La seconda opera del “trittico” dongiovannesco di novembre, ossia Il Convitato di Pietra di Giacomo Tritto, è andata in scena sabato 14 novembre al Teatro Verdi di Pisa, un momento per tutti noi molto particolare dato che non erano passate nemmeno ventiquattr’ore dagli attentati che hanno colpito Parigi. È a seguito di questi orribili eventi che la Fondazione Teatro di Pisa ha deciso di attuare la lodevole iniziativa di aprire le porte del teatro per tutti coloro che volessero testimoniare la propria vicinanza al Bataclan e alle vittime degli attentati parigini. Inoltre, la rappresentazione è stata preceduta da un intervento del presidente della Fondazione Giuseppe Toscano: “Ci sono tanti modi per morire, ma non così. È drammatico che il massimo della carneficina sia avvenuto in un teatro. Noi abbiamo dalla nostra una tradizione, un teatro di tradizione, un teatro secolare che ha ospitato intere generazioni, giovani e meno giovani, artisti che hanno calcato queste scene. Non mi sento in un teatro diverso dal Bataclan. Questo è un teatro. E vi dico, con le parole di San Giovanni Paolo II, non abbiate paura! Alzatevi e camminate! Questo invito straordinario risuona stasera nelle nostre menti come auspicio per questa terra martoriata, la Francia come tutta Europa ed il mondo intero. Non c’è commemorazione da fare. Questo tempo in cui siamo in un teatro è un tempo per pensare alla bellezza in cui siamo calati e, allo stesso tempo, alla tragicità, alla precarietà della nostra vita, ma con una certezza: non abbiamo paura.” Toscano ha poi continuato, visibilmente emozionato: “Questo teatro porta stasera un’opera e ne porterà altre, lo vogliamo pieno di gente che non abbia paura, perché noi abbiamo dalla nostra questa splendida, enorme, secolare cultura e nessuno ce la potrà ammazzare, nessuno ce la potrà distruggere! La nostra funzione è di tramandare e tramandare ancora ai nostri giovani, ai nostri nipoti quello che siamo stati, quello che questa Europa ha espresso e quello che in questo teatro abbiamo espresso! Che bello il teatro pieno in questa giornata! Grazie di essere venuti e vi presento, in un minuto di silenzio, i cantanti e l’orchestra che si esibiranno stasera.”
Dopo questo doveroso e commovente omaggio, il sipario si è aperto sul Convitato di Pietra. È stato uno spettacolo molto curato, in primis per quanto riguarda l’allestimento: finalmente un’opera il cui l’allestimento rispecchia l’epoca di composizione! È quindi scontato che i miei più sinceri complimenti vadano al coordinamento scenografico di Giacomo Callari ed Enrico Spizzichino ed alla regia di Renato Bonajuto. Scene semplici ma d’effetto e molto ben riuscite dal punto di vista della resa teatrale, così come i costumi, buffi (come si conviene alla farsa napoletana) ma il giusto e molto caratteristici. Un personale ringraziamento va al regista per la decisione di mostrare (finalmente!) la statua equestre del commendatore (che, in questa particolare versione, spicca addirittura il volo!), per il riuscitissimo gioco di luci e fumogeni della scena finale, la famosa catabasi di Don Giovanni, e per l’affettuoso congedo di questo spassoso Convitato dal suo pubblico, ossia la scelta proiettare un busto di Giacomo Tritto troneggiante sui cantanti.
Non mi addentrerò molto sulle interpretazioni dei cantanti per un semplice fatto: nessuno ha particolarmente brillato per vocalità. Gli interpreti che hanno spiccato di più – vocalmente parlando – sono stati Vladimir Reutov (Don Giovanni) e Gelsomina Troiano (Lesbina), ma anche questi due non hanno attirato particolarmente l’attenzione. Il discorso cambia molto se parliamo di recitazione: è la recitazione che la fa da padrona in questo Convitato, ed il cast artistico di ieri sera ci ha regalato alcuni quadretti irresistibili. Uno su tutti, Daniele Piscopo, alias Pulcinella. Il ruolo di Pulcinella è molto difficile da ricoprire perché è un personaggio assolutamente comico, bisogna avere un’ottima presenza scenica per renderlo al meglio e Piscopo ci ha regalato un Pulcinella esilarante, tutto pose e sberleffi, come nella migliore tradizione partenopea. Anche i già citati Reutov e Troiano hanno dimostrato un’ottima vis comica, così come Marco Innamorati che ha caratterizzato il personaggio di Bastiano con una mimica davvero notevole.
Buona anche l’Orchestra Arché (nonostante qualche difficoltà di intonazione negli oboi e nei corni), così come la direzione del M° Carlo Ipata, ma questo è il problema: è buona, molto pulita, tante buone maniere, se vogliamo… ma in quest’opera serve il sangue napoletano, il calore, il mordente tipico della musica della Scuola Napoletana. Le due tarantelle del primo atto sono state ben eseguite, ma avrebbero dovuto essere più calde e caratteristiche. La tarantella è il biglietto da visita di Napoli nel mondo, non può essere eseguita con la stessa limpidezza di un valzer! Inoltre, l’orchestra è sempre stata molto sonora e ciò non va bene quando non si ha un cast con voci dalla notevole intensità ed Ipata avrebbe dovuto moderare il “volume” dell’orchestra in modo da non coprire gli interpreti.
A prescindere da tutto questo, lo spettacolo è stato di notevole qualità e soprattutto efficacissimo da un punto di vista teatrale ed assolutamente spassoso. È su questo punto che vorrei soffermarmi un attimo, ricollegandomi anche alle parole di Giuseppe Toscano: il riso uccide la paura. Nel momento storico in cui ci troviamo esistono delle organizzazioni che mirano a spargere paura e panico sul mondo per il semplice fatto che le persone sono più facili da controllare se terrorizzate e mirano anche a distruggere l’Occidente come universo culturale. È singolare – e bellissimo – che ad un atto scellerato come quello di venerdì sera si risponda con un Convitato di Pietra, e cioè con il mito di Don Giovanni che da più di cinquecento anni pervade la letteratura, la musica e l’arte tutta dell’Occidente, e con una farsa, uno dei generi più comici mai apparsi nei nostri teatri. Non bisogna avere paura, bisogna affrontare il futuro con consapevolezza e lucidità, non con il terrore. Nella storia del mondo, il potere ha sempre temuto la forza dirompente della risata, fin dai tempi di Aristofane, e questo perché il riso ha il potere di liberare l’uomo dalle proprie paure. Non abbiate paura.
Photocredit: Massimo D’Amato, Firenze