Il clamore delle proteste di Piazza Maidan è già lontano, così come i giorni della fuga a Rostov del presidente Viktor Janukovic, ma la crisi ucraina con relativi strascichi continua ad occupare il primo posto nelle agende dei più importanti leader occidentali, da Barack Obama
Contemporaneamente, negli stessi istanti, il Medio Oriente è sconquassato dall’offensiva scatenata dallo Stato Islamico nel nord della Siria e dell’Iraq, ma, al riguardo, l’attenzione del mondo occidentale è stata fino a questo momento tanto blanda da risultare quasi forzata agli occhi di un attento osservatore. Gli jihadisti sunniti di Al-Baghdadi, talmente estremisti da bollare Hamas, il più violento ed accanito movimento palestinese anti-israeliano, anch’esso sunnita, come “apostata” e “indegno di guidare il jihad” (in pratica, come se Richard Nixon avesse definito Augusto Pinochet un riformista socialdemocratico), hanno sconfitto ripetutamente il nuovo esercito iracheno, addestrato ed armato per dieci anni dagli Stati Uniti con metodi a questo punto tutti da verificare, nel corso dell’estate e, non prima di aver dichiarato guerra all’Occidente e di aver sterminato o costretto alla fuga le minoranze sciite, cristiane e yazide residenti nei territori occupati, stanno ora assediando la regione di Erbil, capitale del Kurdistan, difesa in modo quasi epico-cavalleresco dai guerriglieri peshmerga curdi. Non bisogna dimenticare, inoltre, come lo Stato Islamico controlli indisturbato la quasi totalità della Siria settentrionale, ove si trova anche la sua capitale, Al-Raqqa, avendo da tempo costretto sulla difensiva i ribelli moderati dell’Esercito Siriano Libero e del Fronte Islamico, nonché gli altri estremisti qaedisti del Fronte Al-Nusra.
Tuttavia, nonostante l’evidente gravità della situazione, “arricchita” dalle molteplici esecuzioni di ostaggi da parte dello Stato Islamico, le potenze occidentali si stanno limitando a sporadici raid aerei sulle posizioni jihadiste nel solo nord dell’Iraq, condotti prevalentemente dall’aeronautica statunitense e da quella francese, mentre il presidente americano Obama si dichiara “fiero” del lavoro dei suoi sottoposti, incaricati di mettere insieme una coalizione panaraba anti-Isis dai propositi tutt’altro che chiari (finanziare il governo iracheno? Equipaggiare i peshmerga? Attaccare direttamente i miliziani jihadisti? Fornire addestramento militare ai ribelli siriani moderati?), l’azione principale del suo governo risulta ancora indirizzata contro il leader russo Vladimir Putin, la cui condotta in politica estera è certamente più che discutibile, ma che costituisce tutt’altro che una minaccia diretta alla sicurezza dell’Europa e degli stessi Stati Uniti. Ciò non solo ha contribuito ad infiammare ulteriormente il contesto politico internazionale, ma ha anche costretto l’Unione Europea ad irrogare sanzioni economiche alla Russia, di fatto agendo contro il proprio interesse, poiché ora più che mai le industrie del Vecchio Continente sarebbero bisognose di investimenti provenienti dall’estero e bloccare sul nascere questi ultimi, con tanto di toni diplomatici sdegnosi, è l’esatto equivalente di un suicidio.
Del resto, vale la pena gettare a mare l’unico punto comune in politica estera tra Stati Uniti, Europa e Federazione Russa per una questione di principio?
- Arancione: Governo Siriano
- Verde acqua: Ribelli non Isis
- Grigio: Isis
- Verde: Curdi
- Viola: Governo iracheno
Marco D’Alonzo