BIOGRAFIA AUTORE: Luca Poli è nato a Pisa nel 1986. E’ laureato in Cinema, Musica e Teatro presso l’Università di Pisa. Da anni coltiva la passione per il teatro e per il cinema. Ha frequentato laboratori di teatro e corsi di scrittura creativa. Clochard è il suo primo romanzo.
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LA VOCE DEL SILENZIO – Ep. 2/4
Contento, fece per tornare a posto, ma ad un certo punto tornò verso di me.
Mi restituì il capello che mi aveva strappato e si presentò. Si chiamava Pushkar e mi sembrava fosse il più curioso e vivace di tutti i bambini.
Quel giorno tornai in albergo felice, contagiato com’ero dall’allegria di quei piccolini fui consapevole che quella mia nuova vita mi avrebbe reso un uomo migliore.
Non ci misi molto ad abituarmi a quella nuova vita e proprio da abitudinario quale ero, tutte le mattine facevo colazione con poori con il succo di tamarindo.
Mi sentivo talmente leggero, spensierato e libero, tanto che non portavo più neanche l’orologio al polso per spaccare il secondo; avevo una specie di orologio mentale, altrettanto preciso che mi permetteva di arrivare in classe un minuto prima del suono della campanella.
Avevo anche calcolato il tempo che ci mettevo in Risciò. Durante quel breve tragitto avevo fatto amicizia con Ardeshir, il proprietario del Risciò che usavo. Ardeshir trainava sempre il risciò a piedi nudi e così finiva sempre per bruciarsi i piedi perchè anche di mattina presto l’asfalto bruciava.
Così una mattina gli regalai un paio di scarpe da indossare quando trainava il suo Risciò, almeno non si sarebbe più scottato i piedi. Lui ne fu felicissimo, mi abbracciò e baciò, come se gli avessi comprato il mondo!
Almeno una volta alla settimana veniva a cena da me, accompagnato da i suoi tre figli e dalla moglie e tutte le volte mi diceva che tutti i suoi colleghi gli invidiavano quel paio di scarpe che gli avevo regalato. Era l’unico conducente di Risciò nella zona, ad indossare scarpe!
A scuola tutto andava splendidamente. Mi sentivo utile e avevo insegnato ai bambini a leggere e a scrivere. Apprezzavano tutto ciò che gli proponevo con una vivacità e una curiosità, che non avevo mai trovato. Quando insegnavo nelle scuole italiane notavo un disinteresse generale che coinvolgeva gran parte degli studenti, una sorta di apatia cronica. Invece insegnando qua in India mi accorgevo proprio del contrario, per quanto la scuola fosse poco accogliente, i bambini, forse perchè poveri di cultura e privati di molto, avevano una sete di sapere insaziabile.
In poco tempo ero riuscito a far leggere loro le filastrocche di Gianni Rodari e le poesie di Rabindranath Tagore, uno dei più famosi poeti indiani premio Nobel nel 1913.
Io e Pushkar eravamo diventati amici. Già dal nostro primo incontro, quando mi strappò il capello, si istaurò una simpatia. Mi mostrava sempre i suoi disegni e mi chiedeva sempre un parere su di essi. Il mio parere non poteva che essere positivo. Pushkar disegnava e dipingeva dei piccoli, grandi capolavori. Rimanevo sempre estasiato dalla sua innata bravura, incredibile per un bambino così piccolo. Per i suoi disegni prendeva quasi sempre spunto degli enormi e coloratissimi cartelloni che pubblicizzavano divi e pellicole del cinema indiano.
Una volta mi portò un disegno ancor più stupefacente. Era riuscito a rappresentare, guardandolo da un giornale, il bellissimo tempio del Taj Mahal. Fu in quell’occasione che emozionato gli promisi che un giorno lo avrei portato con me ad Agra nella parte settentrionale del paese, a visitare quel tempio.
Poi una sera me lo vidi arrivare a casa. Ero rientrato da circa mezz’ora, quando mi bussò alla porta la padrona dell’albergo che teneva per mano il piccolo Pushkar.
“L’ho visto che girovagava nell’ingresso e mi ha chiesto di lei! ” Mi disse la padrona.
“Grazie di averlo portato fin qua!” dissi io
La padrona se ne andò ed io feci entrare Pushkar.
“Come hai fatto ad arrivare fin qua da solo?” gli domandai preoccupato
“A piedi!” disse lui
“E i tuoi genitori non si preoccupano per te?”, a quella domanda non rispose.
Allora insistetti: “Mamma e papa dove sono?”, neanche a quella domanda rispose.
Si comportava come se non sentisse ciò che gli stavo chiedendo. In realtà sapevo benissimo che aveva capito. Ed anch’io avevo capito benissimo che era meglio non insistere e cambiare argomento. Quella sera cenammo insieme, io gli raccontai della mia storia, dell’Italia e di quanto era bella Roma. Non gli chiesi più nulla della sua vita, avevo paura di sentirmi e di farlo sentire a disagio.
Comunque delle risposte dovevo averle. Così chiesi al mio amico Ardershir.
Lui girando col suo Risciò sapeva tutto di tutti. Mi disse che i genitori di Pushkar erano spariti, probabilmente erano morti. Lui abitava in una vecchia baracca e viveva di elemosina.
Ero impressionato e turbato.
All’uscita da scuola quel giorno lo rincorsi e con il fiatone gli chiesi: ” Vuoi venire ad abitare con me?”
Lui non capì, probabilmente perchè avevo il fiato corto e allora glielo chiesi di nuovo: “Ti va di venire ad abitare con me?”
Lui fece subito di sì con la testa e prendemmo il Risciò insieme.
Ardeshir, quando mi vide salire sul suo risciò con Pushkar, disse con la sua solita allegria: “E che ci fa questo giovanotto con te sul mio risciò?”
“Viene via con me!” risposi io soddisfatto.
” Ah, vai a casa sua, eh? Fai bene, lui si che è un ottimo cuoco, mi ha fatto assaggiare dei maccheroni buonissimi!” disse Ardeshir.
Naturalmente Pushkar non sapeva neanche lontanamente che cosa fossero i maccheroni, ma fece finta di aver capito.
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