Nell’articolo di ieri (leggilo a questo link), abbiamo gettato le basi per la comprensione di un termine diventato ormai comune nelle discussioni di oggi. Pensiamo che molti problemi legati al clima, alle crisi finanziarie, all’insicurezza siano provocati in gran parte dalla crescita progressiva di un grande sistema globale. Alcuni stati fino a poco tempo fa ritenuti del Terzo Mondo, come la Cina o l’India, si sono avvicinati nell’orbita occidentale, influenzando inevitabilmente il gioco di entrambe le parti. Ci siamo chiesti se globalizzazione può essere sostituita con il termine occident
Mercato globale. Dopo la caduta del muro di Berlino e lo sfacelo dell’Unione Sovietica, ciò che è risultato lampante agli occhi di tutti è che gli Stati Uniti, o meglio, l’Occidente aveva una marcia in più rispetto al resto del mondo. Il capitalismo, il libero mercato, il consumismo alla portata di chiunque, sono stati questi e molti altri i fattori che hanno permesso a questa ideologia di perdurare e di sviluppare una grande capacità di attrazione rispetto ad altre. Si pensi solamente a cosa doveva significare per un cittadino russo dell’Unione Sovietica essere costretto ad andare al mercato nero per comprarsi una lattina di Coca Cola scambiando dollari statunitensi. Il diritto alla felicità, il principio fondante su cui gli Stati Uniti si erano dichiarati indipendenti, era bello ed etichettato su quella lattina e su quella di molti altri prodotti. Lo stile di vita delle democrazie occidentali era troppo invidiabile da non poterlo desiderare. Così l’emulazione è avvenuta. Liberalizzare è diventato un must per la maggior parte delle politiche economiche degli stati. Il mercato è diventato sempre più vasto, inglobando a sé scenari drammaticamente diversi l’uno dall’altro. Occidentalizzare in questo senso, significa sì da una parte attingere alle innovazioni tecnologiche e ai principi libertari conquistati dopo anni di guerre e rivoluzioni; ma vuol dire ereditarne anche tutti i suoi difetti.
Il ruolo delle multinazionali. Nel teatro di un mercato globale è ovvio distinguere le multinazionali come i veri attori protagonisti. Se i costi di trasporto vengono a costare meno della produzione, ciò che un’azienda del ventunesimo secolo decide di fare è dividere il corpo dalla testa. Il primo, ovvero la produzione, viene spostata nello stato, o negli stati, dove il costo del lavoro è basso e dove le materie prime sono più facili da reperire; la seconda, ovvero la testa dell’azienda, l’apparato dirigente, viene lasciato a distribuire il prodotto finale, dove la richiesta è alta e il guadagno è altamente superiore alla spesa. Questo è ciò che fanno in linea di massima quasi tutte le multinazionali.
Il viaggio della bottiglia d’olio. I rischi quali sono? Innanzitutto il consumo e l’inquinamento dissennato prodotto da un ginepraio di merci e mezze-merci, trasportate per il resto del mondo, senza avere né capo né coda. L’esempio di una bo
Come si capisce, da questa situazione chi trae più beneficio è l’azienda che alla fine ha risparmiato sulla produzione e guadagnato maggiormente nella vendita, a discapito tuttavia del lavoratore che viene sfruttato e dell’ambiente. Di per sé non sarebbe sbagliato concentrare la produzione e la distribuzione di beni e servizi in grandi organi aziendali o associativi, agevolerebbe il controllo sui flussi di capitale e l’osservanza dei diritti sul lavoro. Tuttavia non ci troviamo in un sistema normativo globale che permette di tassare ugualmente i capitali o dove esistono regole etiche ugualmente condivise.
Soluzioni? Ne parliamo nel prossimo articolo.