Sabato sera è andata in scena al Teatro Verdi di Pisa l’opera Il Convitato di Pietra di Giovanni Pacini, ultima rappresentazione del DonGiovanniFestival che ora cede definitivamente il passo al Festival Demoni e Angeli – Il mito di Faust.
Si tratta di un’opera è piuttosto particolare poiché Pacini la compose in vista di un’esecuzione privata in cui i personaggi erano interpretati dai propri familiari, pertanto si tratta di un’opera intima, quindi lontana dal mondo teatrale vero e proprio (come testimonia anche l’inconsueta struttura orchestrale: violini, viole, violoncelli, un contrabbasso e due flauti), e dal carattere fortemente giocoso, quasi scevro dell’austerità teatrale, come si può facilmente dedurre dal fatto che il compositore abbia preferito evitare la forma del recitativo sostituendola con un più comune parlato. Cionondimeno, l’opera risulta impegnativa tanto dal punto di vista tecnico che della recitazione: a numeri musicali impervi (uno su tutti, l’aria di Zerlina Sento brillarmi il core) si associano parti recitate estremamente caratterizzanti che richiedono una recitazione brillante ma misurata e convincente. Si prenda, ad esempio, Massimiliano Silvestri, che ricopriva il ruolo del protagonista: ha cantato innegabilmente bene, dimostrando controllo dell’intonazione anche in passaggi in piano nel registro acuto (ad esempio, nella romanza dell’Atto II, Luna, conforto al cor de’ naviganti), tuttavia con la recitazione non ha centrato l’obiettivo. Ho capito che impronta ha voluto dare al personaggio, voleva presentare un Don Giovanni mefistofelico ma sornione, incosciente ma scaltro, ma non era il taglio adeguato da dare al personaggio, mancava di credibilità.
Chi invece ha assolutamente inquadrato il proprio personaggio è Carlo Torriani, che ha abbinato ad una impeccabile ars canora una recitazione coinvolgente ed esilarante: dotato di una voce piena e rotonda, ha mirabilmente retto la parte da basso buffo senza cedimenti, registro acuto compreso, che – per le voci basse – risulta spesso scomodo. Torriani ha dimostrato un’ottima padronanza della tecnica vocale (come non ammirarlo nel meraviglioso duetto Di tutte le sue belle?) ed ha fermamente ribadito il proprio controllo su di un personaggio che ormai, è evidente, gli appartiene. Spero di poterlo rincontrare presto a teatro e soprattutto mi auguro di poterlo vedere cimentarsi nel ruolo di Leporello, che di certo saprebbe interpretare magistralmente.
Ottima anche Giulia De Blasis che si è messa alla prova con i difficile ruolo di Zerlina, difficile perché Pacini, modellando il personaggio sulla vocalità della propria sorella, ha affidato a questo personaggio dei passaggi veramente impervi con agilità, fioriture ed espressività che solo un soprano di prim’oridine come la De Blasis è in grado di eseguire con altissima precisione: la sua voce cristallina le è senza dubbio d’aiuto, ma il suo grande sostegno è l’estrema professionalità unita ad uno scrupoloso controllo della vocalità, peculiarità che le ha permesso di essere chiaramente distinguibile anche nel corso dei concertati.
D’altro canto, Roberto Cresca (Duca Ottavio) e Sandra Buongrazio (Don’Anna) avrebbero potuto dare di più: con questo non voglio dire che la loro interpretazione sia stata negativa ma semplicemente che non è stata all’altezza del resto del cast. L’unico appunto che mi sento di fare a Cresca è che masticare un chewingum nel momento in cui tutti gli attori vengono chiamati sul palco per gli applausi finali sarebbe da evitare.
Pregevole l’interpretazione di Daniele Cusari (Masetto): una voce davvero penetrante, piena e pastosa, magari non troppo aggraziata o rifinita ma caratteristica e soprattutto sostenuta da una recitazione sempre accattivante. Estremamente interessante, invece, la performance di Sinan Yan (Commendatore); se in passato ho detto qualcosa di negativo su questo cantante, me ne scuso profondamente: una voce solenne, ieratica come il Commendatore stesso, grave e cupa, molto affascinante e magnetica in special modo nel registro grave, con poche frasi cattura subito l’attenzione dello spettatore.
Molto buona l’orchestra Arché, così come la direzione di Daniele Ferrari. Apprezzo molto quando il direttore si esprime con gesti semplici e chiari (tanto per l’orchestra quanto per i cantanti), così come ho apprezzato il suo sangue freddo nel riportare i cantanti in carreggiata qualora ci fossero delle imprecisioni ritmiche. Particolarmente riusciti i concertati e le scene d’assieme, ricchi di pathos e avvincenti, che hanno mostrato la loro capacità di spostarsi con nonchalance da momenti più cupi o drammatici a momenti assolutamente ironici e brillanti, dal carattere marcatamente rossiniano. L’unico momento in cui l’orchestra non ha fornito l’apporto necessario è stato nella conclusione dell’Atto II; quando il povero Don Giovanni viene trascinato all’Inferno dal coro di demoni, si ha una brevissima pausa di sospensione cui seguono delle terzine degli archi: ebbene, in queste terzine deve avvertirsi il fuoco, devono essere eseguite con spirito ed in crescendo quasi barbaro, non in modo blando, e questo è un peccato perché – eseguito come si deve – questo finale sarebbe stata la degna conclusione di uno spettacolo assolutamente riuscito. Probabilmente, se il M° Ferrari avesse avuto a disposizione qualche prova in più, l’effetto sarebbe riuscito. Peccato.
In definitiva, questo brillante Convitato di Pietra o Don Giovanni Tenorio di Giovanni Pacini è stato un discreto successo (soprattutto se si considera che quella di sabato sera è stata la prima assoluta a Pisa). L’unica nota “stonata” è stata la scenografia: d’accordo che, originariamente, era pensato per un’esecuzione domestica, probabilmente in una sala, ma non per questo lo spettatore deve ritrovarsi il palcoscenico ammobiliato come un qualsiasi salotto. Potevano riciclarsi le bellissime scene del Convitato di Pietra di Tritto, ad esempio; sarebbe stata un’ottima soluzione. Se la mano del regista non mi ha colpito per la scelta della scenografia, bisogna riconoscere che ha saputo egregiamente guidare gli interpreti in questo singolare pastiche che riunisce lembi del libretto del Don Giovanni di Mozart, del Don Giovanni Tenorio di Gazzaniga e qualche cenno del Convitato di Tritto, allestendo uno spettacolo sicuramente di livello e – soprattutto – di grande intrattenimento.
Photocredit: Massimo D’Amato
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