Ieri sera, puntualmente alle 20:30, è stata inaugurata la nuova Stagione del Teatro Verdi di Pisa con l’opera Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi che torna nel teatro pisano dopo sedici anni di assenza, in un nuovo allestimento curato dal Teatro di Pisa e coprodotto con i teatri di Lucca, Livorno e Rovigo.
Ad aprire la serata sono state le parole del presidente della Fondazione Teatro Verdi Giuseppe Toscano, del sindaco di Pisa Marco Filippeschi e del direttore artistico del Teatro Marcello Lippi. Dopo i tre brevi interventi ha fatto il suo ingresso in sala il M° Ivo Lipanovic, direttore croato di altissimo prestigio, già direttore musicale del Teatro Nazionale Croato e ospite fin dagli anni ’90 di molti teatri lirici italiani, primo fra tutti l’Arena di Verona.
La rappresentazione è stata di ottimo livello, tanto dal punto di vista musicale quando da quello drammaturgico: cantanti ed orchestra, aiutati dall’eccellente direzione di Lipanovic, hanno certamente dato il meglio di loro stessi nell’esecuzione dell’impervia opera verdiana. Lipanovic ha imposto a cantanti ed orchestra la più assoluta aderenza alla partitura; ciò non significa che è stata una rappresentazione priva di libertà interpretativa, tutt’altro: ha rispettato lo spirito che Giuseppe Verdi voleva che il Simon Boccanegra trasmettesse.
Per quanto concerne i cantanti, ho apprezzato in particolar modo le interpretazioni di Elia Fabbian (Simone Boccanegra), la giovane Valeria Sepe (Amelia Grimaldi) e Roberto Scandiuzzi (Jacopo Fiesco), che meritano qualche parola in più. Fabbian – che ha sostituito il collega Stefano Antonucci, reduce da una frattura al piede – ha dimostrato
eccellenti doti attoriali (l’ho adorato nel finale dell’Atto I, con quel piglio di tremenda maestà e violenza sempre più formidabile) e soprattutto è stato chiarissimo nel canto: note pulite, parole ben articolate, insomma ha cantato come ciascun cantante lirico dovrebbe fare. Baritono dotato di una voce limpida, si è dimostrato capace di passare con agilità da momenti tetri, ad attimi più lirici, riducendo la possente vocalità ad un sussurro. La bravissima Valeria Sepe ha dato prova di grande padronanza della tecnica vocale. In particolar modo ho apprezzato la sua esecuzione dell’aria Come in quest’ora bruna, difficile banco di prova anche per i soprani più navigati; per di più ha saputo infondere al proprio personaggio un’ottima presenza scenica ed un carattere molto deciso: spesso accade che Amelia venga interpretata come se fosse una donna priva di carattere, invece si tratta di una grande donna, che non esita
a frapporsi tra Boccanegra ed il pugnale di Gabriele, e la Sepe ha saputo conferirle lo spessore che merita. Pertanto, sono molto felice di sapere che sarà nuovamente ospite del Verdi il prossimo anno con il personaggio di Margherita nel Mefistofele di Arrigo Boito. Molto sentita anche l’interpretazione di Roberto Scandiuzzi. Il ruolo di Fiesco è insidioso, perché è sempre in bilico tra l’antagonismo e la nobiltà d’animo, non è semplice rendere appieno la multiforme psicologia di questo personaggio. Scandiuzzi c’è riuscito. La sua voce calda e pastosa si adatta benissimo al tormentato patrizio ed ha reso memorabile il commovente duetto dell’Atto III Piango perché mi parla.
L’unica performance che, a mio parere, non ha reso al meglio è stata quella del tenore Leonardo Caimi, interprete di Gabriele Adorno. Dal punto di vista vocale, nulla da dire, ottima interpretazione; quel che ha reso meno è stata la prova attoriale. Già il ruolo di Gabriele non è il massimo, drammaturgicamente parlando, perché è il
classico tenore da melodramma che si lascia influenzare dal cattivo di turno, non è particolarmente sveglio e la sua comprensione degli eventi è sempre molto tardiva (l’Atto II esiste perché Gabriele ha grossolanamente malinteso il rapporto tra Amelia ed il Doge), quindi l’interprete deve dare molto a questo personaggio per non farlo sembrare un allocco: necessita di un’interpretazione irruente, sanguigna, non posata e dolente, perché Gabriele è un giovane, dà molto, troppo peso ai sentimenti e questo aspetto è decisamente importante per inquadrare bene il personaggio. Ripeto, da un punto di vista squisitamente vocale la sua interpretazione è stata assolutamente pregevole, anch’io mi sono unito agli applausi entusiastici che hanno seguito l’aria Cielo pietoso, rendila, tuttavia la presenza scenica poteva essere resa in modo più curato.
La regia di Lorenzo Maria Mucci è stata semplice, essenziale, ma assolutamente aderente alla partitura (pur concedendosi qualche piccola licenza). Tuttavia l’uso delle scene contemporanee di Emanuele Sinisi, combinate ai costumi trecenteschi di Massimo Poli, non ha suscitato particolare entusiasmo; il tutto dava una sensazione di rappresentazione quasi onirica, come quei film di fantascienza degli anni ’50 e ’60 dove, a bordo di astronavi ultramoderne, passeggiano astronauti vestiti da antichi romani. Inoltre ho trovato le scene – in generale – troppo luminose, avrei preferito un’atmosfera più cupa; tuttavia questa è solo una personale opinione. Interessante il disegno luci di Michele Della Mea, soprattutto il lento affievolirsi dell’illuminazione alla fine dell’Atto III, che mestamente accompagna la morte di Boccanegra.
Per quanto riguarda la rappresentazione in generale, l’unica pecca rilevabile è stato il Prologo, dove sono occorsi alcuni problemi, prevalentemente di natura ritmica. Tuttavia, dato che simili inconvenienti non si sono più ripresentati per tutta la durata dell’opera e se si tiene presente della notevole difficoltà esecutiva del Simon Boccanegra (aggiungendo magari un poco di timore iniziale, dovuto anche al fatto che si trattava dell’apertura di Stagione), sono ampiamente scusabili. Sono stati molto apprezzati gli Atti II e III, eseguiti (e seguiti!) con gusto e coinvolgimento ma, senza ombra di dubbio, l’acme della serata è stato raggiunto l’Atto I. La tensione emotiva raggiunta da cantanti e orchestra (soprattutto grazie al formidabile apporto del coro) ha tenuto letteralmente col fiato sospeso il pubblico del Teatro Verdi.
Le sonorità, intense e corpose, hanno raggiunto gli spettatori come un pugno allo stomaco e credetemi: sentire il pavimento del palchetto che trema per le vibrazioni sonore nella scena in cui il popolo irrompe, armi alla mano, nella Sala Consiliare del Doge è stata un’esperienza da brividi, che ho avuto per quasi tutto il Finale dell’Atto I, scena dalla costruzione teatrale avvincente, dove Doge e patrizi odono i tumulti del popolo provenienti da dietro il palco, seguono sgomenti Gabriele Adorno che viene inseguito dalla folla che poi penetra nel Palazzo Ducale. Nei diversi momenti di silenzio che si incontrano in questo Finale, la platea è rimasta muta, a mio parere il migliore complimento che il pubblico possa fare al teatro d’opera.
Simon Boccanegra ha certamente conquistato il pubblico, composto non solo da pisani, ma anche da spettatori della provincia di Massa Carrara, della Versilia e addirittura viennesi. L’eccezionale performance dell’Orchestra della Toscana (confesso che mi sarebbe piaciuto assistere alle prove della sola orchestra per apprezzarla appieno, un suono così verdiano, corposo, granitico e delicato a un tempo non si incontra spesso) ha convinto con facilità anche gli spettatori meno inclini all’opera lirica, così come la prestazione dei cantanti ha reso la serata di ieri assolutamente memorabile. Simon Boccanegra verrà replicato oggi alle ore 16:00.
Per informazioni: Teatro di Pisa www.teatrodipisa.pi.it
Photocredit: Massimo D’Amato, Firenze
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