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Isis e Ucraina, questione di priorità

 

 

Il clamore delle proteste di Piazza Maidan è già lontano, così come i giorni della fuga a Rostov del presidente Viktor Janukovic, ma la crisi ucraina con relativi strascichi continua ad occupare il primo posto nelle agende dei più importanti leader occidentali, da Barack Obama ad Angela Merkel, passando per il premier italiano Matteo Renzi. Non si contano più gli scambi di battute quotidiani tra questi ultimi, il primo ministro di Kiev Petro Poroshenko e Vladimir Putin, ertosi come sua consuetudine a tutela delle vere o presunte minoranze russe nell’area, mentre sul campo la guerra tra i separatisti dell’autoproclamatasi “Repubblica di Donetsk” e i soldati dell’esercito ucraino sembrerebbe momentaneamente interrotta, sebbene la tregua raggiunta nelle scorse settimane a Minsk tra le parti in lotta appaia molto più fragile del previsto.

 

 

Contemporaneamente, negli stessi istanti, il Medio Oriente è sconquassato dall’offensiva scatenata dallo Stato Islamico nel nord della Siria e dell’Iraq, ma, al riguardo, l’attenzione del mondo occidentale è stata fino a questo momento tanto blanda da risultare quasi forzata agli occhi di un attento osservatore. Gli jihadisti sunniti di Al-Baghdadi, talmente estremisti da bollare Hamas, il più violento ed accanito movimento palestinese anti-israeliano, anch’esso sunnita, come “apostata” e “indegno di guidare il jihad” (in pratica, come se Richard Nixon avesse definito Augusto Pinochet un riformista socialdemocratico), hanno sconfitto ripetutamente il nuovo esercito iracheno, addestrato ed armato per dieci anni dagli Stati Uniti con metodi a questo punto tutti da verificare, nel corso dell’estate e, non prima di aver dichiarato guerra all’Occidente e di aver sterminato o costretto alla fuga le minoranze sciite, cristiane e yazide residenti nei territori occupati,  stanno ora assediando la regione di Erbil, capitale del Kurdistan, difesa in modo quasi epico-cavalleresco dai guerriglieri peshmerga curdi. Non bisogna dimenticare, inoltre, come lo Stato Islamico controlli indisturbato la quasi totalità della Siria settentrionale, ove si trova anche la sua capitale, Al-Raqqa, avendo da tempo costretto sulla difensiva i ribelli moderati dell’Esercito Siriano Libero e del Fronte Islamico, nonché gli altri estremisti qaedisti del Fronte Al-Nusra.

Tuttavia, nonostante l’evidente gravità della situazione, “arricchita” dalle molteplici esecuzioni  di ostaggi da parte dello Stato Islamico, le potenze occidentali si stanno limitando a sporadici raid aerei sulle posizioni jihadiste nel solo nord dell’Iraq, condotti prevalentemente dall’aeronautica statunitense e da quella francese, mentre il presidente americano Obama si dichiara “fiero” del lavoro dei suoi sottoposti, incaricati di mettere insieme una coalizione panaraba anti-Isis dai propositi tutt’altro che chiari (finanziare il governo iracheno? Equipaggiare i peshmerga? Attaccare direttamente i miliziani jihadisti? Fornire addestramento militare ai ribelli siriani moderati?), l’azione principale del suo governo risulta ancora indirizzata contro il leader russo Vladimir Putin, la cui condotta in politica estera è certamente più che discutibile, ma che costituisce tutt’altro che una minaccia diretta alla sicurezza dell’Europa e degli stessi Stati Uniti. Ciò non solo ha contribuito ad infiammare ulteriormente il contesto politico internazionale, ma ha anche costretto l’Unione Europea ad irrogare sanzioni economiche alla Russia, di fatto agendo contro il proprio interesse, poiché ora più che mai le industrie del Vecchio Continente sarebbero bisognose di investimenti provenienti dall’estero e bloccare sul nascere questi ultimi, con tanto di toni diplomatici sdegnosi, è l’esatto equivalente di un suicidio.

Putin è stato, inoltre, l’unico leader di un Paese occidentale, se non nell’etnia almeno nelle fondamenta culturali, ad aver affrontato efficacemente un’insurrezione islamica sunnita, in Cecenia a partire dalla fine degli anni ’90, e ad averla quasi del tutto eradicata, almeno nella sua ala più oltranzista. Certamente, in quei frangenti, l’esercito russo non agì nel pieno rispetto del diritto internazionale, ma attaccare in modo così duro un potenziale, potentissimo alleato contro lo Stato Islamico, in particolare in Siria, dove ha sempre sostenuto il laico Bashar Al-Asad, impossibile da mettere da parte così alla leggera, a questo punto, appare un’automutilazione dalla miopia politica sconcertante. La diplomazia occidentale, soprattutto europea, ha senz’altro il dovere di assicurare che la pace in Ucraina sia stabile, duratura e priva di ingerenze esterne, ma deve altresì affrettarsi ad intavolare un serio tavolo di trattative con la Russia per discutere della crisi in Medio Oriente, soprattutto nel teatro siriano, dove l’intervento occidentale sarebbe ben più difficoltoso che in Iraq e dove un ruolo chiave dovrà essere giocato dalla Turchia, avversa da sempre ai curdi, ma, al tempo stesso, membro della NATO.

Del resto, vale la pena gettare a mare l’unico punto comune in politica estera tra Stati Uniti, Europa e Federazione Russa per una questione di principio?

 

  • Arancione: Governo Siriano
  • Verde acqua: Ribelli non Isis
  • Grigio: Isis
  •  Verde: Curdi
  • Viola: Governo iracheno

 

 

Marco D’Alonzo

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