Il matrimonio come dramma borghese, come luogo in cui la patinata serenità che si affaccia dalle pubblicità televisive lascia spazio a un chiassoso senso di non appartenenza; non rifugio, ma tana di lupi. È questo l’affresco che “Lacci”, l’attesissimo spettacolo con Silvio Orlando diretto da Armando Pugliese, ci restituisce della famiglia. La pièce, che ha registrato il tutto esaurito al Teatro Guglielmi di Massa, è stata tratta dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone (Einaudi 2014), vincitore del Premio Strega e autore di “Ex Cattedra” e “Sottobanco”, da cui è stato tratto il film e lo spettacolo “La scuola”, sempre con Silvio Orlando. In scena al fianco di Orlando, la moglie Maria Laura Rondanini, che veste i panni della figlia Anna, Roberto Nobile, Sergio Romano e Giacomo de Cataldo. Sul palco anche Vanessa Scalera, che interpreta Vanda, moglie e donna «incacrenita dal dolore».
«Il contenuto del romanzo mi ha suggerito l’idea di una “sinfonia del dolore”», ha spiegato il regista Armando Pugliese. Ed è proprio sulle note dure e definitive della voce di Vanda che si apre lo spettacolo. «Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie»: un’affermazione che suona come una sentenza di condanna più che come il disperato tentativo di una donna di allacciare a sé l’uomo amato, che dopo 12 anni di matrimonio cerca la propria realizzazione all’interno di un amore giovane e fresco. E sarà proprio questo amore l’occasione – e non la causa – per spogliarsi del ruolo di genitore e compagno, nell’estremo tentativo di essere «vero come marito, come padre e come amante». Ma dopo soli quattro anni lontano dalla moglie e dai figli, Aldo prenderà coscienza di non essere in grado di far stare insieme queste verità che sembrano escludersi a vicenda.
La famiglia diventa così il luogo peggiore dove far crescere i sentimenti. Ѐ infatti fuori dai suoi perversi meccanismi, alimentati da ipocrisia e sensi di colpa, che possono trovare la loro più pura realizzazione. Solo al suo esterno i sentimenti possono concretizzarsi in quell’amore assoluto che il protagonista, ormai vecchio e rassegnato, affermerà di aver provato e di provare per Lidia. Custode di questo drammatico segreto, una scatola blu, unico tocco di colore nella ricca scenografia così come nella vita di Aldo.
Il matrimonio si riduce, così, a un gioco di rassegnazione e sottomissione, un ingranaggio privo di senso, sottomesso alla logica rassicurante di ripetizioni che convergono in necessità. Un «carico di sofferenza che da una generazione si proietta su quella successiva con il suo bagaglio di errori, infingimenti, viltà, dolore appunto», ricorda Pugliese. E i lacci, ormai maturati in cappio, costringeranno Aldo a un sacrificio insensato, non condiviso nemmeno dalla figlia Anna, che al padre imputerà l’incapacità di non rinunciare fino in fondo alla famiglia.
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