BIOGRAFIA AUTORE: Luca Poli è nato a Pisa nel 1986. E’ laureato in Cinema, Musica e Teatro presso l’Università di Pisa. Da anni coltiva la passione per il teatro e per il cinema. Ha frequentato laboratori di teatro e corsi di scrittura creativa. Clochard è il suo primo romanzo.
LA VOCE DEL SILENZIO – Ep. 1/4
Ore 17: Bussarono alla porta.
Era lei. Non potevo far finta di non essere in casa, sicuramente avrebbe visto l’automobile parcheggiata in cortile.
Così mi decisi ad aprirle la porta.
Entrò in casa e si sedette al tavolo.
Sapevo benissimo cosa voleva dirmi. Mi avrebbe detto che era finita.
Le nostre strade si stavano dividendo.
Io avevo perso il lavoro o forse avevo fatto in modo di essere licenziato, per inseguire un sogno che mi avrebbe costretto a rinunciare ad una comoda vita di città, per andare a vivere là dove la vita è scomoda e si lotta ogni giorno per sopravvivere.
Da anni dopo la mia laurea in lettere, sognavo di portare il mio sapere davanti agli occhi innocenti ed indifesi di bambini che non hanno nulla, ma imparando a leggere e a scrivere possono avere molto.
Ero sicuro che lei non mi avrebbe seguito, glielo si leggeva negli occhi.
Comunque per fugare ogni dubbio glielo chiesi ancora una volta. Lei mi guardò dritto negli occhi e mi disse ancora un deciso e secco: “No!”.
Lei non voleva cambiare vita e voleva continuare a fare ciò che faceva.
Dopo anni di studi, era riuscita a diventare il medico più bravo e stimato dalla città e non avrebbe mai rinunciato a ciò che aveva. Non avrebbe mai rinunciato ad un lavoro che era diventato una passione.
Ed io non avrei mai rinunciato ad un lavoro che sarebbe potuto diventare una passione. Una grande passione.
Mi guardò per qualche secondo, poi come per dirmi addio, mi diede un bacio. Un bacio sulla guancia, tenero e pudico.
Prima che potessi realizzare ciò che stava accadendo, lei se ne era già andata per la sua strada. Ora io dovevo andare per la mia.
Ore 20 del giorno dopo: ero all’ aeroporto. L’India mi stava aspettando.
Mentre ero sull’aereo realizzai che per la prima volta nella vita ero riuscito a mollare tutto e a fare ciò che veramente volevo.
Ad un certo punto però mi tormentò una domanda: avevo fatto bene a lasciare in tutta fretta una vita agiata per avventurarmi in un paese difficile e povero come l’India?
Subito mi balzò davanti agli occhi la risposta. Sentii un bambino che rideva. Mi girai e vidi un giovane padre che giocava a solleticare il suo piccolo.
Vedere quell’uomo e suo figlio giocare insieme felici, mi fece sorridere e commuovere, capii che anch’io potevo dare ad un bambino come quello una speranza di un futuro migliore ed un po’ di felicità. Fu in quel momento che capii, senza ombra di dubbio che la scelta che avevo fatto era quella giusta.
Poi mi addormentai. Quando mi risvegliai, mi sembrava di aver dormito cent’anni.
Fu l’odore nauseante del sedile che mi ricordò di colpo che ero sull’aereo.
Quando scesi dall’aereo ero frastornato, forse per il fuso orario.
Quando entrai nella mia stanza d’albergo, la prima cosa che feci fu buttarmi sul letto.
Il letto era comodo, ma le coperte odoravano di muffa. C’era un fortissimo odore di incenso che mi faceva sentire come sotto l’effetto di una droga.
Così, complice la stanchezza e l’acuto profumo di incenso, mi addormentai ancora.
A svegliarmi furono i raggi del sole che filtravano prepotentemente dagli scurini di una piccola finestra. Era mattina, non so di quale giorno, ma era mattina.
L’odore di incenso sembrava scomparso. In compenso c’era un invitante odore che sapeva di colazione. Faceva un gran caldo ed ero molto sudato per cui mi feci una doccia fresca.
Poi scesi per scoprire che cos’era quel profumo che si sentiva fino da camera mia. Era una strana colazione. Chiesi delucidazioni alla cuoca e lei mi rispose in uno strano inglese, che quelli che avevo nel piatto erano poori, piccoli pani che si consumano tradizionalmente a colazione. Mi spiegò che ci sono vari tipi di poori, quelli farciti agli spinaci (palak poori), alle patate (aloo poori) e dei pani puri al succo di tamarindo, confezionati abbastanza piccoli affinché si possa farne un boccone in modo che il succo non fuoriesca addentandolo.
Per il momento non volevo osare troppo, per cui presi dei poori al succo di tamarindo.
Mi dissi che uno come me che aveva sempre adorato l’India, adesso che ci avrebbe vissuto, non doveva lasciarsi intimorire così facilmente e così addentai velocemente quel panino. Buono pensai, proprio buono! La cuoca mi fece un sorriso perchè capì subito che la colazione era di mio gusto.
Più tardi andai alla vicina scuola elementare, dove mi aspettava una anziana signora che aveva insegnato li per più di trent’anni.
“Nice to meet you” le dissi, lei mi guardò con aria glaciale e mi rimproverò per aver ritardato di un quarto d’ora.
Ma figurati se uno preciso come me, può essere in ritardo! In genere era mia abitudine avere un orologio che spaccasse il secondo ma, un pò il fuso orario, un pò il traffico, arrivai per la prima volta nella vita in ritardo ad un appuntamento.
“Sono venuto con il Risciò, ma se vuole la prossima volta, per far prima vengo su un elefante! ” le dissi ridendo.
Lei rimase di sasso. Mi spiegò con voce potente e severa quel che sapevo già, che dopo trentadue anni di duro lavoro era felice di andarsene in pensione, ma non era felice che fossi io a prendere il suo posto.
Questa volta rimasi io di sasso. Non mi fece aprir bocca e mi disse: “Vedi se riesci a domarle tu queste piccole bestie!” “Buon Lavoro!”.
La lasciai andar via e mi augurai che non mi avesse tirato addosso il malocchio. Appena l’anziana insegnante sparì dietro l’angolo, tutti i bambini si misero a saltare dalla gioia e io scoppiai in una grossa e grassa risata.
Notai che l’ambiente era molto trascurato, il pavimento era sporco, dai muri cadeva l’intonaco e sul soffitto c’erano strane chiazze d’umido.
Ci misi una buona mezz’ora a far mettere tutti al loro posto e quando tutto sembrava tranquillo, uno dei bambini si avvicinò a me, mi guardò dritto negli occhi e mi afferrò un capello, lo tirò con forza e lo strappò. Io rimasi in silenzio. Guardò ancora una volta il mio capello biondo e poi mi chiese senza più esitare da dove io venissi visto che avevo i capelli color paglia. Io sorrisi e gli dissi scandendo bene le parole che venivo dall’Italia. A quel punto lui si avvicinò ad un grosso planisfero e con il dito indicò l’Italia. Stupito mi complimentai con lui e gli diedi un bacetto sulla fronte.
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