Verrà inaugurato domani, sabato 25 marzo 2017 alle 18.30 nella chiesa di S.Maria del Soccorso in P.zza Magenta, il Trittico che andrà a completare la pala, già inaugurata lo scorso anno, raffigurante S.Maria del Soccorso. Curiosi di conoscerne la storia, UninfoNews ha intervistato Sofia Novelli ed Elisabetta Carini, due delle quattro artiste dell’equipe completata da Sian Gao, Anna Laslung, ed il Professore Nacho Valdes che ne ha curato l’iter progettuale e l’esecuzione. Il progetto è stato commissionato per la suddetta chiesa dal comitato “Torniamo alla Bellezza” nato nel 2015 con scopo di realizzare opere di arte sacra destinate alla valorizzazione delle varie strutture di culto della diocesi livornese.
La bellezza salverà il mondo: per Dostoevskij la contemplazione della Madonna Sistina di Raffaello era terapeutico, un filtro di lettura per vedere e carpire il bello presente nel mondo e riemergere dagli abissi dell’Io più inesplorato e cupo, quello che vede nel mondo tutto, tranne che bellezza e tutto, tranne che amore per la vita.
Questo senso di bellezza è il perno del comitato che, collegandosi alla Scuola di Arte Sacra di Firenze che ne condivide i principi, punta alla trasmissione del proprio messaggio ed all’insegnamento completo delle discipline artistiche e dei suoi metodi come ricerca della spiritualità. Nei corsi offerti dalla giovane scuola
attraverso la ripresa e lo studio dell’arte, l’applicazione dell’artigianato e del lavoro manuale, vengono insegnati vari tipi di arte pratica, senza distinzioni accademiche o teoriche tra arti “maggiori” o “minori”, migliori o peggiori: cercando di incrementare i livelli degli allievi e le loro attitudini, la scuola afferma nella coerenza il suo credo, affondando le sue radici nella teologia pratica della religione cristiana. Non per ultimo, la scuola tende a far fare esperienza di lavoro in equipe, per utilità di esecuzione ma soprattutto per l’intensità dell’insegnamento comunitario che ne deriva, nella ripresa di un tipo di pratica artistica che parte dal processo creativo.
Il Trittico è costituito da tre pale distinte, dedicate a soggetti molto specifici ed in collegamento tra loro: centrale, sia per importanza che per posizione, è la Madonna del Soccorso, a cui tutti gli altri soggetti risultano legati. Alla destra compaiono San Josemaria Escrivà fondatore dell’Opus Dei con il suo primo successore il Beato Alvaro del Portillo, entrambi devoti alla figura di questa Madonna; alla sinistra invece, due ecclesiastici molto legati alla storia di Livorno: Beato Pio Alberto del Corona che è il primo beato di Livorno, e il Venerabile Giovanni Battista Quilici molto attivo nelle carceri e nei quartieri malfamati della Livorno di inizio Ottocento. Mentre la pala inaugurata lo scorso anno è stata lavorata a quattro mani, gli altri soggetti sono il frutto del lavoro di due giovani pittrici Elisabetta Carini e Sofia Novelli, già parte del nucleo originario.
Com’è nato il coinvolgimento in questa committenza?
Sofia “Vedendo i dipinti per una commissione a Ischia è nato nel Comitato il desiderio di far fare una pala che raffigurasse San Josemaría Escrivá. Al momento del sopralluogo però, vedendo la grandezza della chiesa e la mancanza di un dipinto dedicato alla Madonna a cui è intitolata, c’è stata la decisione di fare un trittico che raffigurasse centralmente la Madonna del Soccorso, a sinistra la figura di Escrivá e a sinistra il primo beato livornese, Pio Alberto del Corona. Il lavoro in Accademia è molto diverso da quello che ci viene insegnato qui: mi trovo molto bene perché ho imparato veramente tantissimo ed ho già avuto più di una commissione, tra cui due alla fine del primo anno durante uno stage, per Ischia. La scuola è forte anche perché ti spiega questo: i professori sono tutti professionisti di livello internazionale, quindi oltre ad imparare un mestiere, ci fanno capire il mondo del lavoro”.
E’ la vostra prima opera di questa portata? Qual’é stata la prima impressione della chiesa?
Elisabetta “E’ la mia prima opera così grande! Io ho sempre fatto opere piccole, infatti è stato molto interessante ed arricchente questo lavoro. Da un lato è più semplice lavorare su grandi dimensioni, dall’altro è molto impegnativa perché ha tempi lunghi di realizzazione.”
Qual’è stato l’iter progettuale dell’opera?
Prof. Valdes ”Al sopralluogo ci ha colpito che l’unica immagine della madonna presente era molto piccola: era necessaria la rappresentazione della figura di Maria, anche perché è una devozione tipicamente italiana, quindi non potevamo trascurarla. Ho optato quindi per la sua raffigurazione, scegliendo di affiancarle i simboli iconografici classici: il serpente al posto del drago, che oggi è veramente poco verosimile, ed al classico bastone che lo trafiggeva ho preferito il piede. Ho cercato di pensare a un’immagine vicina alla società di oggi, non lontana o antiquata: il bastone ad esempio, era poco verosimile non solo a livello di usi odierni, ma è anche fisicamente complicato colpire una bestia con un bambino in braccio! Anche il gioco di sguardi è molto importante: la figura principale non guarda il diavolo, ma il bambino che rappresenta l’uomo, l’umanità intera, per sottolineare il suo essere “colei che soccorre”. Per lo sfondo ho optato per una scelta che inquadrasse il soggetto in maniera non neutrale, creando un’architettura”.
E per i modelli?
S. “Ah! Per i modelli ci siamo trovate difronte a necessità di tempistiche ristrette: quando abbiamo iniziato a lavorare non avevamo la figura della Madonna, mentre avevamo i bambini, che sono miei nipoti. Quindi abbiamo pensato a un nostro compagno, che ha molte amicizie su Facebook, e ci è venuta in mente l’idea di cercare tra i profili dei suoi amici se c’era qualcuno che ci ispirasse, ed alla fine dopo lunghe ricerche abbiamo trovato questa ragazza che era proprio adatta, che fra l’altro si chiama Maria! Aveva i tratti giusti, che riprendevano la dolcezza, lo sguardo, la bonarietà tipiche delle raffigurazioni sacre. E’ stato bello vedere il senso di responsabilità che crea nelle persone l’essere scelte come modelli per questo tipo di raffigurazioni: sapendo che l’opera in cui figureranno per tanti avrà un valore particolare, al di là delle credenze personali o dello scetticismo iniziale, l’atteggiamento è sempre stato quello di serietà e disponibilità nel posare”.
Ah! modelli reali! Molto caravaggesco come processo!!
S. “Sì! Noi spesso lavoriamo molto con le foto quando elaboriamo progetti di composizione: se il soggetto è presente, come i bambini, lo si fotografa e si lavora su quello, ma altrimenti non ci risparmiamo l’uso di vari mezzi per la ricerca, perché siamo abituate ad usare più supporti e strumenti figurativi”.
E per le altre due pale? E’ cambiato qualcosa nell’approccio o nell’esecuzione?
S. “Sostanzialmente no, perché il lavoro, così come per la prima pala, era già progettato ed impostato in armonia con l’idea iniziale. L’iconografia è abbastanza contemporanea proprio perché i soggetti sono vissuti tutti fra fine ‘800 e l’arco del ‘900, quindi ancora non sono stati molto rappresentati, e ci sembrava giusto creare una corrispondenza fra il secolo della vita e il periodo della rappresentazione; inoltre è stato un’opera molto vissuta e, come sempre nel lavoro di bottega, si sperimentano la difficoltà di lavorare insieme, che si affiancano alla soddisfazione ed la crescita che se ne trae e sono un ottimo strumento di sviluppo delle proprie capacità. È stata sicuramente un’esperienza positiva, importante anche per la conoscenza di nuovi soggetti non proprio conosciuti;
ritengo molto bello che si possa contribuire a far crescere nelle persone la devozione, o magari anche la curiosità per questi uomini che hanno donato tutta la loro vita per gli altri. C’è un tipo di trasporto emotivo che parte da noi e che ci lega ai nostri soggetti nel momento in cui le dipingiamo, e che s’instaura giorno dopo giorno, pennellata dopo pennellata rafforzando l’obiettivo per cui sono create”.
Questo trittico risulta diretto e comprensibile e contemporaneo, a dimostrare che l’arte e la spiritualità sono senza tempo, che il legame con le radici del mondo è recuperabile, e che i grandi maestri del passato possono continuare a rivivere, perché no, anche attraverso l’era del 2.0!
“I mezzi sui quali contiamo per raggiungere gli scopi sono l’arte e l’artigianato: per noi arte è artigianato. Vogliamo di nuovo collegare l’arte e la mente: con la rivoluzione industriale la mente ha iniziato a pensare processi a prescindere dalle mani, utilizzando le macchine; il nostro scopo è recuperare quell’unità, quell’unicità dovuta al processo di creazione personale di colui che fa: mani e menti che pensano, menti e mani che modellano. Solo così raggiungiamo quel tipo di prodotto che ha necessariamente un valore ed un livello superiore al freddo prodotto di serie.”
Così Giancarlo Polenghi, il direttore artistico della Scuola, descrive il loro obiettivo di insegnamento, specificando che la bellezza potrà salvare il mondo solo se insegnata attraverso la ripresa della propria spiritualità, per poter ritornare ad un contatto con il mondo di oggi, e saper comunicare con la molteplicità dei mezzi mediatici che disintegrano i rapporti umani.
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