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La Sinistra al tavolo dei forcaioli: Ammissioni di colpa

Ho cercato, causa confrontazioni familiari delle più infelici, di cospargermi il capo di cenere e, in nome dell’intera sinistra, recitare un mea culpa generale.

Così, de botto, senza senso.

Signori, se in quest’epoca politica – ma soprattutto sociale – confessare di essere di sinistra equivale a farsi attaccare un bersaglio sulla schiena con su scritto “ipocrita, radical chic, presuntuoso..” se non peggio, il minimo che la Sinistra stessa possa fare è fermarsi un attimo (tanto ultimamente non è poi così impegnata) e sfruttare questo periodo di inoccupazione riflettendo sulle cause della propria sventura.

Come già analizzato nel post elettorale, la colpa non può essere solo dei genitori divorzia(n)ti che si contendono l’affidamento dell’elettorato, qui si pone un vero e proprio dilemma etico: quanto in là può spingersi lo Stato per rappresentare la sovranità popolare?

Quanto possono allargarsi le maglie dei disposti costituzionali per proteggerlo dagli attacchi continui della stessa sovranità popolare?

Chi è che decide cosa sia giusto in uno Stato democratico?

Ecco, è qui che la Sinistra, nel paradosso più ossimorico e incredibile, diventa fascia.

La Sinistra si sta trasformando – non voletemene, ma causa forza maggiore – in un impenetrabile muro di antidemocraticità a difesa dello Stato proprio da quella sovranità popolare che è nata per difendere, e che il popolo cerca di sfondare per cambiare i connotati a un organismo visto come troppo lontano, estraneo, colluso, maligno, che troppi danni ha fatto e che non può essere salvato se non dai superpoteri dei prodi gialloverdi.

Mai si è visto un governo più applaudito, likeato, commentato, abbracciato nell’intera storia politica postunitaria.

Se non provocasse un senso di sartriana Nausea questo spettacolino risulterebbe quasi comico.

Il popolo appare talmente invasato da piangere abbracciando il Ministro degli Interni a un funerale di Stato. Come davanti a San Gennaro, pianti, abbracci, grida da stadio “Grazie Capitano!”, col Signor Ministro che ben si presta alla farsa, fermandosi ad accontentare i fans, mentre il suo compare alza la mano come la Principessa d’Inghilterra a salutare la folla in estasi.

Un’estasi mistica generale, insomma. Per un Governo che fa “fatti, non pugnette!”.

Che per il momento ciò che è riuscito a raggiungere sono due mesi di dichiarazioni a caldo che arrivano dritte alle pance degli elettori, là dove la Sinistra ha cercato senza esito di arrivare con imbonimenti e compromessi vari.

Ma l’ideologia non è contrattabile, e più in là del limite umano oltre il quale procedere significherebbe tradire se stessi, non si può andare. Nemmeno per amor della poltrona.

Ci vedo idealmente, noi radical chic, arroccati nella cittadella di Capalbio, a guardare con disprezzo e un briciolo di commiserazione gli stolti con i forconi che danno alle fiamme il Paese.

Sorseggiando un Prosecco ben freddo, nei completi estivi fresco lana e vestiti di pizzo sangallo. Tutti belli nelle camicie di lino a guardare sullo schermo dello smartphone (un politico Huawei) le immagini spezzacuore dei poveri bambini immigrati affogati nel Mediterraneo, mentre lanciamo brioches ai grillini con le torce.

Più o meno è così che il popolo vede la sinistra. Non più la Mamma Sinistra, operaista, vicina al popolo e alle sue esigenze. Ma quando il popolo non cerca più la causa del proprio malcontento, ma la individua a priori, il compito di Mamma Sinistra è finito.

Quando il problema della disoccupazione sono gli immigrati, i soldi mancano per colpa della casta, lo Stato (gli uomini dello Stato fino a quel momento) diventa il nemico che ordisce i più malvagi piani per affamare il popolo, cosa può fare la politica?

L’opzione A prevede il sedersi a tavolino spiegando, dati tecnici alla mano, l’infondatezza di queste rivendicazioni de core;

l’opzione B prevede l’imbracciare i fucili assieme al popolo e sparare pallini contro gli zingari, annullando di fatto tutte le garanzie di sopravvivenza dell’individuo e dello Stato per cavalcare il flow.

Ce lo vedo Salvini la sera in poltrona, mentre la Isoardi gli stira le camicie e prende con le pinze le pantofole calde dal camino, la polenta sul fornello, che accarezza il suo gatto con ghigno malefico guardando al telegiornale le città date alle fiamme dal popolo in rivolta.

Dall’altra parte dei banchi parlamentari invece, dopo il palese fallimento dell’opzione A, nella nostra innata presunzione abbiamo gettato la spugna. Tanto spiegare al popolo il valore sociale dei vitalizi è inutile, continuare a lanciare dalla rocca bigliettini con su scritto “I vaccini non causano autismo e le classi differenziate sono deiezioni pazzesche” non sortisce risultati, avvicinarsi al popolo tramite i social con pacati e istituzionalissimi post di Facebook in cui si risponde alle accuse per punti, riducendo al minimo le parole che vadano oltre la pagina tre del vocabolario, e aggiungendovi allegati con schemi colorati e diagrammi a freccia, niente può contro il caps lock, i comunicati con i punti esclamativi, e le immagini del fratello della Boldrini in Lamborghini che regala dollari agli immigrati vestiti come Samuel L. Jackson sul viale di Forte dei Marmi.

«RENZI HA PRESO I SOLDI DALLE AUTOSTRADE!!!!»

«Ma guardi che, veramente, possiamo provare che non vi è alcuna..»

«BENETTON PAGA LE TASSE IN LUSSEMBURGO!»

«Anche qui, se solo guardasse un secondo..”»

«AVVIATE LE PROCEDURE, TOGLIAMO LA CONCESSIONE!»

«Le ripeto, si sieda un secondo, chiuda gli occhi e pensi intensamente “Mi trovo in uno Stato di diritto, mi trovo in uno Stato di diritto…»

«NON ASPETTEREMO I TEMPI DELLA GIUSTIZIA!»

«Ma, anche lei, Presidente, che è pure uomo di legge..!»

Poi arriva Orfini, sale sul punto più alto del bastione, imbracciando la sua balestra, e a colpi di denunziequerele, comincia a buttar giù tutti i gialloverdi dalle muraglie a difesa dello Stato.

Orfini che se vuole te le dà

In realtà tutto ciò avrebbe voluto essere un’esegesi della situazione politica per arrivare ad un “non siamo presuntuosi, ma”.

Ma l’onestà intellettuale di sinistra è anche questa, quindi sì, che lo ammettiamo in massa o meno, siamo convinti che alcune fasce della pop

(Ricorda le pance..un po’ più democratica)

Dicevo, siamo convinti della necessità di un’aristotelica aurea medietas tra democrazia e aristocrazia, intesa chiaramente nel senso etimologico del termine. (meglio)

Il popolo ineducato, non istruito e con la pancia vuota non è in gradomi immolo qui come Giovanna D’Arco, avanti, portatemi al rogodi governare un Paese.

Laddove istruito non significa necessariamente laureato, anche perché non so se c’è mai stato un Governo con più laureati in legge di questo, ma se anche Travaglio (lui quoque!) è arrivato a pregare Conte di rimettere i suoi ministri sui banchi di scuola, a ripetizioni di Costituzione e perlomeno della materia alla quale sovrintendono, vuol dire che il problema ce sta’ e pure grosso.

Siamo all’anaciclosi della forma di governo, i governanti oclocrati concedono “leggi alla rinfusa” per dare alle masse l’illusione di essere accontentate, l’intolleranza è tollerata quanto la tolleranza è diventata intollerabile, e si è perso di vista che la “democrazia” sta nel dare ad ognuno l’opportunità di diventare un bravo governante, non nel dare a tutti l’opportunità di governare.

E l’unica speranza di tornare ad essere Mamma Sinistra sta in chi – per citare uno che di strada ne farà parecchia – andrà in mezzo a questa gente “a prendere gli sputi per fare educazione”, rifiutando questo atteggiamento di repulsione, eliminando le distanze del linguaggio formale e la supponenza morale, provando a riscoprire l’empatia, non quella politicamente corretta che ci fa sentire migliori, ma quella che, con pazienza, ci farà capire Perché siamo (così) antipatici.

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“L’abitudine a cambiare le leggi con leggerezza è un male, e se il vantaggio del cambio è piccolo, alcuni difetti, sia nella legge che nel legislatore, sarebbe stato meglio sopportarli con filosofica tolleranza. Il cittadino guadagnerà meno di quanto perderà, abituandosi a disubbidire”. (Aristotele, Politica, II, 8)

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