Venticinque anni di combattimenti, mezzo milione di morti e quasi 400.000 profughi.
Questo è il bilancio provvisorio del Conflitto Civile Somalo, la prima e vera propria “Guerra Dimenticata”, antesignana di quella Siriana e di quelle Medio-Orientali.
Ad aver reso unica nel mondo la situazione Somala, oltre che a differenziarla da quella di altri Stati ex coloniali, fu la totale anarchia senza fine in cui nel giro di pochi mesi capitò il paese, collassato su se stesso a tal punto da essere definito “Fallito” negli ambienti internazionali.
A partire dalla destituzione del Presidente, o forse Dittatore, Siad Barre nel 1991 la violenza si impadronì infatti di tutta la Somalia, decine di capi-tribù si autoproclamarono “Signori della Guerra” e molte regioni, come ad esempio quelle settentrionali ex britanniche del Somaliland, si separarono dal Governo Centrale di Mogadiscio, sempre più fatiscente.
A questo scenario, già desolante, si aggiunse una carestia di proporzioni inaudite, in grado di mietere migliaia di vittime e di spingere i principali Mass Media a richiedere con forza un intervento umanitario internazionale.
L’ONU, dopo diversi mesi, approvò nel 1992 con la Risoluzione 751 una prima missione in Somalia chiamata “UNOSOM I”, finalizzata solo a fornire assistenza umanitaria alla popolazione civile, ma l’iniziativa si rivelò ben presto un fallimento tanto da spingere le Nazioni Unite ad organizzare una vera e propria operazione militare chiamata ”Restore Hope” o “UNITAF” sotto la supervisione degli Stati Uniti e con la partecipazione di diversi paesi, tra i quali anche l’Italia, tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993.
Le forze internazionali, una volta sbarcate in Somalia, trovarono davanti ai loro occhi uno Stato realmente ”Fallito”, privo di istituzioni, in preda alla più completa barbarie e segnato a tal punto dalla violenza da sembrare oramai ripiombato in una sorta di Medioevo.
I vari gruppi tribali presenti nel paese all’arrivo delle forze occidentali decisero di cooperare e di attuare azioni di guerra asimmetrica usando i civili come scudo e la brutalità come arma di dissuasione: durante le battaglie principali del Conflitto i morti occidentali furono esposti al pubblico ludibrio, straziati dai guerriglieri locali; neanche i giornalisti e gli infermieri stranieri furono risparmiati da questa inutile violenza e le morti di Ilaria Alpi e Graziella Fumagalli sono rimaste tutt’oggi senza colpevoli.
(Il film “Black Hawk Down” racconta proprio una delle principali battaglie del conflitto, avvenuta a Mogadiscio tra il 3 e il 4 ottobre 1993)
Alla prima visione di queste drammatiche immagini, l’intervento internazionale così fortemente richiesto dai Mass Media si rivelò tanto impopolare da costringere prima gli Stati Uniti e poi l’ONU a terminare la missione e ad organizzare il ritiro del contingente armato, abbandonando la Somalia a se stessa e ad un triste destino.
Dal 1996, anno del ritiro delle forze internazionali, al 2006 ventisette fazioni tribali si sono scontrate per il controllo del paese “Fallito”, squassato da disordini, epidemie e carestie; la popolazione, prima ostile agli Occidentali invasori e poi stanca della sete di potere dei “Signori della Guerra”, finì per aderire alle posizioni estremiste delle “Corti Islamiche”, capaci sorprendentemente di unificare nel giro di pochi anni larga parte del paese nel segno della Shari’a nonchè di centrare l’obiettivo mancato dalle forze ONU.
Nel 2007, per evitare la creazione di un nuovo “Emirato Islamico”, Stati Uniti ed Etiopia intervenirono militarmente a sostegno del Governo Centrale e degli stessi Signori della Guerra, un tempo nemici, e dopo anni di combattimenti Mogadiscio fu liberata definitivamente dalle Corti nel 2011.
La Somalia fu liberata dall’influenza di gruppi estremisti islamici ma non si liberò certo dalla violenza.
I “Signori della Guerra”, nuovamente padroni dello Stato, tornarono a combattersi fra loro e il Governo Centrale si rivelò ancora una volta incapace di fermare un conflitto divenuto oramai quotidiano.
Oggi, nel 2014, la situazione non è minimamente mutata e tutti gli esperti di politica estera non prevedono miglioramenti in futuro.
Quali sono state le ragioni del fallimento delle missioni ONU e, soprattutto, quali conseguenze ha comportato questa “Guerra Dimenticata”?
In primo luogo, i motivi dell’insuccesso delle missioni sono legati ad un approccio fallimentare da parte dei vertici dei contingenti internazionali.
Il tentativo di “Esportare la Democrazia” da parte dell’ONU si scontrò, come si scontrerà d’altronde in Iraq e in Afghanistan, con resistenze ideologiche e culturali della popolazione tali da minare sul nascere qualsiasi sforzo diretto all’istituzione di strutture democratiche.
Non a caso Bill Clinton, acuto presidente americano, capì come questo principio fosse capace di produrre risultati solo al prezzo di sacrifici umani ed economici insostenibili da parte di una popolazione occidentale sempre meno “Eroica” e sempre più “Ostile” ad interventi militari, e richiese per primo il ritiro dei soldati americani presenti in Somalia.
Il fallimento dell’esperienza somala si coglie appieno nelle due operazioni successive promosse dagli Stati Uniti e dalla NATO in ex-Jugoslavia tra il 1995, di qualche mese posteriore al ritiro delle truppe dal paese africano, e il 1999, condotte attraverso l’aviazione senza l’ausilio di truppe terrestri proprio per evitare morti fra i soldati e conseguente impopolarità della missione presso l’opinione pubblica.
Contemporaneamente i Mass Media compresero per la prima volta come determinate prese di posizione, spesso dettate da impulsive esigenze di mercato, comportassero responsabilità e conseguenze non irrilevanti.
L’intervento in Somalia, così richiesto dai principali organi informativi, si ritorse contro gli stessi giornalisti nel’attimo in cui furono rese pubbliche le immagini dei cadaveri dei soldati occidentali, orribilmente straziati dai guerriglieri locali.
Poco importa se la stampa fu la prima a richiedere un intervento internazionale, alle richieste dell’opinione pubblica nessuno difese le motivazioni originarie a favore del conflitto e, da principali artefici delle missioni, i Mass Media si ritrovarono a esserne gli ultimi tra i detrattori.
Il genocidio in Ruanda, ignorato volutamente dall’informazione internazionale nel timore di sollecitare una nuova guerra impopolare agli occhi dell’opinione pubblica, ben rappresenta questa nuova consapevolezza.
Fino al 2001 l’Occidente conobbe un periodo relativamente tranquillo ed economicamente felice.
Poi qualcosa cambiò.
Appunto al prossimo mese per la conclusione della rubrica delle “Guerre Dimenticate” !
Giulio Profeta
giulio.profeta@uninfonews
1 thought on “La Guerra in Somalia: storia di una violenza dimenticata”