In questa settimana, la Fondazione Goldoni ha presentato alla stampa Le nozze di Figaro, prossima opera lirica della stagione teatrale. Questa si terrà tra due sabati (sabato e domenica 23-24 novembre 2019). In attesa di potervi assistere, vi presentiamo l’opera, tramite gli interventi di Alberto Paloscia (direttore artistico stagione lirica), del direttore Jacopo Sipari di Pescasseroli e del regista Massimo Gasparon. Sinossi e cast sono inseriti tramite collegamenti ipertestuali in fondo all’articolo. Infine, si ricorda come lunedì 18 novembre alle 17, presso la Sala Mascagni del Goldoni, si terrà la guida all’ascolto, a cura del Prof. Daniele Salvini.
Un atteso debutto: “Le nozze di Figaro” tornano a Livorno dopo oltre due secoli con giovani voci
di Alberto Paloscia
Direttore artistico Stagione Lirica Fondazione Teatro Goldoni di Livorno
Dopo il ‘dittico’ composto da Cavalleria rusticana di Mascagni e Suor Angelica di Puccini, spettacolo inaugurale della Stagione Lirica nel segno del Progetto dedicato a Pietro Mascagni ed alla “Giovane Scuola Italiana”, il cartellone della Fondazione Teatro Goldoni prosegue con la prima esecuzione nella nostra città in epoca moderna de Le nozze di Figaro, titolo assente dalle scene labroniche dal lontanissimo febbraio del 1823, anno in cui fu rappresentata nell’allora prestigioso Teatro degli Avvalorati, che conobbe storiche esecuzioni di opere di Mozart, Cherubini, Pacini, Rossini, Donizetti e Bellini. Un’attenzione verso Mozart ed il suo teatro che avviammo nel 1999 con quel “Progetto Mozart” sotto l’egida dell’allora CEL-Teatro di Livorno ed una nuova produzione del Flauto magico firmata dal grande e compianto Lindsay Kemp: un percorso voluto per ripercorrere, tramite l’indagine sui grandi capolavori teatrali del Genio di Salisburgo, le profonde radici settecentesche e illuministiche della cultura livornese; seguirono negli anni 2000 al Teatro Goldoni lo spettacolo Le seduzioni di Don Giovanni (2012), una nuova produzione di Così fan tutte (2013) e nel 2016 la nuova versione del Flauto firmato da Kemp, ultimo spettacolo lirico del grande artista inglese prima della sua scomparsa avvenuta a Livorno nell’agosto del 2018.
Questo ritorno dopo quasi due secoli della commedia per musica mozartiana, costituisce il primo capitolo di un progetto tutto toscano, ideato in coproduzione con il Teatro Verdi di Pisa e il Teatro del Giglio di Lucca, dedicato alla riproposta nei nostri Teatri di tradizione della storica Trilogia mozartiana sui libretti di Lorenzo Da Ponte destinato a proseguire nella prossima stagione con Don Giovanni ed in quella immediatamente successiva con Così fan tutte. Una progettazione triennale che vuole sottolineare, oltre che alla già citata vocazione illuministica di Livorno, i rapporti che Mozart ebbe con la nostra città, dove fu qualche per qualche anno residente il secondo figlio del compositore austriaco, Carl Thomas; né si debbono dimenticare l’incontro a Firenze con il compositore livornese Pietro Nardini e gli stretti rapporti di collaborazione con due importanti letterati livornesi di nascita, entrambi inseriti nel fecondo mercato operistico viennese, Marco Coltellini, autore del libretto della giovanile Finta semplice (1760), e Giovanni De Gamerra, con cui Wolfgang collaborò per l’opera seria Lucio Silla, che vide la luce a Milano nel 1772 e per la versione italiana del Flauto magico, riproposta a Livorno proprio nel 1999.
Per questa atteso debutto delle Nozze di Figaro il Teatro Goldoni ha voluto puntare sul connubio tra un giovane direttore italiano in ascesa, Jacopo Sipari di Pescasseroli, reduce da importanti impegni internazionali tanto nel repertorio lirico quanto in quello sinfonico ed affermazioni soprattutto nel repertorio pucciniano – tra le quali ricordiamo soprattutto l’edizione del centenario del Trittico al Festival Puccini di Torre del Lago nel 2018 -, al suo debutto in un titolo operistico di Mozart del quale ha affrontato con successo gran parte del repertorio sinfonico di musica sacra, e un regista di chiara fama e di solida esperienza internazionale quale Massimo Gasparon Pizzi Contarini, cresciuto a fianco di un nome storico della messinscena operistica italiana quale Pier Luigi Pizzi; sotto il segno del debutto di Gasparon a Livorno prosegue il sodalizio con il Teatro Sociale di Rovigo, con cui il Goldoni ha coprodotto nel 2017 Manon Lescaut e nella stagione in corso il dittico Puccini-Mascagni: dal Teatro di tradizione veneto proviene l’allestimento delle Nozze, rodato con successo nella passata stagione, e tutto giocato su un sapiente ed elegante giuoco di simmetrie sceniche e su una vivacissima impostazione teatrale della “commedia umana” immortalata da Mozart in questo capolavoro.
Nel cast giovani voci quasi tutte italiane – come deve essere in un Mozart prettamente ‘italiano’ come quello della Trilogia dapontiana – ed in gran parte selezionate tramite audizioni mirate, affiancando artisti già affermati della nuova generazione ad artisti in gran parte provenienti dalle opere studio di Livorno e del circuito dei Teatri di Tradizione toscani. Ricordiamoli tutti: i soprani Giulia De Blasis, rivelazione dell’ultima edizione del M.O.S. (Mascagni Opea Studio) e già appaudita Suor Genovieffa nella recente Suor Angelica in alternanza con la coreana Silvia Lee, acclamata Adina nell’Elisr d’amore donizettiano nella passata stagione; un giovane ed affermato specialista mozartiano come Nicola Ziccardi e Matteo D’Apolito, anche lui ‘allevato’ dall’Opera Studio e già applaudito a Livorno in due importanti titoli donizettiani quali Convenienze e incovenienze teatrali ed Elisir; un’altra giovane voce tra le più affermate del panorama italiano, il soprano Marta Mari, allieva della grande e compianta Daniela Dessì, al suo esordio a Livorno e nel ruolo impervio della Contessa, suddiviso con un’altra scoperta del nostro Teatro, la calabrese Marily Santoro, tenuta a battesimo al Goldoni nel 2015 quale protagonista della Traviata verdiana ed oggi in ascesa nel repertorio belcantistico e pucciniano; nei panni del dissoluto Conte si alterneranno invece due baritoni di grande solidità quali Salvatore Grigoli, che a Livorno fu a suo tempo apprezzato come Guglielmo in Così fan tutte ed è stato recentemente applaudito a Catania nel Pirata belliniano, ed il brasiliano Wellington Moura, al suo debutto a Livorno. Un altro atteso ritorno è quello del mezzosoprano frascatano Irene Molinari, altra ‘scoperta’ di LTL Opera Studio ormai lanciatissima, al suo primo approccio con il fascinoso personaggio di Cherubino, alla quale subentrerà nella replica domenicale la cantante rumena, ma da anni livornese di adozione, Diana Viorela Turtoi. Al fertile panorama delle voci livornesi appartengono l’esperta barocchista Alessandra Rossi impegnata nel ruolo ‘di carattere’ di Marcellina e la giovane Maria Salvini, che nel ruolo di Despina in Così fan tutte colse al Goldoni la prima affermazione della sua carriera. Altri giovani ormai affermati sono i tenori Francesco Napoleoni, altra creatura delle nostre Opere Studio, nel ruolo di Basilio, e Mauro Secci in quello di Don Curzio, il promettente basso Davide Procaccini (Bartolo) e il baritono Gabriele D’Orazio nelle vesti del giardiniere Antonio. Un ensemble fresco e omogeneo, che confermerà la vocazione di talent scout del Teatro Goldoni di Livorno anche nel repertorio mozartiano.
Una particolare menzione per la compagine orchestrale, l’esperta Orchestra della Toscana ed il Coro Lirico Toscano diretto da Chiara Mariani.
«Ah tutti contenti saremo così»
di Jacopo Sipari di Pescasseroli
A volte per ritrovarsi occorre mascherarsi. Occorre tradirsi. Questo il messaggio di Figaro, la fucina incandescente dell’Europa di oggi che si affanna a cercare ancora se stessa.
Uomini e donne, ricchi e poveri, musicisti e non (compresi i giovani direttori d’orchestra), in qualsiasi comune “folle giornata”, vagano solitari nel veloce succedersi delle ore, cercando risposte alla più importante domanda sulla propria vita: come fare ad essere felici.
«Ah tutti contenti saremo così». La musica di Mozart ci schiuda il suo messaggio più profondo: in un mondo di conflitti, di intrighi, di gelosie e di violenze, l’unico modo per raggiungere la tanto desiderata felicità risiede nella capacità di comprendersi vicendevolmente, ascoltarsi, perdonarsi, addirittura, forse, amarsi o provare a farlo.
Sembra il testo di una nuova enciclica papale, le parole illuminate di Jacques Maritain, la traduzione in versi della leggendaria regola aurea da scrivere banalmente su un articolo di fondo. Eppure, questa verità Mozart non si prodiga a gridarla a gran voce; si limita a suggerirla, sussurrarla, timidamente accennandola, lasciando che dopo una pausa di misterioso raccoglimento la corsa frenetica della vita riprenda e nel giubilo generale torni a risuonare il disegno brulicante che aveva aperto l’ouverture.
Le Nozze di Figaro, La Folle giornata.
Un grande dipinto della nostra tragica umanità che gioca a fare Dio ma che alla fine dimentica la bellezza delle emozioni provate dalla propria mortalità. Come nella vita reale, nessun personaggio ha un carattere fisso e definito, ma è dotato di una personalità complessa, in continuo divenire e caratterizzata da sentimenti contrastanti. Si legge nel Corano “non esistono uomini buoni e uomini cattivi, ma solo azioni buone e azioni cattive”. Ecco, questa è la vita di una folle giornata.
Crolla la rigida divisione tra comico e tragico e il teatro diviene il luogo adibito al racconto di tutti i giorni, nel quale il pianto e il riso che si alternano costantemente trovano un riscontro diretto in arie che muovono dalla più triste disperazione alla più esilarante comicità e tutti, da chi ascolta a chi suona, torna a casa certo che Mozart, che probabilmente mai come in quest’opera ha messo in musica la voce di Dio, abbia voluto indicare una nuova strada da percorrere, un nuovo mondo da guardare e un nuovo modo di guardarsi, cercando di comprendersi trovando se stessi negli altri, nella diversità.
Qui esplode prepotente la struggente bellezza di tutta la sua musica e quando tutto appare chiaro, alla fine, si ricomincia. Da un inizio a un altro inizio, attraverso una successione di nuovi inizi senza fine, ricordando costantemente a noi e agli altri che il fine ultimo di ogni nostra giornata è la ricerca stessa di quella felicità che per tutto il giorno abbiamo cercato di comprendere.
Le nozze di Figaro: un matrimonio all’italiana.
di Massimo Gasparon
Quasi 250 anni dopo la prima della versione teatrale del testo originale, quest’opera lirica geniale si impone ancora come un’attualissima e straordinaria commedia umana attraverso il racconto delle vite di tre coppie protagoniste che cambiano radicalmente nell’arco di un solo giorno.
La folle giornata o Il matrimonio di Figaro è infatti la seconda parte di una trilogia teatrale composta dal drammaturgo francese Pierre Augustin Caron de Beaumarchais nel 1778. Le altre due opere teatrali che la compongono sono Il barbiere di Siviglia e La madre colpevole.
La vicenda della prima delle tre opere italiane, scritta dal compositore salisburghese a 29 anni su libretto di Lorenzo da Ponte, ci trascina in un susseguirsi di colpi di scena che complicano e stravolgono i destini dei protagonisti in un turbinio imprevedibile e geniale che ben poco ha di spagnolo: il vero spirito della vicenda è prettamente italiano come il librettista, con un gusto compiaciuto per l’intrigo ed il complotto, dove la ricerca della libertà individuale travolge ogni struttura sociale e gerarchica precostituita.
Le nozze di Figaro riprende tre anni dopo la fine de Il barbiere di Siviglia quando Figaro è promesso sposo di Susanna; entrambi i personaggi fanno parte dello staff del Conte nella sua dimora. Nei tre anni trascorsi da quando Figaro ha contribuito a forgiare il matrimonio del Conte e di Rosina, il Conte si è già annoiato del suo matrimonio, ma si è accorto della bellezza di Susanna, cameriera della moglie, alla quale cerca di imporre lo ius primae noctis. Figaro si rivela un Prometeo borghese che con spavaldo coraggio fronteggia le avances del Conte rivolte alla sua promessa sposa e ribadisce per tutta l’opera il diritto inviolabile di ogni uomo all’autodeterminazione. Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte e concordò con lui di rimuovere tutti gli elementi di satira politica vera e propria dalla storia. Evidentemente per problemi di censura, ma anche perché fortemente interessato all’aspetto più intimo di questa rivoluzione sociale.
L’intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, con eventi drammatici e comici, consacra gli umili più signorili ed intelligenti dei loro padroni. Il senso di nuova libertà rapidamente si insinua nell’animo di ogni personaggio: la stessa Contessa ritrova così nuova forza d’animo che le permette di reagire all’infedeltà del marito. Susanna l’assiste e la protegge, rivelandosi lei vera padrona e rendendo palese come i nobili risultino ormai infantili, viziati ed incapaci di avere responsabilità o prendere autonomamente decisioni razionali. Figaro e Susanna sono straordinariamente rapidi e decisi nei loro piani, senza alcun scrupolo o timore riguardo le possibili conseguenze dando linfa ad una straordinaria commedia degli equivoci, dove lo scambio di persona diventa la chiave di lettura di ogni relazione umana: fondamentalmente infedele per natura, l’uomo trova un compromesso attraverso il ricatto e l’inganno, in una visione comica ma spesso molto amara.
L’intera vicenda può anche essere letta come una metafora delle 4 stagioni dell’amore nel corso della vita umana: Cherubino e Barbarina rappresentano l’alba, l’amore acerbo, Susanna e Figaro il mattino, l’amore che sboccia nel pieno della passione, il Conte e la Contessa il pomeriggio inoltrato del tramonto, dove l’amore già stanco e perde passione, Marcellina e don Bartolo la notte, l’amore maturo.
La grande modernità di quest’opera consiste in una visione cinica ma profondamente onesta del genere umano: ognuno di noi è sempre pronto a tradire, mentendo e ricattando il prossimo, in nome del proprio interesse temporaneo, ben conscio che in fondo la brevità della vita non ci concede di abbandonarci a facili malinconie.
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