E’ oramai nota la decisione di Alexis Tsipras di indire un Referendum nazionale sul piano di aiuti proposto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale alla Grecia, devastata da anni di austerità e da un Debito Pubblico insostenibile (pari al 175% del Pil).
La mossa politica del Primo Ministro ellenico ha colto di sorpresa tutti mettendo in seria discussione la tenuta stessa dell’Unione giunta oramai ad un appuntamento fondamentale con la storia: il concetto di Unione Europea può essere messo in discussione o è irreversibile come sostenuto dai vari vertici europei?
Le reazioni dei principali attori della politica del Vecchio Continente a questa mossa azzardata sono state confuse e contraddittorie fra loro.
Hollande, Renzi e Schulz, tutti appartenenti alla famiglia socialista europea, hanno suggerito contromisure diverse per metodo e contenuti: Hollande ha tentato fino all’ultimo di prevenire il Referendum con un accordo con Tsipras, il Premier Italiano ha dapprima evitato di prendere una posizione concreta per poi attaccare duramente il Primo Ministro Ellenico mentre Schulz è arrivato quasi ad insultare Alexis sottolineando come “Tsipras è imprevedibile e manipola la gente in Grecia, la questione ha tratti quasi demagogici. L’offerta che l’eurozona ha fatto alla Grecia è molto generosa. Molti ministri delle Finanze credono che le concessioni siano andate troppo lontano. Ma è un inganno credere che si possa avere una nuova, migliore offerta”.
L’incertezza della politica progressista, dipesa in realtà da un’incapacità di creare una piattaforma politica comune alternativa alle posizioni ideologiche Novecentesche, si scontra con la lucidità mostrata ancora una volta dalla signora Merkel, dai suoi ministri e dal Presidente della Commissione Juncker, abili a cercare di capovolgere il Referendum contro Tsipras, stretto alle corde fra la prospettiva di rifiutare le proposte dei creditori, abbandonando verosimilmente l’Eurozona e l’Unione Europea, e quella di dover uscire sconfitto da una consultazione popolare da lui fortemente voluta e sostenuta.
La Merkel, sempre più di fatto la Lady Europa al posto dell’evanescente Mogherini, ha deciso di scendere in campo personalmente per il Sì all’accordo insieme a Juncker e a diversi esponenti di spicco della politica liberal-conservatrice europea, rifiutando ogni dialogo con Tsipras fino al termine della consultazione ellenica; Wolfgang Schäuble, Ministro delle Finanze teutonico, è andato oltre insinuando addirittura come in ogni caso le trattative con la Grecia siano oramai pregiudicate “Nelle ultime settimane la situazione in Grecia è drammaticamente peggiorata e i colloqui post-referendum saranno molto difficili. ”
L’establishment in questo momento di peso in Europa a trazione conservatrice ha deciso di mettersi in gioco, seppure in via indiretta, spingendo il popolo greco a votare sì al Referendum e questo, a prescindere dall’esito della consultazione popolare, rappresenta un mutamento all’interno della fisionomia dell’Unione.
Quando, in passato, le istituzioni europee sono intervenute nell’esercizio di un potere sovrano di uno Stato Membro?
Quando un Ministro si è permesso di dare dei “consigli” o di giudicare in termini tanto intensi un Leader di un paese dell’Unione?
Il processo d’integrazione europea, seppure per tappe bibliche, continua inesorabilmente a proseguire e il Referendum potrebbe addirittura accelerarlo.
Se i sì dovessero vincere per la prima volta nella storia dell’Unione una decisione assunta da vertici tecnici sarebbe legittimata da un elettorato nazionale e le accuse di “Deficit democratico” mosse in questi anni proprio dai partiti anti-Europa sarebbero fortemente menomate.
La Merkel, Juncker e Schauble hanno deciso di scendere in campo per il bene dell’Unione consapevoli, contrariamente ad una politica progressista ancora una volta divisa, che il Referendum può essere letto come una occasione e non come un rischio.
D’altro canto Tsipras stesso, salvo sorprese dell’ultim’ora, sembra aver fatto un passo troppo lungo rispetto alle proprie gambe.
Il Primo Ministro Ellenico, così come il suo Ministro delle Finanze Varoufakis, ha legato di fatto la vita del proprio esecutivo all’esito della consultazione con un all-in azzardato e imprevedibile: in caso di vittoria del sì la caduta di Tsipras sarà tanto veloce quanto lo fu la sua ascesa vista la situazione di contesto oramai ostile a livello nazionale e internazionale, in caso di affermazione del no Alexis si troverà costretto a gestire una verosimile uscita della Grecia dall’Unione predisponendo un concreto piano economico-monetario di ritorno alla Dracma, ritenuto da tutti gli esperti come spinoso e doloroso per la popolazione ellenica.
Probabilmente Tsipras ha provato a giocare quest’ultima carta per provare ad acquisire maggior peso contrattuale in sede di negoziazione con i creditori ma, come dimostrano i suoi tentativi di revocare il Referendum in caso di accordo con l’Europa, la situazione gli è presto sfuggita di mano.
E cosa conviene, infine, a noi Europei?
Ναι ή όχι?
Sì o no?
A noi Europei conviene, senza giri di parole, un’affermazione del Ναι, del sì.
Il sì permetterebbe un nuovo impulso all’integrazione Europea e probabilmente eliminerebbe dalla scena politica un personaggio fortemente nazionalista e populista come Tsipras, pronto ad usare come pretesto il debito greco per squassare i progetti di Unione politica.
Un conto è modificare le regole per inserire la solidarietà fra gli Europei, come dimostra la recente questione sulle quote degli immigrati, un altro è violarle consapevolmente credendo di essere più furbo degli altri e agitando lo spauracchio della sovranità nazionale.
La politica progressista ha l’obbligo, soprattutto morale, di modificare la disciplina dei Trattati e di costruire gli Stati Uniti D’Europa, non di creare eccezioni e di distruggere il sogno di Altiero Spinelli.
E questo Tsipras non l’ha mai capito.
Giulio Profeta
giulio.profeta@uninfonews.it
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