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La Gkn: emblema della crisi del lavoro odierno

Gkn

Sabato 24 luglio migliaia di manifestanti si sono radunati di fronte ai cancelli della Gkn di Campi Bisenzio per opporsi ai 422 licenziamenti annunciati dalla multinazionale.

Dallo scorso 9 luglio infatti, i lavoratori dell’azienda sono organizzati in presidio permanete, dopo aver appreso della chiusura della fabbrica attraverso mail inviate dalla proprietà, da anni in mano al fondo d’investimento britannico Melrose Industries. In questi giorni di mobilitazione, tutte le parti politiche, sindacali e istituzionali, unite alle rappresentanze di altre aziende e a singoli cittadini, hanno espresso in più modi la propria solidarietà nei confronti dei lavoratori. Ma per quanto la vicenda abbia fatto rapidamente notizia, provocando una forte indignazione pubblica, la scelta dell’azienda sembra difficilmente revocabile: l’atteggiamento di chiusura della stessa è apparso infatti evidente durante il primo tavolo di trattative tenuto il 15 luglio a Firenze, al quale la proprietà non ha partecipato, se non in remoto e per confermare arrogantemente l’irremovibilità delle procedure avviate.         

La chiusura della Gkn si aggiunge a tanti altri casi analoghi, come quelli riguardanti la Timken, la Giannetti Ruote, la Rotork, e ancora la Ansor, Whirpool, Shiloh e Vitesco: un’ondata di esuberi, in tutto oltre 1200, iniziato appena poche ore dopo la conferma dello sblocco dei licenziamenti; l’accordo, sancito lo scorso primo luglio tra il Governo e le parti sociali, ha già mostrato tutta la sua dannosità, persino nelle previsioni volute maggiormente dagli stessi sindacati confederali, che hanno “conquistato” un’insufficiente raccomandazione rivolta alle imprese affinché si impegnino a utilizzare gli ammortizzatori sociali  per scongiurare le risoluzioni dei rapporti lavorativi.

Lo sblocco dei licenziamenti è stato sostenuto portando avanti una paradossale retorica del “ritorno alla normalità”, smentita tuttavia dall’andamento pandemico e dall’ormai immediata proroga allo stato di emergenza, adottato continuando a ignorare che la vera emergenza, dopo due anni di pandemia, è soprattutto quella occupazionale.

Necessario poi sottolineare che uno dei settori più colpiti dalla crisi è quello dell’automotive, in cui rientrano per l’appunto la Gkn e molte delle altre aziende suddette, le quali hanno motivato la chiusura degli impianti prevedendo crolli dei fatturati dovuti ai processi di transizione ecologica in corso. Considerati dunque i ritardi e l’inadeguatezza del sistema produttivo italiano su questo fronte, è plausibile immaginare scenari simili anche in altre filiere. La riconversione del lavoro però è oramai una necessità improrogabile, alle quale dovevamo essere pronti da tempo; ancora una volta emerge la tossica e falsa contrapposizione tra occupazione e tutela ambientale, che grava tutta sui lavoratori piuttosto che sulle aziende, intente a perseguire i propri profitti anziché investire in modo sostenibile per la produzione futura.

E non è un caso, infine, che le procedure di licenziamento di questi giorni, siano state avviate principalmente da grandi multinazionali, le quali ottengono ingenti incentivi pubblici per poi dislocare, quando più conviene, verso Paesi esteri.

A livello europeo l’attenzione è oggi focalizzata sullo stanziamento dei miliardi destinati all’attuazione dei piani di ripresa; saper cogliere quest’enorme opportunità sancendo un drastico cambio di rotta rispetto agli indirizzi economici prevalenti e investendo prima di tutto sul miglioramento delle condizioni del lavoro, potrebbe garantire una reale ripresa economica. Oltre alle misure emergenziali comunque, è auspicabile giungere finalmente a dei sistemi fiscali, sanzionatori e salariali condivisi, almeno all’interno dell’Unione, che possano imporsi sugli interessi di quelle aziende che lucrano sui diritti dei propri dipendenti.

E sebbene le principali responsabilità dell’attuale situazione lavorativa siano attribuibili alle scelte politiche adottate in questi anni, si afferma nuovamente l’esigenza di una maggiore partecipazione pubblica al lavoro: non a caso, dopo anni di assenza, durante la manifestazione per la Gkn, sugli striscioni è comparsa nuovamente la parola “nazionalizzazione”.

Benedetta Cirillo

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