“Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, sotto il consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, portate felicemente a termine le imprese in quelle province, il Senato decretò che si dovesse consacrare un’ara alla Pace augustea nel Campo Marzio e ordinò che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero ogni anno un sacrificio”.
Come ricorderete, qualche tempo fa mi sono dedicata ad una delle opere simbolo della Roma imperiale, l’Augusto di Prima Porta, e in quella occasione citai come suo pendant ideologico un’altra grande e famosissima realizzazione augustea. Si tratta di un’opera che intimidisce chi le si pone davanti, non solo per le sue dimensioni ma anche per il messaggio che trasmette a chi si ferma ad ascoltare il suo messagio. Dopo tanto tempo però, ho deciso di impegnarmi e di affrontare con voi questo manifesto politico augusteo, senza lasciarci scoraggiare dal lungo viaggio che dobbiamo fare.
L’area era però soggetta a straripamenti del Tevere, e quindi a innalzamenti di quota che nel giro di pochi decenni compromisero l’Horologium e col tempo finirono per obliterare l’Ara. Il monumento è stato rinvenuto in frammenti e ricostruito lastra dopo lastra, dalla prima scoperta, avvenuta nel 1568, fino agli scavi del 1937. L’obelisco, individuato in frammenti e poi restaurato nel corso del 1700, fu poi posto in Piazza Montecitorio, dove si trova ancora oggi.
Ma torniamo all’Ara Pacis: questa si compone del vero e proprio altare e di un recinto decorato da rilievi figurati e ornamentali. L’altare aveva uno zoccolo con rilievi e un fregio di piccole figure a soggetto rituale tra cui probabilmente delle vestali; ma il vero monumento è il recinto, in cui si aprono due porte.
L’interno è decorato in alto da ghirlande sorrette da bucrani e da pàtere (forma vascolare rituale); in basso vi è la riproduzione di una staccionata lignea. I due motivi sono la trasposizione in marmo del recinto provvisorio che si usava per le cerimonie antiche, per “ritagliare” anche fisicamente lo spazio sacro (il templum) destinato agli dei; sono divisi l’uno dall’altro da un fregio a palmette e fiori di loto.
I rilievi figurati si trovano all’esterno, totalmente indipendente rispetto all’interno, e costituito da due registri indipendenti tra loro e uniti solo dal senso simbolico. Le due aperture sono fiancheggiate da composizioni mitiche: quella principale (lato ovest) vede rappresentate due scene delle origini di Roma, il lupercale (Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa alla presenza di Faustolo, il pastore che adotterà e alleverà i gemelli, e di Marte) e il sacrificio di Enea ai Penati, la cui edicola è posta in alto entro un paesaggio roccioso; l’altra apertura (sul lato est) aveva da un lato la personificazione di Tellus, la Terra madre o, secondo altri, Venere progenitrice della gens Giulia, e dall’altro Roma seduta sopra un cumulo di armi, dominatrice del mondo e garante quindi della Pace. Tellus è affiancata da putti, Auree (personificazioni dei venti), animali e personificazioni dei corsi d’acqua, a simboleggiare proprio la fertilità e la bellezza della nuova età dell’oro.
I due lati lunghi sono occupati dalla processione che dovette svolgersi per la dedica dell’ara. Sul lato sud possiamo riconoscere Augusto coronato di alloro e personaggi della famiglia imperiale che ci fanno comprendere come non si tratti di una processione reale ma ideale, in quanto vi sono ritratti anche personaggi che nel 9 a.C. erano già morti o non erano a Roma. All’inizio di entrambi i lati compaiono i littori, che ci fanno comprendere come in realtà si tratti di un’unica fila “sdoppiata” sui due lati; in questo senso possiamo anche interpretare la presenza sul lato sud di Agrippa e Gaio Cesare e su quello nord di Giulia e Lucio Cesare, in quanto trattasi della famiglia dei due eredi designati.
Sotto il fregio a svastiche che divide i due registri, una decorazione floreale con girali di acanto che fuoriescono da ceste, tralci d’edera, di alloro e di vite e, tra le volute, piccoli animali e cigni con le ali spiegate. Questo rilievo vegetale è stato spesso riferito alla IV Ecloga di Virgilio, dove il seculum aureum, il ritorno dell’età felice e pacifica, si manifesta nella fertilità e abbondanza della natura, rese possibili da Augusto. La concezione generale dell’ara entro recinto, dell’unione di soggetti mitici e storici e della contrapposizione umano – naturale sono tutti elementi romani connessi alla tradizione italica, ma la mano è greca. Il classicismo contiene in suggerimenti delicati il senso dello spazio e dell’atmosfera; il naturalismo ellenistico, quasi congelato, si pone a servizio di un’arte ufficiale fredda, programmatica e la rende preziosa, non facendoci più percepire la mancanza di “slancio artistico”.
All’inizio ho detto che si tratta di un’opera simbolo della politica augustea: questo perché all’interno di un’unica opera si mischiano, come abbiamo visto, eredità artistiche diverse nel tempo e nello spazio, contrastanti solo all’apparenza, e tutto è conciliato e sistemato al suo posto per volere dell’unico uomo che era riuscito in questa impresa anche nella realtà politica. Augusto aveva veramente realizzato la Pax, la Pace, in tutto il mondo conosciuto, unificando nel suo nome tutte le realtà che lo componevano, ma lo aveva fatto basandosi essenzialmente su una grande finzione: egli, garante della pace, uomo pio capace di unificare la diversità, era in realtà un generale della guerra civile, che era emerso grazie all’annientamento del “partito” avversario e all’imposizione della sua persona. Ecco che l’Ara, che pacifica al suo interno le opposte correnti artistiche mettendo a tacere le individualità degli artisti a servizio di un uomo solo, diventa metafora del potere augusteo.
Nota: l’attuale istallazione museale si deve all’architetto Meier; la struttura è concepita per essere trasparente nei confronti dell’ambiente urbano, senza compromettere la salvaguardia del monumento: l’Ara è infatti illuminata dalla luce solare, diffusa tramite le vetrate dei lucernari.
Giulia Bertolini
Fonti: Roma e l’Italia Radices Imperii
Museo dell’Ara Pacis