Romanzo perturbante, complesso e articolato, Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov è stato abilmente concentrato in una pièce teatrale dal regista Andrea Baracco, nella fedele e scorrevole drammaturgia di Letizia Russo, presentato lo scorso 30 novembre e 1° dicembre al Teatro Verdi di Pisa.
Sulla scena è un continuo susseguirsi di entrate, uscite e apparizioni da porte che alludono alla grande “festa letteraria” del romanzo, che catapulta il lettore in un mondo in bilico tra realtà e finzione, nel quale si alternano registri comici e tragici, in un’atmosfera cupa e grottesca.
La sensazione all’aprirsi del sipario è quella di trovarsi in uno spazio fuori dal tempo e claustrofobico: il luogo della pazzia. I graffiti bianchi sulle pareti nere, esaltati dalle scarne luci di Simone De Angelis, ricordano quell’Art Brut idealizzata dall’artista Jean Dubuffet, libera da vincoli culturali e vicina all’arte dei folli. Un grande dazebao dove si notano parole, disegni, massime, numeri e date.
Le tre linee narrative sulle quali si basa il romanzo si compenetrano l’una nell’altra, come intrecciate da un fil rouge: Woland, il Diavolo. Egli esiste da sempre, c’era quando Ponzio Pilato era procuratore della Giudea, e ci sarà fino alla fine dei tempi, oltre le vite degli uomini che ha incontrato nel suo cammino. Conosce il futuro e sembra poterlo manipolare, offrendo scambi sfavorevoli agli uomini anche nella cupa Mosca, dove è ambientata la storia. Crea scompiglio con la sua bizzarra cricca sotto mentite spoglie di un esperto di magia nera. Porta alla pazzia il Poeta e trasforma Margherita, amante del Maestro anch’egli rinchiuso in un manicomio, in una strega per il suo ballo infernale.
Di grande impatto visivo l’ingresso di Ponzio Pilato (Francesco Bonomo) che con il suo lungo mantello rosso divide diagonalmente la scena mentre il Messia viene condannato a morte. Il Diavolo (Michele Riondino) è il ritratto della follia: con un trucco bianco che accentua una carnagione innaturale, si muove sul palco zoppicante con un bastone e un tono di voce alterato, isterico e acuto. Con sarcasmo, mette alla prova gli uomini, insinua in loro il dubbio e li conduce verso i suoi mefistofelici fini.
Molti hanno interpretato più ruoli per coprire almeno i personaggi principali, come Francesco Bonomo nella doppia veste del Maestro e Ponzio Pilato, Oskar Winiarski nei panni del Poeta portato alla follia e Gesù, esangue e carico di pathos.
L’amante del Maestro, Margherita interpretata da Federica Rosellini, scesa a patti con il diavolo per rivedere il suo amato, ha catturato l’attenzione per la sua forte drammaticità fisica che culmina quando, diventata ormai una strega, si dondola sull’altalena a centro del palco con foga e liberazione.
Inquietanti ed evocativi di una storia ricca di spionaggi e omicidi realmente accaduta, i telefoni fissi sono gli oggetti drammaturgici per eccellenza in questo spettacolo, che creano un clima di attesa, incertezza e paura per le sorti future.
Prima dei numerosi applausi finali, non poteva mancare la celebre Sympathy for the Devil, canzone scritta dai Rolling Stones nel 1967, ispirata proprio all’opera di Bulgakov.
Uno spettacolo riuscito sotto tutti i punti di vista, avvolto nel mistero e nel dramma, con numerosi piani di lettura e di riflessione da svelare, fin dalla celebre frase goethiana scelta come monito sulla parete “Liberati dal maligno gli uomini sono rimasti maligni”. Applausi.