Il capolavoro mozartiano Die Zauberflöte (Il Flauto Magico) – andato in scena sabato 14 gennaio – è stato probabilmente l’appuntamento più atteso dell’odierna Stagione Lirica del Teatro Verdi di Pisa, complici la grande popolarità del titolo e la presenza di un cast internazionale guidato da un nome di primissimo piano, Lindsay Kemp. La realizzazione dell’ambizioso progetto è stata possibile grazie alla collaborazione, divenuta ormai un marchio di fabbrica, tra il Verdi, il Teatro Goldoni di Livorno e il Teatro del Giglio di Lucca, di cui questa coproduzione è l’ennesimo frutto.
L’allestimento, frutto della particolare visione di Kemp, si segnala per la grande raffinatezza di costumi e scenografie (anche se in alcuni momenti ricordava un po’ troppo da vicino una famosa produzione della Zauberflöte di David McVicar, rappresentata alla Royal Opera House di Coven Garden nel 2003) e per il gusto tutto “kempiano” di una recitazione fisica, che ricorre spesso a una ricca gestualità. Per onestà intellettuale debbo confessare, seppur a malincuore, di non aver apprezzato i toni eccessivamente fiabeschi e i colori sgargianti perché, pur essendo un’opera che dedica ampi spazi alla comicità, è principalmente pervasa da uno spirito quasi sacrale, che deve emergere incontrastato; tuttavia si tratta semplicemente di gusto personale e comunque non si può non sottolineare l’evidente cura posta nello studio della regia, nelle magnificenti scenografie e nei costumi (alcuni di questi erano davvero suggestivi, ad esempio quello di Papageno, vicinissimo a quello della prima rappresentazione del 30 settembre 1791). L’unica nota stonata in tutto questo sono stati alcuni tagli nel corso dell’opera, in particolare l’eliminazione arbitraria di alcuni dialoghi recitati e del duetto dell’Atto II Bewahret euch vor Weibertücken e i recitativi in lingua italiana tra Papageno e Papagena, tanto incomprensibili quanto ingiustificati.
Per converso, la parte musicale è stata curata in modo assai approssimativo, tanto dai cantanti, quanto dal M° Dejan Savić che ha diretto l’Orchestra della Toscana. A proposito di questi ultimi, è senz’altro vero che l’esecuzione è stata ineccepibile e perfettamente controllata, ma mancava una sincera partecipazione emotiva all’esecuzione. Tante buone maniere, ma il risultato è stato un Flauto Magico senza nerbo, tra tempi a volte troppo lenti e dinamiche e coloriti troppo poco sviluppati. Probabilmente i bravi professionisti dell’ORT avrebbero fatto di meglio da soli senza il braccio greve e la fantasia grigia di Savić.
Anche alcune performaces vocali sono state abbastanza deludenti, in primis le Drei Damen (Roxana Herrera Diaz, Sara Paone e Carlotta Vichi) e la Regina della Notte (Sarah Baratta). Le Tre Dame della Regina in realtà hanno cantato molto bene, a livello di intonazione e interpretazione, ma erano costantemente in ritardo sul tempo, tanto che in almeno tre occasioni (introduzione Zu Hülfe!, quintetti Hm hm hm e Wie? Wie? Wie?) sono andate palesemente fuori tempo, mentre Sarah Baratta è stata decisamente troppo insicura nell’intonazione e troppo secca nelle colorature che caratterizzano il suo personaggio, cosa inaccettabile se si considera che la Regina della Notte ha solo tre scene e la terza è costituita da un quartetto abbastanza trascurabile dal punto di vista della difficoltà. È senz’altro obiettiva la difficoltà delle due grandi arie affidate a questo personaggio, ma è altrettanto vero che la Regina della Notte deve fare solo quello.
Abbastanza irrilevante il macedone Blagoj Nacoski nel ruolo di Tamino, tuttavia non mi sento di esprimere giudizi su di lui in quanto ho notato che nel corso dell’esecuzione ha eliminato alcuni acuti, quindi è possibile che fosse indisposto.
Notevole, invece, la prestazione di Pamina (Yukiko Aragaki) che ha mostrato un’ottima presenza scenica sostenuta da una voce limpida e dal colore diafano, così come le bravissime Margherita Carnicelli, Martina Niccolini e Alice Schiasselloni che hanno interpretato il non facile ruolo dei Tre Genietti, sostenendo in modo eccellente il confronto con i loro colleghi.
Interessante anche il Sarastro di Manrico Signorini, la cui voce solida e umbratile sembra divenire quasi tangibile nel registro grave.
Ma è il baritono William Hernandez a meritare le più sincere lodi: il suo Papageno, tutto gesti e pose, è il vero vincitore di questo Flauto Magico. Hernandez è un vero “animale da palcoscenico”, che si muove con grazia e disinvoltura sulle tavole del boccascena come se fosse per davvero il suo ambiente naturale. Ottima anche la sua prestazione vocale, asciutta ma ricca di gusto e piacevolezza. Parlando di Papageno, è doveroso rivolgere un applauso anche a Papagena (Silvia Lee) e al simpaticissimo corpo di ballo dei piccoli.
Per concludere, è d’obbligo lodare lo strepitoso Coro Lirico Toscano, diretto dal M° Marco Bargagna, che ha magnificamente interpretato i cori del capolavoro mozartiano e ha catturato, verrebbe da dire magneticamente, l’attenzione del pubblico ad ogni singolo intervento, in scena o dietro le quinte.
È un vero peccato che nell’esecuzione non ci sia stata la stessa cura che è stata posta nell’aspetto registico e scenografico, sarebbe stato un Flauto Magico assolutamente indimenticabile.
Photocredit: Augusto Bizzi, Livorno
Luca Fialdini
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