La stagione di prosa del Teatro Goldoni di Livorno ha accolto nuovamente, con grande piacere, Stefano Accorsi in una produzione della Compagnia “Nuovo Teatro”.
Le intriganti storie di Giovanni Boccaccio trovano nuova vita in una trasposizione teatrale innovativa e frizzante, che si attiene alla trama originale e ne traduce i contenuti in una lingua più moderna e accessibile al pubblico. Sette diverse novelle boccaccesche sono rappresentate da Stefano Accorsi e la compagnia del Decamerone, che fra “vizi, virtù e passioni” fa riflettere lo spettatore su vicende sempre attuali. Il filo conduttore che le unisce è l’Amore, espresso in tutte le sue forme, dall’eros all’amore filiale, un sentimento così forte da spingere i personaggi ad infrangere le regole per appagarlo, “l’amor che move il Sole e l’altre stelle” diceva Dante nella sua Divina Commedia.
Il regista, Marco Baliani, ha voluto proseguire il percorso intrapreso con la sua rivisitazione dell’Orlando Furioso, utilizzando un altro classico della letteratura italiana: il Decamerone, per dimostrare l’immortalità di queste opere, che riescono ad affascinare anche attraverso i secoli. Lo spettacolo, in atto unico, si apre con un prologo del bravissimo Stefano Accorsi, in cui presenta la compagnia e spiega come “il morbo che ci ammorba” al giorno d’oggi, non sia una pestilenza ma una malattia morale, riferendosi in particolare alla corruzione e al malgoverno italiano.
Accorsi nelle vesti di capocomico è affiancato da un cast eccezionale composto da Silvia Briozzo nel ruolo di Elissa la generosa, Silvia Ajelli nelle vesti di Fiammetta l’innamorata, Fonte Fantasia nella giovane Pampinea, Mariano Nieddu nello scaltro Dioneo e infine Salvatore Arena nel fedele Filostrato. Un team davvero affiatato capace di trasmettere energia durante tutta la rappresentazione, che richiede velocità e precisione, in quanto la narrazione delle sette novelle ha un ritmo incalzante. Gli attori non escono mai di scena, effettuando tutti i cambi d’abito necessari dietro una tenda, inoltre non utilizzano i microfoni ma questo non impedisce alle loro potenti voci di raggiungere l’intera platea. Ogni personaggio è anche narratore di una novella, recitata in un dialetto diverso in base alla città nella quale è ambientata: in quasi due ore di spettacolo assistiamo a un excursus linguistico che abbraccia tutta la penisola italiana. La scenografia, allestita da Carlo Sala, benché semplice ed essenziale si rivela poliedrica ed efficace ai fini della recitazione, sorprendendo il pubblico fino alla fine.
Ho apprezzato particolarmente l’epilogo conclusivo, affidato alle parole di Panfilo-Accorsi, sull’importanza dell’amore, inteso come balsamo dell’anima, unico vero strumento di conforto della società. Motti sagaci e battute di spirito contrassegnano tutte e sette le novelle, nonostante non siano tutte divertenti ma si passi dalla commedia al dramma con estrema facilità, come nella tragica vicenda di Tancredi e Ghismunda. Ieri come oggi raccontarsi delle storie per affrontare la vita nelle situazioni più dolorose, è un modo per beffare la morte e proteggersi dal male circostante. Prendersi in giro e fare satira è stata e sarà sempre una prerogativa del nostro paese e il Decamerone di Boccaccio ne è un brillante manifesto.
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