grande pubblico con l’obiettivo di colmare quel vuoto culturale da sempre taciuto.
Si tratta di un giallo abilmente foggiato: tre omicidi apparentemente scollegati mettono a nudo, di fronte al lettore, la barocca architettura del sistema mafioso, con le sue verità omertose, le sue gare d’appalto adulterate come prassi, il suo onore, terribilmente vitale nella patriarcale società siciliana.
Senza mettere in discussione lo sconcertante affresco che Sciascia pedagogicamente ci svela sulla vita della sua terra e che, dilatandosi per tutta la durata del romanzo, ne costituisce l’ossatura; per mezzo di una seconda chiave di lettura, più profonda si resta stupiti di fronte alle due figure più simboliche dell’opera: il capitano Bellodi e il mafioso Mariano Arena. Essi sono proprio come l’Arena definisce se stesso e il capitano: “uomini”, ma uomini non perché comprendono l’importanza del rispetto tanto reclamato dai mafiosi ma quanto perché caratterizzati da una qualità non indifferente, la ragione. E’ la razionalità che muove il primo sulla giusta, fra le tante piste possibili per conseguire la risoluzione del caso; è sempre la medesima che permette al secondo di rendersi impermeabile a qualsiasi tipo di accusa. Ma entrambi volente o nolente accettano le virtù sopra attribuiteli poiché si ritrovano infusi, in quanto personaggi letterari, all’interno di una costruzione sintattica di estrema intelligenza. I discorsi diretti che intessono con terze persone fanno risaltare agli occhi del lettore l’acume dei protagonisti, che sarà portato all’estremo nell’incontro che infine si consuma tra i due. Non solo nei discorsi diretti ma in tutte le parti descrittive, soprattutto, sui mutevoli atteggiamenti che i vari personaggi tengono a seconda dell’evolversi degli eventi si manifesta la raffinata abilità di Sciascia nello scrivere. Spesso utilizza periodi desueti che necessitano di una seconda lettura per essere compresi nel loro contesto ma il bello sta proprio in questo, che il libro pretenda un lettore attento, non passivo, che abbia voglia di ragionare.
Il giorno della civetta merita di essere letto in quanto batte un colpo sia alla coscienza che soprattutto all’intelletto del lettore. Insegna, proprio come fa Mariano Arena, ad allontanare le cose che ci capitano sotto il naso per tutta la lunghezza del braccio perché, diceva sempre l’Arena, le cose si vedono meglio da lontano.
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