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Vi raccontiamo il nostro Sanremo: intervista ai Siberia

(Foto di Olga Ferretti ed altri)

Sono le sette di martedì sera, attendo i Siberia davanti alla loro sala prove, mi hanno dato appuntamento a quell’ora. Nessuno si presenta, attendo. Sette e venti, arriva Piero, il bassista, si scusa per il ritardo. Poi Matteo, il chitarrista.

-Io almeno avevo avvertito- dice Piero con ironia.

Sette e quaranta ecco Eugenio -chitarra e voce- e Luca -il batterista- escono dalla stessa macchina, entrambi si scusano per il ritardo.

-Non siete cambiati per niente, siete sempre i soliti di prima- rispondo ridendo. L’atmosfera si è già sciolta.

E questi sono i Siberia: Eugenio Sournia, Luca mele, Matteo D’Angelo e Piero Laganà, quattro ragazzi livornesi dai 21 ai 24 anni. 

Eugenio, il frontman, studente di giurisprudenza, dal volto posato ma dalle movenze frenetiche, appassionato di cultura e spiritualità così come di calcio, tanto che ama gustarsi gli anticipi sul divano di sabato sera accanto al nonno. Piero mio compagno di classe al liceo, un pazzo, il “giullare” sempre pronto a ravvivare ogni serata, un creativo, uno spirito libero, studente di design industriale. Luca, musicista eclettico, curioso sperimentatore di ogni genere musicale, dall’animo sensibile ma di forza vulcanica, studente di architettura. Matteo, con baffi d’altri tempi, aspetto garbato in aperto contrasto con il modo in cui suona la chitarra, un sorriso che trasuda pacatezza. Di tanto in tanto ci incontriamo alla facoltà di economia che frequentiamo entrambi.

Sono passati pochi giorni dal loro ritorno da Sanremo, si respira ancora il loro entusiasmo, eppure i loro volti sono identici a prima. La mia impressione è la stessa di sempre, non è come vederli in tv. Forse mi aspettavo che qualcosa fosse cambiato dopo quella diretta nazionale, e invece mi sbagliavo, nonostante la presenza sul palco dei fiori, i Siberia sono sempre loro stessi, pieni di una carica giovanile ed una spensieratezza che non li abbandonerà mai.

Quando tutti e quattro sono insieme, sembra che niente possa fermarli dal fare qualsiasi cosa venga loro in mente, dalle cose più semplici ai più freschi lampi di genio. Freschi come al contempo sa essere fredda e statuaria la lirica profonda e introspettiva del loro “animo siberiano”.

Chi sono i Siberia lo scoprirete da questa intervista, a rispondermi tutti e quattro.

Ragazzi, è un piacere rivedervi. Tanto per cominciare parliamo del vostro nome. Avete evidenziato più volte il rimando al romanzo “Educazione Siberiana” di Nicolai Lilin, alla Russia di Dostoevskij, quindi per voi la Siberia è il luogo dell’anima, dell’introspezione, giusto?

Eugenio: Senz’altro “Educazione Siberiana” è affascinante, è un romanzo circolare che incarna un mondo. Per cui, dovendo pensare ad un qualcosa più evocativo che descrittivo, ecco la scelta del nome. Tutti noi, in particolar modo io, abbiamo sempre prediletto i classici russi, proprio perché affascinati da questo mondo. Per esempio un libro molto bello è “I racconti della Kolyma” di Varlam Šalamov, che parla dei gulag sempre in modo circolare; sono circa trecento pagine di varie storie da cui viene fuori l’animo del popolo russo, la brutalità storica dei gulag e così via, però non è un libro descrittivo come quello di Primo Levi riguardo la shoah, ma è piuttosto un libro che prende spunto dal dramma dei gulag per parlare dell’animo introspettivo del popolo russo.

Diciamo che noi siamo legati a quel mondo un po’ come i Joy Division lo sono ad un altro. Il nome Joy Division viene dal fatto che i nazisti avevano imprigionato un gruppo di ebree e le usavano come “giocattoli sessuali”, nel farlo le chiamavano “Joy Division”. Ovviamente nessuno trae ispirazione dalla violenza e dalla cupezza di certe situazioni ma il nome di un gruppo se non è descrittivo deve essere evocativo di un qualcosa, questo è il nostro caso.

Tuttavia anche se il nome nasce da un romanzo che affronta delle tematiche ben precise noi non leghiamo tutto il nostro progetto all’atmosfera del romanzo. Siberia evoca un mondo preciso, ma la poetica di un gruppo non può essere monocorde, perché alla fine nessun uomo è sempre dello stesso umore, o sempre vestito dello stesso colore. Pensa all’immagine dei punk, che vedi sempre vestiti in modo punk, quando però si devono sposare li vedi vestiti per la prima volta eleganti, in giacca e cravatta. Sono ridicoli perché non riesci proprio a immaginarli. Questo è quello che noi vogliamo evitare nei limiti del possibile. La nostra sfida è quella di cercare di avere comunque una propria identità e un sentimento di fondo comune tra i vari pezzi, ma al contempo, anche quella di riuscire a fare di tutto senza scadere in quella sensazione lì, cioè nel ridicolo di un’etichetta rigidamente impostata.

Ad esempio “gioia” è un pezzo diverso dal nostro cliché.

Eugenio, chitarra e voce.

Oltre a questi quali sono i vostri riferimenti musicali e culturali, soprattutto nella musica italiana? So che vi definite “il connubio più onesto tra l’esasperazione new wave e la dolcezza del cantautorato italiano”.

Eugenio: Sicuramente i Baustelle sono stati il gruppo che mi ha fatto capire quanto poteva essere interessante ascoltare la musica italiana. Per me ascoltare musica italiana anni ’60-’70 era impensabile, perché quando hai sedici anni non vuoi ascoltare cose belle, ma cose fighe, che ti fanno sentire figo quando le ascolti. Quindi i Joy Division, che allora non erano così di moda come oggi. Nel 2008-2009 era ancora l’inizio del revival, o comunque non era ancora abusato come adesso, io mi ricordo che a scuola la musica italiana non l’ascoltava nessuno. 

E invece con i Baustelle ho capito che i grandi artisti come Tenco e Battisti mi potevano piacere altrettanto se non di più dei vari Strokes, Franz Ferdinand, eccetera.

Se però i Baustelle hanno acceso il mio interesse verso la musica italiana i principali riferimenti che ho sono sicuramente Tenco e soprattutto Battisti che ho ascoltato così tanto da piccolo, che tutt’oggi mi influenza ancora molto.
Poi senz’altro, anche se più moderni, i CCCP.

Nella descrizione della vostra pagina Facebook avete scritto: “L’estetica musicale e la lirica dei Siberia non hanno nulla di ironico o sarcastico: rimanere sempre seria, nella sua cupezza drammatica, così come nello slancio e nella felicità dei momenti più splendenti, che non mancano”, alla luce di questo e della vena introspettiva e profonda insita nel vostro nome mi domando cosa significhi per voi fare musica ed essere musicisti. Cercate di comunicare qualcosa in particolare al vostro pubblico oppure c’è dell’altro?

Eugenio: Rispondendo con sincerità direi che secondo me lo scopo didascalico è sempre presente, cioè si vuole sempre cercare di dare il buono esempio. A me è sempre interessato farlo, anche se magari spesso sono debole e non mi riesce fare certe cose in prima persona, ma non mi permetterei mai di non incoraggiarle. Per me chi fa qualcosa di pubblico come scrivere un libro, una canzone, o dare un consiglio ad un amico senza incoraggiare commette il più grande dei peccati, anche se l’autore del gesto in prima persona non è in grado di seguire quel che vuol comunicare all’altro deve comunque provare a fare del suo meglio. So che può sembrare un’ipocrisia ma lo percepisco come un dovere. Questo è lo scopo, anche se poi noi, come tutti, ricerchiamo anche la soddisfazione personale, l’esternalizzare agli altri quello che abbiamo dentro. Diciamo che il fondo è lirico, cioè il parlare di noi, però è anche un io lirico rielaborato in maniera tale da poter costituire un qualcosa di utile anche per gli altri.

“Il mare”, per dire, è una canzone che parte da un’esperienza autobiografica, però c’è un superamento che ha una valenza più che altro esemplare, perché nel momento in cui l’ho scritta questo superamento non l’avevo ancora fatto personalmente, però mi sono sforzato di mettercelo lo stesso.

Matteo, il chitarrista.

Perché potesse essere un arricchimento per gli altri?

Eugenio: Ecco si, esattamente. Poi magari non è onesto, però penso che sia comunque un dovere.

Ricordo quando con i miei (e vostri) amici venivamo ai vostri primi concerti, ad esempio ad Emergenza Festival, a saltare e cantare sulle vostre canzoni. Eravate ragazzini, oggi però i Siberia sono una band promettente. Come giudicate il percorso artistico che avete fatto negli ultimi tempi?

Eugenio: Incredibile. O meglio dal punto di vista artistico non sta a noi dirlo, però a livello di risultati obiettivamente si, due anni fa eravamo sciolti, non esistevano i Siberia, abbiamo ricominciato a suonare insieme nel febbraio 2014 senza neanche darci troppi obiettivi però dopo un anno e mezzo siamo arrivati alle selezioni finali di Sanremo, abbiamo un’etichetta a cui dobbiamo tantissimo e anche se al momento non sappiamo quali saranno i nostri risultati abbiamo un disco che deve uscire e tanti altri progetti attivi. Già essere sopravvissuti rispetto a quando abbiamo vinto le fasi regionali di Emergenza Festival ed essere ad oggi presi veramente sul serio è un gran traguardo, poi il futuro non si può prevedere.

Passiamo all’esperienza che avete appena affrontato. Cos’è per voi Sanremo?

Matteo: Sanremo per noi è sempre stato un punto di partenza e non di arrivo, il nostro obiettivo non è mai stato quello di vincerlo, tanto che noi fino a due settimane prima di andare a Roma a fare le audizioni non sapevamo nemmeno di dover presentare un brano. L’etichetta ci ha chiamati in tutta fretta, abbiamo presentato il brano ed è iniziato tutto così.

Eugenio: Senz’altro come ho detto sia a QuiLivorno che alla Rai, suonare a Sanremo è come entrare in parlamento, nel senso che comporta una certa responsabilità. Perché Sanremo, volente o nolente, è il tempio della musica leggera italiana, per quanto magari l’Alcatraz di Milano invece sia il tempio della scena alternativa italiana. Però è un’investitura ufficiale, noi ci siamo preparati duramente per esserne all’altezza ed io mi sono meravigliato perché non ci siamo sentiti per niente fuori posto.

I Siberia a Sanremo Giovani

Cosa vi hanno detto amici e familiari appena saputo della vostra partecipazione a Sanremo?

Eugenio: Tutti sono stati veramente molto entusiasti, abbiamo sentito persone che non sentivamo da anni, amici, parenti ma anche persone sconosciute. Questo ci ha fatto molto piacere ed in un certo senso ci ha caricati.

Piero: Ho notato che molte persone che mi hanno sempre snobbato, si sono interessate a me per la prima volta, e addirittura oggi uno di questi mi ha detto che sarebbe venuto a vederci al prossimo concerto.

Eugenio: Persino una farmacista, che non mi conosce, mi ha detto “ma te sei il cantante dei Siberia?”. E tutto questo sicuramente da grande soddisfazione.

Luca: Come quando alla stazione un ragazzo che nessuno di noi conosceva personalmente, ma comunque era una faccia vagamente conosciuta, ci ha fatto l’ in bocca al lupo.

Com’è stata la vostra esperienza a Sanremo Giovani?

Eugenio: Senza dubbio l’esperienza è stata molto arricchente perché andare è Sanremo è come andare in guerra: lì si fa sul serio.

Matteo: È come per un calciatore arrivare dalla serie B alla semifinale di Coppa Italia.

Eugenio: Si esattamente, diciamo che comunque è una visione del vero mondo dello spettacolo, quello realmente professionale e serio.

Sinceramente, cosa ne pensate della vostra performance?

Eugenio: Ecco per quanto riguarda la nostra performance, questo mondo professionale è un po’ sfumato, o meglio, secondo me noi abbiamo dimostrato di poterci stare e sicuramente chi ci conosceva da tanto tempo si sarà reso conto dei nostri miglioramenti.

Certo, vedervi in tv faceva una certa impressione.

Eugenio: Sì, considera però che era tutto in half playback, nel senso che io cantavo dal vivo, ma gli altri erano in playback. Il problema è stato che la voce di Matteo doveva essere in base, cioè registrata ma…

Matteo: Ad ogni prova tutto andava bene, ma proprio quando siamo saliti sul palco in diretta nazionale il tecnico ha attivato il microfono che non mi aveva mai attivato.

Eugenio: Cioè lui in diretta nazionale non sapeva che il suo microfono era acceso e che la sua voce usciva dal vivo, per cui era a forte rischio stonatura.

Matteo: Fortunatamente ho deciso di intonare lo stesso perché mi piace farlo. Questa è stata un po’ una macchia, anche perché la Rai doveva gestire soltanto due cose: il microfono e la base. Non è che c’era da fare un soundcheck complicato. Comunque in generale questo lo raccontiamo solo a titolo di aneddoto, non pensiamo minimamente che sia stato un tentativo di sabotaggio o che in un qualche modo abbia influito sulla nostra performance.

Eugenio: Questa esperienza comunque per noi è stata altamente formativa, perché in quei quattro giorni ci si è aperto il cuore, nel senso che per la prima volta l’abbiamo percepito come un momento di grande importanza nelle nostre vite.

Eh sì, poi immagino l’emozione del sentirsi tutti i riflettori d’Italia addosso.

Eugenio: Sì, è un’emozione, però diciamo che non è per forza un’emozione positiva o negativa, per esempio io quando ho suonato ero carico di voglia e di adrenalina ma non ero spaventato.

Matteo: Io chiaramente essendo in playback ero del tutto felice di essere lì.

Piero, il bassista.

Giovanni Allevi vi ha criticati in merito alla metrica e se non sbaglio Carolina Di Domenico per la somiglianza ad un altro gruppo, anzi più che ad un altro gruppo ad un umore generico; a me è sembrato che Allevi fosse entrato in, passatemi il termine, “competizione intellettuale” con voi, in particolar modo con Eugenio, cosa ne pensate e soprattutto, credete che queste due critiche abbiano influito molto sulla la scelta finale della giuria?

Eugenio: La modalità di scelta finale della giuria era diversa da quella iniziale. Nella prima ognuno esprimeva un voto sul gruppo da eliminare, nella seconda invece ognuno esprimeva un voto segreto da uno a otto per ogni gruppo, così alla fine i due gruppi con la media più bassa venivano eliminati. È ovvio che dando ad esempio un 1, un gruppo non sarebbe mai passato perché avrebbe rovinato la media. In questo senso forse erano facilitati quelli che risultavano più neutri, meglio avere tutti 4 che tanti voti alti e magari due voti da 1. Essendo noi una proposta abbastanza diversa dalle altre nel bene o nel male…

O bene bene oppure male male.

Eugenio: Esatto.

Matteo: Poi penso che il voto fosse espresso sul risultato atteso dalla serata. Considera che i giudici presenti non ci ascoltavano per la prima volta e durante l’esibizione hanno dato un giudizio puramente visivo perché l’acustica era pessima. Secondo me era tutto premeditato, ma non nel senso di un patto già concordato, ma nel senso che qualche giudice forse la decisione l’aveva presa già prima di sedersi al tavolo, ascoltando le canzoni nei giorni precedenti, poi non è comunque nostra intenzione fare polemica, anzi, rispettiamo le decisioni dei giudici.

Eugenio: Poi purtroppo in Italia il concetto di band non è mai decollato un granché e infatti nessuna band o duo è passato alla fase finale.

E riguardo la “competizione intellettuale con Allevi?”

Eugenio: Io direi che proprio perché siamo andati lì cercando di essere il più veri possibile, eravamo emozionati ma allo stesso tempo sicuri di noi stessi e di quello che avevamo da dire, anche per una questione di rispetto verso pubblico e giuria, per cui chi mi conosce lo sa che ho una parte da intellettuale che però viene controbilanciata da una cospicua parte di idiozia e spontaneità che magari in trenta secondi di serietà in televisione può non venire fuori, quindi capisco che possa sembrare finto, e venga la voglia di “rimettermi apposto” per così dire. Sicuramente abbiamo cercato più di tararci sul cervello che non sulla pancia degli ascoltatori, questo è certo.

Matteo: Io credo che comunque Allevi non abbia agito di impulso, ma abbia criticato la canzone perché non gli è piaciuta sin dalla prima volta che l’ha sentita, e questo ci dispiace.

Parliamo di “Gioia”, Eugenio l’ha definita più volte come “un inno alla leggerezza”, un po’ in contrasto con la vostra anima introspettiva, perché avete scelto proprio gioia per Sanremo?

Eugenio: Innanzitutto “Gioia” è un pezzo molto cantabile, è una delle nostre canzoni “più cantate e meno declamate”, perché altri pezzi sono più delle invettive. Poi il limite era di 2 minuti e 30 secondi e abbiamo dovuto tagliare pure “Gioia”, già questo per noi è stato problematico.

Matteo: Diciamo che è un pezzo più leggero.

Eugenio: Sì per noi era bello questo contrasto tra quell’umore un po’ scuro che spesso è a noi associato, soprattutto alla mia voce molto profonda.

Matteo: Gli altri brani non sarebbero stati adatti, a parte forse “Patria”.

Chi, secondo voi che li avete conosciuti, tra i giovani in gara si è meritato di più di accedere alla finale, sia da un punto di vista musicale che personale?

Matteo: Secondo me una cosa che si sarebbe potuta cambiare nella direzione artistica è che alcuni dei partecipanti hanno già carriere più importanti alle spalle, qualcuno ha scritto testi per autori famosi, altri hanno aperto gruppi famosi quali gli Oasis, altri addirittura erano già passati da altri talent show.

Luca: Io se dovessi fare una critica direi che anche quelli che secondo noi erano più meritevoli hanno ben poco di “giovane”, nel senso che sono al limite dell’età di gara, però magari rispetto a noi pur non avendo l’età hanno un’immagine più televisiva, sono più attivi e conosciuti sui social network. Parlo comunque di persone molto squisite, che si meritavano di essere su quel palco senza dubbio più di noi.

Quindi chi sono stati secondo voi i migliori?

Luca, il batterista.

Matteo: Ermal Meta e Francesco Gabbani, sia come artisti che come persone.

Luca: Io addirittura me le sono salvate su Spotify le loro canzoni perché sono molto bravi.

Eugenio: C’è da dire però che il clima umano era ampiamente disteso, sereno e abbastanza piacevole, parlo anche degli addetti ai lavori i tecnici e tutto lo staff della Rai. Siamo stati davvero bene con tutti gli altri.

Quindi non è un ambiente così competitivo come si dice?

Eugenio: No, tra gli artisti no, c’era assolutamente un clima di grande umanità e simpatia reciproca.

Terminiamo con il presente ed il futuro. Com’è stato il ritorno a casa da Sanremo?

Eugenio: Alla spicciolata, molto riflessivo ma con un grande sorriso stampato addosso. Siamo tornati molto sereni e soprattutto consapevoli di aver vissuto una grande esperienza formativa.

Alla fine di questa esperienza cosa ne pensate del panorama musicale giovanile italiano?

Eugenio: Riguardo il mainstream per noi che veniamo da un panorama più underground devo dire che per quanto io da piccolo abbia sempre un po’ disprezzato le canzoni eccessivamente pop o di “facile ascolto”, obiettivamente a viverlo più da vicino ci si rende conto che c’è una grande maestria ed una grande capacità almeno tecnica e di presenza che rende queste persone dei grandi performer, perché comunque molte volte chi fa indie magari è un’artista validissimo ma si rinchiude in una nicchia, purtroppo non per sua scelta.

Diciamo che sono due mondi che andrebbero distinti, un po’ come il calcetto ed il calcio a undici: chi gioca a calcio a cinque tendenzialmente è più tecnico di chi gioca a calcio a undici, però magari non ha quelle doti atletiche e tattiche che servono per essere un calciatore da undici, così magari gli artisti migliori, a nostro gusto, sono nell’indie, però è anche vero che a Sanremo abbiamo conosciuto musicisti di alto livello. Persone con cui non potevamo proprio permetterci di darci delle arie. Noi abbiamo partecipato, abbiamo dimostrato di esserci rientrati, e questo è un onore, ma ci siamo entrati solo in virtù dei progressi fatti negli ultimi mesi.

Sicuramente la scena mainstream non è il nostro sbocco naturale, però al tempo stesso la rispettiamo sia a livello artistico che prestazionale, poi magari tutto il contorno, essendo comunque un livello professionale più alto ne amplifica i difetti.

Che consigli dareste ad una band appena formata che vuole impostare un percorso musicale simile al vostro?

Eugenio: Uno dei nostri segreti, e forse è il consiglio più grande che possiamo dare, anche se può sembrare banale, è che siamo veramente amici, stiamo insieme 24 ore su 24, ci supportiamo a vicenda ed è sempre stato un grande piacere trovarci per provare. Io ho avuto altre band e se non abbiamo raggiunto risultati simili è stato proprio per la mancanza di un clima analogo. Tutti noi però pensiamo che una scintilla di talento ci debba comunque essere perché il talento non si può inventare.

Matteo: Un’altra cosa fondamentale è crederci.

Piero: Sì esatto, ci deve essere un momento in cui riesci a vedere quello che fai come un lavoro e quindi riuscire a capire che vale la pena insistere: se un processo artistico è valido ha un rientro buono, a quel punto devi riuscire a capire che questo rientro buono deve essere sfruttato.

Matteo: Però questo rientro buono potrebbe anche non esserci, per cui in ultima istanza è stata senz’altro essenziale anche la fortuna, perché in una certa dimensione l’abbiamo avuta, ma l’abbiamo avuta perché ci abbiamo creduto fino in fondo. So che sembra banale ma è così che è andata.

Cos’è Maciste Dischi, la vostra etichetta discografica?

Piero: Ed è proprio qui che entra in gioco la fortuna.

Eugenio: Sì, il resto alla fine è stato tutto un percorso meritato ma questa è stata la nostra grande fortuna.

Matteo: Iniziò tutto con la registrazione del nostro EP al Big Wave Studio di Livorno, un collaboratore dello studio ci consigliò di fare una promozione sui social e precisamente da Twitter ci è arrivato un messaggio di uno che aveva un fratello, Claudio Caliendo, che conosceva quello che sarebbe diventato il nostro futuro manager. Claudio ci passò al manager insieme ad altri dieci dischi ed a quel punto ci ha proposto di trovarci a Firenze il 1 novembre 2014, chiedendoci altro materiale perché non era molto convinto.

Eugenio: Così noi andammo con una certa incoscienza a registrare alcuni provini di canzoni che avevamo appena scritto e quest’uomo ha avuto la lungimiranza di vederci dentro un progetto per cui non c’erano presupposti validi in quel momento. Ascoltando quei Siberia e i Siberia di oggi il cambio è sostanziale e oggettivo.

E Maciste Dischi come si è comporta con voi?

Matteo: Maciste Dischi è nata ufficialmente a dicembre 2014 con la pubblicazione della prima compilation dei gruppi da loro seguiti. Per cui è normale che un’etichetta che non ha ancora visto risultati forti tenda ad essere più umana con le persone. Nelle major ad esempio tutto è considerato da un punto di vista imprenditoriale, mentre noi abbiamo legato moltissimo con Roberto Gramegna, che è il proprietario dello studio di registrazione, Ettore Gilardoni, che è il produttore artistico e fonico, ed infine Antonio “Gno” Sarubbi che è il nostro manager nonché principale talent scout.

Eugenio: Ci teniamo particolarmente a ringraziarli perché senza di loro probabilmente non avremo fatto tutti i progressi che ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi.

Matteo: Vogliamo anche ricordare che Maciste Dischi ha vinto il premio Mei di Faenza per la migliore Freak Label dell’anno, ossia per la migliore giovane etichetta italiana.

Ho sentito “Galahad” il vostro nuovo singolo, perché avete voluto far uscire proprio questa canzone?

Matteo: Galahad è stata rilasciata come anticipo del nostro primo disco, perché sinceramente non ci aspettavamo di andare a Sanremo, era uscita in una compilation della Maciste Dischi per cui era già fuori. Non l’avremo mai rilasciata se avessimo saputo di Sanremo.

E la canzone di cosa parla?

Eugenio: La canzone, che ho scritto io, è più evocativa che narrativa o descrittiva. Galahad è il nome di uno dei cavalieri della tavola rotonda, è il cavaliere perfetto, colui che riesce a trovare il Sacro Graal, l’opposto di Lancillotto. Galahad è veramente la figura chiave, invece Lancillotto fa il peccato di tradire Artù con Ginevra e per questo motivo non può accedere al Sacro Graal, nonostante sia il più valoroso dei cavalieri. Quando ho scritto questa canzone mi sono sentito più vicino a Lancillotto che a Galahad.

Quindi Galahad è in un certo senso quello verso cui vorresti tendere?

Eugenio: Sì, diciamo che questa è una canzone che parla di un desiderio di riscatto, e dunque quella del cavaliere è solo un’immagine, però ci sono chiari riferimenti, ad esempio il cavallo nella copertina, oppure anche nel testo: “dall’ampia volta riverbera l’eco delle mie promesse” rievoca il giuramento del cavaliere. Quindi è un soggetto autobiografico che sente di essere partito con le migliori intenzioni, con i migliori valori, per poi aver perso molti dei suoi valori e della sua purezza lungo la strada. Per questo c’è un’invocazione “dimmi che non è tardi”. È come se una persona si svegliasse tardi solo che gli altri sono già tutti partiti e lui si sente rimasto indietro, si sente di aver tradito la sua vocazione, e infatti chiede “dimmi che non è tardi” per cambiare strada, per cambiare vita, per potermi redimere. È questo senz’altro il significato.

Progetti e obiettivi per il futuro?

Matteo: Diciamo che adesso abbiamo dei progetti più grossi in ballo di cui purtroppo non possiamo ancora parlare.

Eugenio: Esatto e a fine gennaio verrà presentato il nostro disco a Livorno, il disco conterrà 11 tracce, di cui due già precedentemente uscite ma re-incise in una nuova versione e altre due già rilasciate nella versione definitiva: “Galahad” e “Gioia”.

Luca: Giovedì 3 dicembre suoneremo al Nof Club di San Frediano a Firenze, insieme alle Grandi Navi Ovali, il gruppo di Antonio “Gno” Sarubbi, il nostro manager, un gruppo che consiglio a tutti vista la grinta sprigionata nei loro concerti. Sinceramente non ho mai visto niente di più energico.

Ragazzi vi ringrazio per il tempo che mi avete concesso, è stato un piacere intervistarvi, in bocca al lupo per il futuro!

Finita l’intervista e scambiata qualche battuta informale, arriva il momento dei saluti, lascio i Siberia alle loro prove e mi incammino verso casa, il freddo umido è penetrante, non posso fare altro che pensare alla giornata appena passata, alle parole di Eugenio, Matteo, Piero e Luca, all’arricchimento che possano portare nella mia vita. Che sia un assaggio della forza introspettiva del freddo siberiano? Non lo so, quel che è sicuro è che quella chiacchierata mi ha smosso qualcosa di profondo, come il vento penetrante delle steppe siberiane, che scava la pelle e le ossa dritto fino all’animo.

Potete rivedere l’esibizione dei Siberia a Sanremo Giovani cliccando qui.  

Potete vedere il video di “Gioia” cliccando qui

Potete ascoltare “Galahad” cliccando qui.

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