La Grande Bellezza
Jep Gambardella non piace al colto pubblico Italiano
Los Angeles, 1999. Tempi gloriosi quelli, anche se il caro Bob ha pagato molto per la sua irrefrenabile allegria che l’ha portato a saltare sulle poltrone da una parte all’altra del Dolby Theatre: di fatto nessun suo film in America è stato più apprezzato e da allora gli americani ci prendono sempre più in giro per i nostri prodotti…aspettate, mi correggo: da allora gli americani non sanno nemmeno più che l’Italia esiste cinematograficamente! Fortuna che abbiamo gente come, Bertolucci, Garrone, Salvatores, Tornatore e Paul Sorrentino, napoletano doc, nonché già regista de Il Divo (che continuano a dare su La7 ma che nessuno si fila più sebbene abbia vinto il premio a Cannes!). Insomma prima della candidatura all’Academy nessuno si interessava all’ultima fatica di quest’ultimo, anzi, molti critici l’attaccarono pesantemente e spararono a zero su di essa: troppo “Felliniano”, troppo retorico ed astratto, un film fuori dal tempo e completamente sbagliato.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: chi scrive il presente articolo non pensa, a grandi linee, assolutamente che La Grande Bellezza (si, l’ho scritta, pace!) sia questo gran capolavoro, ma rimane comunque contento del prodotto realizzato e portato a termine da uno dei migliori autori italiani del momento, sebbene, come era ovvio immaginarsi, ci siano all’interno dei momenti un po’ lenti,
Se, di fatto, i giornali in un primo momento (ricordo un certo giornalista de Il Messaggero in una video-recensione con il redattore del sito Badtaste ad esempio) hanno criticato l’opera di Sorrentino, i più ora hanno gridato a gran voce al miracolo, alla consacrazione ed alla rivelazione sicuri che Internet e gli altri Media avrebbero messo in ombra tutte le parole dette in precedenza da loro stessi.
Così eccolo il risultato, triste e desolante, di quando un film viene messo in luce in un secondo momento, proposto alle persone, e che prima senza tante cerimonie era stato praticamente lasciato alla deriva e a se stesso, conscio di non aver avuto l’onore di essere sulla bocca di tutti. Invece The Great Beauty adesso è diventato essenzialmente un prodotto d’elité, un lavoro che solo pochi possono apprezzare e ancora meno possono comprendere nonché una fonte di guadagno per turisti e allocchi ( a breve saranno visitabili a Roma le location del lungometraggio! Ma allora preferivo fare una capatina al Colosseo 10 anni fa quando uscì Il Gladiatore!). Il problema di fondo a tutto questo è l’ignoranza e l’arroganza.
Ed è proprio così che si perde il senso critico, si perde la serietà e si perde anche un po’ di dignità. Quando non si vuole, talvolta, ammettere che un qualcosa non ci piace ma che comunque diciamo il contrario per tendenza o che non riusciamo a comprenderlo appieno e di conseguenza lo offendiamo senza logica o ritegno, quando non mettiamo in pratica la consapevolezza che noi siamo un insieme di persone che per troppo tempo siamo state abituate al pattume ed alla merda per saper anche solo comprendere un qualcosa di più concreto. Allora, che senso ha vantarsi di essere i maestri del cinema, di essere il popolo di Fellini, di Mastroianni, di film come Otto e Mezzo o di aver avuto poeti e scrittori come Pasolini, Montale e Quasimodo quando nemmeno riusciamo ad avere la pazienza (ma sopratutto la sensibilità) di vedere una pellicola il cui tema principale è quello della decadenza e della condizione esistenziale e costruire su di essa critiche sensate? Ci meritiamo a questo punto i programmi che ci offrono, meritiamo di credere che alcune rappresentazioni siano destinate ad un numero di prescelti, quando invece sono fatte per essere apprezzate da tutti e possono essere viste da ognuno di noi.
Concludendo il tutto, non mi importa, obiettivamente, se la pensate o meno come me, se sono forse meno democratico di altri o se ho pensato anche solo per un istante che La Grande Bellezza sia un buon ( e sottolineo BUONO) film e di dire la mia opinione in mezzo a tanti bei pareri fondati, sta di fatto che è davvero frustrante assistere oggigiorno ad una spaccatura così marcata e così superficiale per contenuti di persone che si sentono Dio dietro ad un computer, che vogliono fare i critici con le loro pagine dedicate alla settima arte (ma che non hanno il coraggio di metterci né il volto né il nome tanto sono intellettualmente nobili e incredibilmente sapienti) ma che poi vanno avanti a Pieraccioni, Michael Bay e Transformers e nei momenti di lucidità vedono Tarantino non perché sia bravo ma solo perché fa moda.
Questo è il pubblico, questo è il nostro grande paese e la nostra arroganza, ove tutti dicono la loro e dove ognuno si sente preso in causa tanto da sentirsi offeso ad ammettere i propri limiti. Chi ha scritto questo articolo ha visto 3 volte il film di Sorrentino ed ancora non si sente di dare un giudizio chiaro e netto, non tanto perché non l’abbia capito, ma perché a volte mancano le basi e non si sente pronto di dire la sua al momento ed in modo ufficiale. Il resto sono solo chiacchere da Bar e commenti su Facebook!
“Finisce sempre così, con la morte, prima però c’è stata la vita, nascosta sotto i bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto nella coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo, bla bla bla bla. Altrove c’è l’altrove, io non mi occupo dell’altrove, dunque che questo romanzo abbia inizio. In fondo è solo un trucco, si è solo un trucco”
Claudio Fedele