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Tempo fa avevo parlato di Filippo Sensi, in arte Nomfup, lo spin doctor e vero uomo ombra del renzismo, responsabile de facto della comunicazione del PD e da qualche tempo pure di Palazzo Chigi, un vero fuoriclasse della comunicazione politica, colui che muove “i giochi” dalle retrovie.
Da allora di battaglie politiche ne sono passate. Con riguardo all’ultima battaglia –il referendum costituzionale-, per Renzi si è aperta una sfida molto ambiziosa. E come è ben noto, per affrontare sfide ambiziose ci vogliono entourage all’altezza. Proprio per questo, in vista della difficile campagna referendaria, Renzi ha assunto un altro professionista della comunicazione politica, una consulenza costata circa 400.000 euro a Casa PD. È di Jim Messina che parliamo.
Ricordate la campagna alle presidenziali del 2012 “Obama for America”? Se la risposta è sì magari ricorderete anche che è stata la campagna elettorale che ha dato il via ad un nuovo modo di fare comunicazione politica. Dietro a tutto questo c’era Jim Messina, Campaign manager di Obama, con il suo The Messina Group, un vero e proprio “arsenale” il cui obiettivo è “utilizzando la nostra esperienza decennale di campagne elettorali vinte e passaggi di leggi di importanza storica, assistiamo i nostri clienti per affrontare le criticità dei loro problemi e generare soluzioni alle loro sfide”.
A fine 2012 Jim Messina è stato nominato dall’AAPC (The American Association of Political Consultants) come Campaign Strategist of the Year, ma già prima, cioè dal 2009 al 2011, Messina è stato il vice capo dello staff di Obama alla Casa Bianca. Insomma, una carriera piena di vittorie e grandi successi politici, come quella del 2015 in Gran Bretagna, quando il conservatore David Cameron vinse a sorpresa le elezioni britanniche con Jim Messina come Senior Advisor.
Anche per Jim valgono le stesse leggi comportamentali di Nomfup, profilo basso, pochi – ma buoni – follower e così via. D’altra parte Jim a Roma si vede poco, e sono davvero pochi gli eletti in casa Pd che possono partecipare alle riservatissime riunioni strategiche con Jim al Nazareno, si dice Renzi, Nomfup, la Boschi e pochi altri fedelissimi.
A cosa si ispira Jim Messina? A due incontri fondamentali e ad un amore viscerale per la matematica applicata.
Il primo incontro lo ha con il suo mentore principale, Max Baucus, senatore USA democratico, divenuto da due anni ambasciatore USA in Cina, noto per essere stato nei suoi 36 anni al Congresso il massimo esperto delle lobby che contano. Il secondo incontro lo ha con un altro mentore, non di secondo piano: Eric Schmidt, Ceo e poi presidente di Google, un uomo che ha conosciuto a fondo ogni meandro della Silicon Valley, partendo dalla sua conoscenza con Steve Jobs fino ai rapporti con i manager di Facebook e Twitter.
Tramite questi due incontri Jim Messina sviluppa le sue teorie della matematica applicata alla politica, attraverso la strategia dei flussi elettorali digitali, dei “big data” e del “door to door”, che consiste nel convincere gli elettori vagliandoli uno ad uno. La strategia del porta a porta parte da una grande mappatura politica, sociale e culturale delle preferenze degli elettori, cosa più semplice per gli USA che non per l’Italia, e che si attua con l’utilizzo di migliaia di volontari con caratteristiche e strategie di comunicazione simili alle figure sociali di cui si desidera il voto. Una strategia che dovrebbe salvare Renzi e i suoi da una sconfitta referendaria. Non tutti infatti sapevano che Renzi, incerto sul risultato referendario, è stato ben lieto di sborsare 400.000 euro per assumere Jim Messina come responsabile della campagna “Basta un sì”. Scelta che ha vistosamente portato i suoi frutti, perché si può pensare quel che si vuole, ma sulla buona organizzazione – centralizzata a livello strategico e ben radicata a livello territoriale – del comitato “Basta un sì” rispetto ai vari comitati per il no è difficile metter bocca.
Dunque almeno fino al 4 dicembre ogni info-grafica, ogni sfondo dietro una diretta Facebook, ogni concetto ed ogni comunicato stampa che troverete in relazione al sì al referendum – e a Matteo Renzi -, state sicuri che è passato per l’approvazione di Jim Messina.
Un esempio recente è stata la lieve modificazione della strategia di comunicazione politica referendaria post-elezione di Trump. Avete fatto caso che nella diretta Facebook post-elezione di Trump, Renzi ha fatto sostituire le bandiere europee nel suo studio a Palazzo Chigi con sole bandiere italiane? Gli addetti ai lavori sostengono sia stata una scelta di Messina, una scelta precisa, mirata a lanciare un messaggio altrettanto preciso: “l’endorsement europeo non c’entra con noi, questa è una scelta per il bene dell’Italia e basta”, in poche parole Messina ha capito che per vincere il referendum serve di cavalcare l’onda di nazionalismo (O di anti-establishment) che è vistosamente emersa il 9 novembre negli USA. Ma al comitato Basta un Sì è scattata una parola d’ordine ancora più importante dopo l’elezione del tycoon: “quelli del no come la casta, quelli del sì per il cambiamento”. Il concetto è molto semplice, spingere sul fatto che il no è rappresentato dalla vecchia casta, mentre il sì è l’anti-casta, cioè il cambiamento, il “nuovo che avanza”. L’impronta è sempre quella di Messina, che in accordo con Renzi ha spinto ad una modifica concettuale della comunicazione per cercare di intercettare il malessere degli elettori verso la famosa Casta.
Che l’insieme di direttive di Jim Messina siano utilizzabili sia nel bene che nel male è vero. Ma in fondo sarebbe poco intellettualmente onesto non ammettere che quelle di Jim non sono che uno strumento, cioè strategie per far passare un messaggio – in questo caso votare sì -, ma non è il concetto che conta. Nella comunicazione, soprattutto in quella politica, quello che affascina è il modo in cui si riescono a traghettare bisogni specifici degli elettori con nuovi strumenti in linea con il corso dei tempi. Perché tutto è chiaro se si capisce un semplice concetto: anche in politica la sostanza non basta senza la tecnica. E in questo caso Jim Messina e Filippo Sensi ne sono la riprova: politici non ci si può improvvisare, specie in un mondo complesso come quello contemporaneo.