In questo nostro nuovo appuntamento, (leggi gli articoli precedenti: clicca qui per la prima parte, clicca qui per la seconda parte), cercheremo di delineare le strategie e i punti deboli della governance globale che dovrebbe occuparsi di affrontare le grandi emergenze del nostro pian
Governance. Innanzitutto cos’è una governance? Wikipedia ci aiuta definendola: quell’insieme di regole, di ogni livello (leggi, regolamenti etc.) che disciplinano la gestione e la direzione di una società o di un ente, pubblico o privato. Nel nostro caso l’ente o la società è il mondo, ma per quale motivo dunque dobbiamo parlare di governance e non di governo globale? Se torniamo a leggere il primo articolo, scopriremmo che l’idea di un governo mondiale rappresenta un progetto assai utopistico e non pronosticabile nel breve periodo. Ciò a cui possiamo pensare invece è di creare un insieme legittimo di norme e regole in grado di influenzare e mettere di comune accordo le scelte individuali delle singole nazioni.
Unione Europea, esempio di Neo-Regionalismo? Su questo tema, una ben nutrita fetta di studiosi ha espresso la propria opinione, descrivendo il neo-regionalismo l’unica soluzione ai problemi globali del ventunesimo secolo. Un altro termine sofisticato, ma che potremmo banalmente spiegare così: ideologia che favorisce l’istituzionalizzazione di grandi patti di natura politica o meramente comme
Esiste una soluzione? La vicinanza tra stati può in qualche modo portare alla legittimazione di una governance globale, che nella teoria già esiste (basti pensare alle Nazioni Unite), ma necessita di essere rivista e assolutamente riaffermata. Lo stato attuale delle cose acuisce l’instabilità dei mercati, negando una reale e concreta uscita dalla crisi e un deterioramento progressivo delle risorse terrestri. In un scenario dove nuovi colossi come la Cina e l’India non minacciano a diminuire la loro crescita sia economica che demografica, gli Stati devono trovare al più presto il modo di dare forza e pro
Stati buoni, Stati cattivi. Ciò che ci viene da pensare è se a in un ottica più nazionale, e più a portata di mano, è possibile fare qualcosa. Per i singoli Stati dovrebbe essere obbligo, sì, riuscire a distribuire ottimi servizi e beni ai propri cittadini, così da attirare e distribuire capitale. La mobilità del lavoro tuttavia è un’arma a doppio taglio: se da un lato un paese si arricchisce con nuovo capitale umano, e inevitabile che un altro s’impoverisce. Per quanto riguarda la tassazione, invece, esiste un sostanziale squilibrio tra alcuni Stati, rappresentato dall’assenza di una reale normativa globale che possa impedire a certi individui di godere dei privilegi di un paese e allo stesso tempo ospitare i propri redditi in un Stato con fiscalità privilegiata. Quindi esistono davvero Stati buoni e Stati cattivi? Sembra proprio che in questa logica darwinista, la globalizzazione metterà in evidenza quali paesi lavorano bene, e quali no. Il tempo ci dirà chi sopravvivrà a questo gioco globale.