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La pizza razzista

 

A volte nei luoghi più impensabili accadono i fatti più improbabili.

Questa è la nostra storia.

Spesso la domenica i giovani fuorisede sono soliti prendere la pizza, portarsela a casa e mangiarsela in tranquillità.
Io e il mio coinquilino Giorgio, detto altresì George, ci prefiguravamo di fare proprio questo qualche settimana fa, nessuno di noi due poteva però immaginare che una semplice passeggiata potesse trasformarsi in uno scenario grottesco e razzista.

Fino al ritorno, tutto liscio: pizza in mano, scontrino in tasca e resto nel portafogli, nulla poteva guastare la nostra serata, neppure, come ci illudevamo, l’idea di dover prendere per tornare a casa un pullman.

Mai sbaglio fu così grande.

Appena saliti su un qualunque 38, il sottoscritto finiva subito ripreso da una giovane famiglia romana la quale, alla mia vista e, soprattutto, a quella della pizza, cordialmente mi invitava a sedermi accanto a loro rassicurandomi che, se mi avesse dato fastidio tenerla, l’avrebbero presa e gustata molto volentieri.

La battuta in questione era però solo l’antipasto di quello che da lì a poco sarebbe accaduto.
Due autoctoni e coatti romani, in tenuta casual-sportiva e pieni di tatuaggi e piercing, salirono in quel momento sul bus e, sentendo l’odore pregnante nell’aria di cibo, esclamarono a voce alta “ C’è puzza di fritto” e, dopo una pausa, “Fritto cinese”.
Ignara è tutt’oggi la motivazione dietro frase, una semplice battuta, uno precedente scontro a fuoco con la triade cinese, semplice intolleranza, nessuno sa esattamente il motivo e forse a nessuno importa veramente.
Però accadde, accadde sul serio.

In quel frangente, proprio mentre George pensava  “Popò di coatti che ci sono a giro, nun si può neppure prendere una pizza in pace”, due cinesi, nascoste fin’ora nella calca umana, dal nulla apparvero sulla scena e con una decisa voglia di litigare esclamarono in un approssimativo italiano: “Non c’è puzza di flitto cinese, c’è puzza di una orribile pizza italiana teste di cazzo!”.

Non ci è dato sapere se i due coatti risposero al singolar tenzone o preferirono evitare, io e George infatti arrivammo a destinazione poco dopo, ma a conclusione di questa sgangherata storia possiamo raccontarvi solo questo: alla fine la pizza ce la siamo mangiati e, a dire il vero, sapeva un po’ di razzismo .

(
Con la gentile partecipazione e collaborazione di Giorgio Barsotti)

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