Martino Seravalli, giovane vicepresidente dell’associazione SIL Onlus (vedi intervista al presidente Claudio Rigolo qui), racconta la sua vita prima e dopo il trauma che gli ha causato una lesione midollare, con conseguente paralisi, e di come ha trovato un modo per ricominciare attraverso lo sport.
– Per quale motivo ti sei avvicinato alla SIL?
Martino: Come tanti ragazzi sono sempre stato uno sportivo: ho fatto surf, skateboard e snowboard. Ed è proprio a causa di quest’ultimo che sono rimasto tetraplegico dopo essermi fatto una lesione midollare a causa di una brutta caduta. Conosco molti giovani con la mia stessa patologia che hanno scelto una strada diversa da me, che si sono nascosti cercando di proteggersi. Io invece ho sentito da subito il bisogno di mettermi in gioco, per me stesso e per la società. Certo, prima dell’incidente ero tutt’altra persona di quella che sono adesso, peggiore o migliore non saprei, so solamente che dal punto di vista sociale prima non ero per niente “attivo”. Ero egoista, pensavo a stare bene e a fare ciò che mi piaceva, come ogni ragazzo, e quindi non mi curavo della società. Avendo poi passato sette mesi in ospedale e avendo fatto tutta la riabilitazione necessaria ho iniziato a guardarmi intorno e capire che non ero solo. Non è stato semplice, anche perché io ho sempre sopportato poco gli ospedali e quindi stare tra persone con problemi sia fisici che mentali mi metteva a disagio, ma lentamente ho iniziato a farci l’abitudine. Una volta tornato a casa, nonostante la mia vita fosse cambiata radicalmente, non potevo lasciarmi andare e quindi ho sentito questa necessità di aiutare il prossimo e chi era nella mia stessa condizione. Non ho mai creduto che la mia vita fosse finita dopo il trauma, sì, i primi giorni dopo l’accaduto puoi dire un sacco di cose brutte, prendertela con te stesso e il mondo, però con il tempo capisci che nonostante la tua condizione puoi comunque vivere una bella vita. Fortunatamente la mia famiglia e i miei amici mi hanno aiutato molto nel percorso di riabilitazione, grazie alla quale sono riuscito a riprendermi e andare avanti. Così mi avvicinai alla SIL per riprendermi attraverso lo sport, ricominciando la vita da zero. Nel periodo di riabilitazione a Montecatone imparai che una chiave fondamentale per il recupero sociale e fisico è proprio lo sport e da qui scelsi appunto di ricominciare.
-Quindi sei sempre stato un sportivo?
Martino: Sì, come dicevo prima ho fatto surf, snowboard e skateboard per tanto tempo, è una passione mai cessata. Che poi la maggior parte degli incidenti che ho visto sono avvenuti a causa della passione. Perché quando fai qualcosa che ti piace tantissimo non pensi che ti possa succedere qualcosa, ti senti potente. Non lo reputi in grado di farti del male. Personalmente potevo pensare a un braccio rotto, o una gamba rotta, non di più. Invece mia madre, mia nonna, tanti altri che vivevano la questione da esterni, l’hanno sempre visto come un pericolo, e solo adesso me ne rendo conto anche io. Poi le cose succedono, e la troppa sicurezza spesso ci fa sbagliare, e probabilmente è questo che è successo a me. Destino o sfortuna, non ci puoi fare niente perché ormai è successo.
-Come hai conosciuto la SIL?
Martino: Mia madre dopo l’incidente si mise in contatto con alcune associazioni che trattavano la mielolesione, e quindi conobbi Claudio Rigolo, presidente della SIL. In
quel momento sapere che non ero solo e che potevo tornare a fare sport fu un grande incentivo per uscire dal guscio e ricominciare a vivere. Se non esci di casa,non osi e non provi, con il passare del tempo ti rinchiudi in te stesso e non ti sblocchi più. Nella vita bisogna buttarsi. E’ una paura che ti regala la soddisfazione di essere tornato a fare qualcosa che amavi fare.
-Qual è per te lo scopo della SIL?
Martino: Partendo dal fatto che l’associazione è composta da disabili e normodotati, io sono convinto che la “mission” della SIL sia di abbattere le barriere fisiche e mentali della società, facendo capire che lo sport aiuta tutti e fa condividere momenti straordinari. Lavoriamo quindi per l’inclusione nella società delle persone con disabilità.
-Come pensi che si possano sensibilizzare le persone?
Martino: Partendo dal fatto che rispetto ad anni fa le persone sono molto più informate e c’è un’attenzione maggiore, forse dovuta al fatto che ne sentiamo parlare maggiormente dai media. Credo che siano i ragazzi, cioè il futuro del mondo, che debbano essere più di tutti sensibili alle problematiche sociali. Sarebbe fantastico ideare progetti con le scuole e organizzare incontri per raccontare a tu per tu la vita quotidiana di una persona in sedia a rotelle, le sue difficoltà nell’uscire di casa e andare a fare la spesa ad esempio. Parlare a 360° senza filtri delle problematiche e delle soluzioni. Perché alla fine le persone non se ne rendono conto veramente cosa significhi, e per questo molti esitano ad aiutarti quando ti vedono in difficoltà perchè devi fare uno scalino o aprire una porta.
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