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La (grande) bellezza non è sempre gradita.

Che io sono un po’ una rompiballe in certi momenti, o sempre, lo sappiamo (e sappiatelo).
Quello che proprio non riesco a digerire da due anni a questa parte è il fatto che tutti si sentano in dovere di commentare ogni cosa con toni che presuppongono una superiorità intellettuale (ma d’altronde oggi conta solo come ci si presenta, forse sono io la scema).

Riguardo a “La grande bellezza” ho letto solamente verità calate dall’alto, dette con la puzza sotto il naso e uno snobbismo che raggiunge dei livelli Dalemiani.
Comunque se ben notate il film viene criticato dai soliti intellettualoidi tuttologi contro corrente che si sentono troppo al di sopra per poter apprezzare un film acclamato dalla maggior parte, perché come è noto “la maggior parte” è stupida e non possono certo avere a che fare con persone stupide.

Infatti fino a che il film non è stato candidato ai Golden Globe nessuno si sognava di offendere Paolo Sorrentino, anzi la maggior parte ignorava persino la sua esistenza né aveva mai visto un suo film.
Dopo la candidatura: “radical-chic di tutto il mondo unitevi”.
Neanche fosse una questione di stato i nostri piccoli artisti so tutto io hanno iniziato a scagliare critiche su critiche su Paolo Sorrentino e sul film.
La domanda sorge spontanea: perché le critiche sono iniziate solo dopo l’apprezzamento del grande pubblico?
La regola numero uno per manifestare la spocchiosità da piccolo intellettualoide è quella di acclamare a occhi chiusi qualsiasi opera del cinema d’autore nostrano, che il grande pubblico drogato di cinepanettoni e americanate definirebbe un macigno pesante accessibile solo ai radical chic, a patto di ritirare tutti gli elogi nel caso in cui tale opera dovesse ricevere il consenso anche del pubblico.
Figuriamoci se poi vince qualcosa come un Oscar o un Golden Globe. Roba da piccoli borghesi.
In tal senso la stroncatura molto a posteriori, proprio in occasione del conseguimento del Golden Globe, dice molto.

Un’altra regola della spocchiosità del radical chic eccessivamente nostalgico è quella di bollare qualsiasi opera che non rappresenti una chiara denuncia nei confronti della sovrastruttura politica ed economica come qualcosa di borghese, patinato, irreale, vintage.

La regola numero tre è quella di ricorrere a una lettura forzatamente politicizzata anche per descrivere la lista della spesa della nonna, contro ogni evidenza logica. Solo per darsi quell’aria antipatica da critico consumato orgoglioso del proprio anacronismo, fiero di applicare il materialismo dialettico da marxista di primo pelo anche all’alfabetiere del figlio che va in prima elementare.


Leggere che è un film “pacchiano e esagerato” mi fa chiedere: “Ma che cosa hanno capito del film?”.
Le avanguardie (che queste persone dovrebbero conoscere molto bene e prendere come punto di riferimento) insegnano che non esiste l’esagerazione.
Esiste l’esagerazione bella e quella brutta, esiste il barocco bello e brutto (nonostante ormai il termine “barocco” abbia un’accezione negativa).
La grande bellezza non è un film pacchiano, è un film volutamente sfarzoso, poi che determinate persone non lo abbiano capito e non lo apprezzino è un altro conto.
Non dimentichiamoci, poi, che la cultura postmoderna ha come punto cardinale il citazionismo.
Citare non significa scopiazzare a destra e a manca, significa rielaborare e trasformare l’oggetto scelto.

Per non parlare poi della banale e scontata frase “gli americani di cinema non capiscono niente” seguita da “Vogliono rincorrere nel cinema italiano l’ombra di Fellini anche quando non c’è”.
State pur sicuri che nessun americano si mette a forzare e rincorrere una qualsiasi ombra felliniana per far vincere il premio “miglior film straniero” all’Italia. Anzi, vi dirò di più, se ne sbattono altamente di rincorrere questo o quello.

In sostanza, quindi, ciò che critico non è l’atto in sé di non venerare il film o il regista ma quello di dover smostrare la propria opinione come se fosse quella di Dio, specialmente dopo aver visto che il film è stato largamente apprezzato.
Ci sono altri film che per me avrebbero metitato il premio ma a certi livelli si tratta di soggettività.
Ciò che non si può dire è che “La grande bellezza” sia un BRUTTO film, se non altro per la splendida fotografia che ci regala.

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