E’ di queste ore la notizia di una veglia silenziosa del circolo regionale toscano del Manif Pour Tours, programmata per i prossimi giorni, in difesa della famiglia. Tale futura manifestazione ha suscitato un’ondata di indignazione generale, posto che era del giorno precedente la notizia per cui Livorno sarebbe stata città indiziata per lo svolgimento del prossimo Gay Pride.
Sono piovute, come sempre, critiche ingiuste: sul web vi è chi parla di assurdità nel concepire simili manifestazioni nel 2014, chi addirittura addita tale fenomeno di risposta al “razzismo al contrario”, per cui chiunque non coltivi idee progressiste sia palesemente e progressivamente discriminato nella propria libertà di espressione.
Tutte polemiche che lasciano il loro tempo: è assolutamente lecito, per chi lo ritenga opportuno, manifestare pacificamente, fosse anche per comprare le patate al supermercato senza la buccia, purché ciò si svolga pacificamente. Tuttavia, questo fatto di cronaca contiene uno spunto interessante.
Che significa “in difesa della famiglia tradizionale”? E’ un’espressione che ha davvero senso? Quali sono le matrici ideologiche alla base di tale radicat(issim)a concezione, possono essere ancora considerate moderne?
Quello di cui mi accingo a trattare è un campo minato, però credo che attraverso una ricostruzione storica e culturale prima di tutto sia più facile contestualizzare tale affermazioni, capirne le valide motivazioni e tentare quindi di costruire un percorso per il superamento di una simile concezione.
Spesso si crede che il modello della famiglia tradizionale, padre-madre uniti in matrimonio e prole, sia un retaggio storico propugnato dalla Chiesa Cattolica nel corso dei secoli e tutelato per ragioni religiose. Sbagliato. In realtà questa è una tradizione intrisa di paganesimo e profondamente umana, accolta poi dalla dottrina cristiana per ragioni validissime.
“Nuptiae sunt coniunctio mari set feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio.” “Le nozze consistono nell’unione di un uomo e di una donna e nell’intima comunanza dell’intera vita, regolata congiuntamente da norme di origine umana e divina.”
Quella su riportata è una storica affermazione del giurista Modestino, poi ripresa e traslata molto simile nel Codex Iuris Civilis; siamo circa nel 230 d.C.
Perché questo? Nell’antica civiltà romana la prole nata al di fuori del matrimonio non godeva pressoché di alcun diritto e non vantava certamente il diritto ad essere riconosciuta da entrambi i genitori; ciò ne riduceva sensibilmente le esigue aspettative ereditarie, e se donna condannava quasi con certezza ad una vita segnata dalla prostituzione. Spesso uomini e donne non potevano di conseguenza divenire patefamilias, per cui sarebbe stato molto complesso anche attribuire eredità a futura prole. Una vita di sottomissione, per ricondurci a parole povere, sarebbe toccata a coloro che non fossero nati entro un circolo familiare sorretto da diritto. Ragioni sociali, umani e giuridiche presiedono quindi alla regola codificata da Modestino, tanto da ancorare la nozione stessa di nozze all’intima comunanza dell’intera vita e al rispetto di norme. Soltanto attraverso un rigido sistema chiuso dal diritto umano e divino si riusciva a regolare la famiglia.
Nasce così la famiglia tradizionale come la conosciamo ancora oggi: nasce per esigenze di protezione di figli e figlie, non nasce certo per garantire loro lo sviluppo in un contesto di bigenitorialità eterosessuale: un po’ crudo, ma corrisponde al vero. La tradizione cristiana non interviene in proposito per due ragioni: la prima è perché non avevano alcun interesse a sovvertire una realtà di civiltà al popolo romano, la seconda è perché oltre a ciò in pochi secoli riuscì a convogliare sulle sue dottrine la fede di vari imperatori, divenendo anche, per taluni frangenti storici, religione di “Stato”.
La Chiesa Cattolica si limitò soltanto a glorificare la sacralità del vincolo matrimoniale: di qui l’anello, la celebrazione di fronte a Dio (“norme umane e divine”), e così via.
Facciamo un salto di quasi duemila anni ed arriviamo alla nostra Costituzione, al suo articolo 29, 1° comma.
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.”
Cerchiamo di essere sintetici. La famiglia viene concepita come una società naturale, fondata sul matrimonio. Tenendo fede al giusnaturalismo, si ritiene che il tessuto connettivo familiare si fosse conservato per talmente tanto tempo da essere addirittura riconosciuto come anteriore al riconoscimento che lo Stato ne faceva di esso. Errato, perché innati sono i diritti, non le società (pardon); senza contare che il fatto che sia fondata sul matrimonio era (ed è rimasto fino ad un anno fa per pochi aspetti) dovuto esattamente agli stessi motivi dell’Antica Roma.
Nel corso di duemila anni, fortunatamente almeno gli ultimi cento anni a qualcosa sono serviti: uomini e donne trovano adeguata protezione anche se nati abbandonati, ricevono assistenza e protezione anche se nati al di fuori del matrimonio, sono titolari dei medesimi diritti di tutti gli uomini e le donne in quanto esseri umani. Hanno la pari capacità di realizzare le proprie aspirazioni, lo stesso diritto di esprimersi, la stessa possibilità di autodeterminarsi. Le donne riconosciute da un solo genitore non sono condannate ad una vita in mezzo alla strada, gli uomini non sono condannati al vagabondaggio.
E’ venuta quindi meno gran parte della funzione che ha avuto per migliaia di anni il matrimonio. Perché questa ostinazione a rifiutare di concepire famiglie omosessuali? Perché non riconoscere loro il matrimonio, se davvero questa è comunione di vita, affetti, sentimenti e vicissitudini?
La sacralità del vincolo religioso e l’eterosessualità degli sposi non è stabilita in alcun Vangelo: tutti i fedeli sono uguali di fronte a Dio, tutti sono invitati ed ammessi alla comunità dei fedeli (questa E’ la Chiesa) senza differenze fra fratelli e sorelle.
Auspico che il matrimonio possa presto essere concesso a tutte le coppie, o se la forma mentis fosse un ostacolo ideare uno strumento giuridico che sancisca gli stessi effetti, chiamarlo “peragramo” o “frutta gomma” o anche “unionissima” e consentire finalmente a godere a tutti degli stessi diritti, ed essere finalmente partecipi della stessa vita di comunità dello Stato.
Mi ero dimenticato: perché si manifesta a difesa di un modello familiare che ha 2000 anni e che non appartiene alla Chiesa Cattolica, ma alla pagana cultura romana?