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Il piacere dell’onestà, tra l’essere e l’apparire

A conclusione di una ricca Stagione di prosa, il Teatro Verdi di Pisa ha ospitato con grande successo Il piacere dell’onestà di Luigi Pirandello, diretto e interpretato da Alessandro Averone, sabato 23 e domenica 24 marzo.

Dopo aver dato interpretato il testo pirandelliano “Così è se vi pare”, l’attore e regista Averone ha portato in scena uno dei testi più grotteschi del grande autore, che evidenzia tematiche universali ancora di grande attualità: il sempiterno conflitto tra “l’essere e l’apparire”.

 

Ph Manuela Giusto

 

La storia..

Il protagonista della vicenda è Angelo Baldovino (Alessandro Averone), un uomo malvisto dalla società in cui vive a causa di un passato ricco di imbrogli. Grazie all’amico Maurizio Setti (Mauro Santopietro) accetta di sposare per denaro Agata (Alessia Giangiuliani) la giovane amante incinta del marchese Fabio Colli (Marco Quaglia), un nobile ammogliato.

Un vero matrimonio d’apparenza nel quale Baldovino dovrà mostrarsi come legittimo marito di Agata per salvaguardare la sua rispettabilità, consentendo però al marchese di continuare la frequentazione con la giovane amante ed evitare un pubblico scandalo.

La scarsa moralità di Baldovino era il motivo che aveva spinto il marchese a coinvolgerlo in questo gioco di ruoli, ma le cose andranno diversamente dal previsto. Angelo infatti, deciderà di riscattarsi agli occhi della società e ricostruire una perfetta e severissima onestà. Dimostrerà così un rigido rigore morale, che metterà in soggezione e difficoltà la nobiltà che lo circonda, ostacolando i piani del marchese.

 

“C’è nelle sue commedie uno sforzo di pensiero astratto che tende a concretarsi sempre in rappresentazione, e quando riesce, dà frutti insoliti nel teatro italiano, d’una plasticità e d’una evidenza fantastica, mirabile. Così avviene nei tre atti del Piacere dell’onestà. Il Pirandello vi rappresenta un uomo che vive la vita pensata, la vita come programma, la vita come «pura forma». Non è un uomo comune questo Angelo Baldovino. È stato un briccone, è un relitto, secondo le apparenze. Non è, in verità, che un uomo verso il quale la società ha avuto il torto di essere tale per cui la «pura forma» è in realtà adeguata al resto della realtà”.

Antonio Gramsci – «Il piacere dell’onestà» di Pirandello al Carignano – da L’Avanti! del 29 novembre 1917

 

Ph Manuela Giusto

Un Pirandello rock

La drammaturgia di Pirandello è tessuta di temi, questioni e ossessioni umane che coinvolgono ed emozionano ancora oggi. Il regista e interprete Alessandro Averone ha saputo cogliere l’essenza e la vitalità del testo con grande intelligenza. Il cast di attori è stato molto attento alle sfumature di ogni personaggio: Agata (Alessia Giangiuliani) è l’infelice amante del marchese e ammiratrice di Baldovino, Fabio Colli (Marco Quaglia) è l’egoista e disonesto marchese che cerca di salvare la sua apparenza agli occhi della società, Maddalena (Laura Mazzi) è la madre disperata di Agata che non perde occasione di lanciarsi tra le braccia di Setti, il parroco dall’accento emiliano (Gabriele Sabatini) mostra la vicenda da un punto di vista ironico e comico ed infine Maurizio Setti (Mauro Santopietro) è l’ottimista e mediatore cugino del marchese e amico di Baldovino.

In un salotto tra divani borghesi e fili di tende tesi a cascata, si è destreggiato tutto lo spettacolo che alternava ritmi più accesi a passaggi più introspettivi di Averone, che ha saputo calibrare componenti dialogiche filosofiche a frasi ciniche svelando il bigottismo sociale.

I dialoghi pirandelliani, molto discorsivi, sono risultati quasi irreali per la loro eccessiva prosaicità. La linea rock è stata in seguita, ma senza essere intrapresa fino in fondo. La classicità nell’interpretazione del testo è stata mantenuta con qualche accenno alla modernità, dalla scenografia all’utilizzo drammaturgico della luce in relazione con la musica. L’unico vero personaggio rock è Baldovino vestito con abiti in simil pelle, in contrasto con gli altri personaggi vestito con costumi di fattura settecentesca.

A sottolineare la vuota ipocrisia borghese erano i ritratti caricaturali appesi sullo sfondo, che raffiguravano maschere esasperate nei tratti e litigiose con il proprio doppio raffigurato a specchio. La scena era sovrastata da una imponente struttura illuminotecnica rossa, che ricordava una grande lente d’ingrandimento rivelatrice.

Un classic rock, “suonato” sul palco dai suoi interpreti con grande abilità, tra tradizione e modernità.

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