BIOGRAFIA AUTORE: Luca Poli è nato a Pisa nel 1986. E’ laureato in Cinema, Musica e Teatro presso l’Università di Pisa. Da anni coltiva la passione per il teatro e per il cinema. Ha frequentato laboratori di teatro e corsi di scrittura creativa. Clochard è il suo primo romanzo.
–> Leggi le puntate precedenti: Ep. 1, Ep. 2, Ep. 3.
LA VOCE DEL SILENZIO – Ep. 4/4
“Sì!” mi rispose senza esitare.
Io l’abbracciai, mentre Pushkar mi guardava con aria soddisfatta.
Non mi sembrava vero che lei mi avesse raggiunto. Ero al settimo cielo.
Poi la parte razionale che c’era in me le chiese: “E il tuo lavoro l’amavi, così tanto, come hai fatto a lasciarlo?”
“Ma non l’ho lasciato, lavorerò quà, posso far nascere tanti bambini anche quà!” mi spiegò lei.
Quella notte Pushkar ci lasciò dormire nel letto a due piazze, su cui misi le lenzuola di seta. Lui dormì senza protestare sulla brandina.
Il giorno dopo alla fine della scuola, Pushkar insisteva perchè voleva mostrare anche a lei, come faceva con me, le sue doti di disegnatore.
La costrinse a stare ore seduta al tavolo vicino alla finestra per ritrarla. Lei non si oppose, perchè aveva capito che era importante. Ogni tanto mi guardava come se cercasse aiuto o comprensione, con lo sguardo che mi domandava: “Quando finirà?”, allora io le sussuravo: “Porta pazienza e vedrai!”.
Probabilmente si aspettava un semplice disegno da bambini, ma quando lo vide rimase stupefatta.
“Non è possibile!” esclamò, esplodendo poi in una grande risata che contagiò anche me.
Quello era il modo più semplice e naturale che Pushkar aveva trovato per darle il benvenuto.
Nei mesi che seguirono, tutti e tre andammo insieme a visitare luoghi dell’India che non avevamo mai visto.
Fu in uno di quei viaggi che ebbi l’occasione di mantenere la promessa fatta a Pushkar: la visita al Taj Mahal.
Prendemmo il treno per raggiungere Agra. Fu un’esperienza scioccante: il treno era affollatissimo, c’erano persone ovunque, donne, uomini e bambini. Dovevo star attento a non pestare qualcuno, quando a fatica riuscivo a raggiungere il finestrino più vicino per prendere un po’ d’aria.
C’erano passeggeri anche sistemati sul tetto. Il caos era enorme. C’era anche qualcuno che perdeva i sensi per il caldo e chi perdeva le staffe e minacciava rissa. Noi tre non vedevamo l’ora di uscire.
Dopo un infinito viaggio arrivammo ad Agra.
Comprammo un bellissimo tappeto fatto a mano e navigammo sul fiume Yamuna.
Poi bendammo Pushkar, perchè la sorpresa funzionasse davvero.
Lui protestava perchè voleva vedere dove lo portavamo.
Dovevamo togliegli la benda dagli occhi una volta arrivati davanti al Taj Mahal, ma fu così grande lo stupore di trovarsi di fronte ad un monumento così gigantesco e maestoso che sia io che lei rimanemmo pietrificati e non sentivamo Pushkar che continuava a chiederci con impazienza se eravamo arrivati.
Ad un certo punto fu lei che mi dette una gomitata per farmi reagire.
Tolsi la benda a Pushkar e anche lui reagì come noi.
Mi guardò col suo bellissimo sorriso. Gli occhi gli brillavano.
Poi con uno scatto veloce ed atletico, mi saltò in collo, mi strinse forte e con la voce rotta dall’emozione, mi ringraziò.
Non so per quanto tempo, rimanemmo li immobili a fissare quella meraviglia.
Poi ci avvicinammo pian piano e potemmo notare numerose decorazioni e iscrizioni.
Alzando lo sguardo verso il cielo vidi l’enorme cupola del mausoleo. Avevo la sensazione di essere piccolo piccolo come una formica.
Il sole era al tramonto. I suoi raggi rosso fuoco assieme al bianchissimo marmo del Taj Mahal, creavano un effetto magico.
Fu lì che ci scattammo la nostra prima foto insieme.
Ad un certo punto a rompere il silenzio fu lo squillo del cellulare di lei. Era una sua collega. Le disse di recarsi subito al più vicino villaggio, perchè c’era una donna che stava per partorire.
Arrivati al vicino villaggio, la donna non ne voleva sapere di andare in ospedale.
Lei insisteva per convincerla che la cosa migliore da fare era ricoverarsi in ospedale, ma la donna continuava a gridare che suo figlio sarebbe nato lì, in casa sua.
Allora, guardò me con uno sguardo preoccupato, poi mi domandò: “Te la senti di aiutarmi a far nascere questo bambino?”
Io rimasi li come un broccolo senza rispondere, allora lei si infuriò e mi urlò: “Vuoi aiutarmi o no? Decidi! Non c’è tempo da perdere!”.
“Che devo fare?” le domandai
“Prendi degli asciugamani e una bacinella d’acqua calda”
Feci più presto che potevo, ma avevo il cuore in gola!
La donna urlava, si dimenava e sudava.
Mentre lei diceva alla donna di spingere più forte che poteva, io la sorreggevo con le mani dietro la schiena, perchè non scivolasse.
Pushkar stava nascosto dietro una tenda e sbirciava con un’espressione sofferente.
Ero molto teso ed ero partecipe anch’io del suo dolore. Anch’io sudavo e stringevo i denti, ma allo stesso tempo cercavo di farle coraggio.
Immediatamente dopo il primo vagito, lei si assicurò che il bambino appena nato fosse sano e respirasse bene.
Poi lo lavò delicatamente con l’acqua della bacinella, lo avvolse in un asciugamano e me lo diede in braccio. Quello fu il momento più bello ed emozionante della mia vita.
Provai una gioia incredibile.
Con le lacrime agli occhi lo consegnai nella braccia di sua madre.
Anche lei come me si commosse.
Da quando lei era tornata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno, mi ero tormentato nel capire perchè il nostro rapporto così come si era interrotto bruscamente, era riiniziato dopo due anni con così tanto facilità.
Quel giorno capii che molte cose che ci accadono, accadono per una precisa ragione.
Inutile forzarsi di capire quale essa sia, bisogna aspettare, aver fede e aspettare.
Lasciarsi trasportare dell’ordine naturale delle cose, ascoltando il proprio cuore e la propria anima, solo così facendo si ha rispetto per sè stessi e per il prossimo.
Adesso guardandola negli occhi, per la prima volta dopo tempo, non ci sarebbe stato bisogno di parole.
E per la prima volta nella mia esistenza, quando al mattino spalancavo la finestra, guardando fuori, capivo di essere a casa.
E’ una sensazione straordinaria quella che ti fà capire finalmente di essere nel luogo giusto al momento giusto.
Era l’India la mia casa.
Ero riuscito a fare su di me un lavoro di introspezione che mi era servito a rendermi conto che avevo cambiato totalmente modo di vedere la vita e le persone che mi circondavano. Mi sentivo soddisfatto e in armonia con me stesso, con gli altri e con la natura, una sensazione bellissima, nuova e talmente intesa che le parole non sono in credo di descriverla.
Quà in India ero riuscito finalmente ha trovare la mia dimensione ideale.
Quel giorno, tornando a casa, ripensai intensamente all’esperienza che avevo appena vissuto: mi resi conto di quanto fosse bella e splendida la paternità.
Diventare padre sarebbe stato sicuramente una esperienza intensissima, un piacere che nulla al mondo avrebbe potuto ripagare, un modo straordinario di completare un mosaico, un punto d’arrivo, anzi di partenza.
Se mi chiedessero oggi, com’è l’India, risponderei con una frase di Rabindranath Tagore che recita così: “L’India può insegnare che la vita spirituale è gioia, voluttà, danza, ora tumultuosa e selvaggia come le piogge del Bengala, ora calma ed elevata come le vette dell’Himalaya. La vita spirituale è innocenza e libertà, dramma ed estasi”.
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