Tratto dall’omonimo romanzo scritto da Warren Adler nel 1981, “La guerra dei Roses” è divenuto celebre per il grande pubblico grazie al successo cinematografico ottenuto con la pellicola del 1989, diretta da Danny de Vito con due protagonisti di rilievo, quali Michael Douglas e Kathleen Turner. La trasposizione teatrale di questa feroce guerra tra due partner, un tempo tanto innamorati, è stata scritta dallo stesso Warren, che vedeva nel teatro la location ideale per far prendere vita al suo romanzo.
La sapiente regia di Filippo Dini ha affiancato agli attori principali Ambra Angiolini (la signora Barbara Rose) e Matteo Cremon (il signor Jonathan Rose) i rispettivi avvocati divorzisti interpretati da Massimo Cagnina e Emanuela Guaiana, per una riduzione essenziale dei personaggi che permettesse al pubblico di focalizzare al massimo il leitmotiv dell’intera narrazione.
Ed è proprio questo fatto il pomo della discordia dell’intera vicenda, che sfocerà in una lotta terribile e straziante tra i due sposi, i quali spinti dai loro avvocati innescheranno un meccanismo offensivo di angherie reciproche sempre più gravi, come la distruzione da parte di Barbara dell’adorata Ferrari del marito. Jonathan, inizialmente il soggetto passivo del divorzio poiché ancora innamorato della moglie, la quale ormai lo detesta e non ne sopporta più nemmeno la vista, si lascia persino convincere dal suo rinomato avvocato a sabotarle un importante cena di lavoro.
Ho apprezzato molto la scelta di distruggere gradualmente la scenografia, opera di Laura Benzi, come metafora della dissoluzione morale ed emotiva di una relazione ormai giunta al capolinea, per mostrare con cocente realismo come due persone che si sono molto amate possano invece giungere ad odiarsi e ferirsi con tanta crudeltà ed estremo distacco. Le luci di Pasquale Mari unitamente alle musiche di Arturo Annecchino, hanno contribuito notevolmente a caricare di pathos l’atmosfera di questa vera e propria guerra delle due Rose, infine un ringraziamento ad Alessandro Lai per i bellissimi e molteplici costumi di scena.
Una commedia sagace e veritiera in cui lo spettatore si sente coinvolto e in parte può rivedere anche se stesso e la propria vicenda personale, interpretata brillantemente da un quartetto affiatato ed irriverente, in grado di far ridere e commuovere il pubblico allo stesso tempo, in soli 120 minuti di rappresentazione, pertanto non posso far a meno di promuovere questa prosa e consigliarne a tutti la visione.