Contrariamente a quanto preventivato dagli analisti occidentali, l’intervento militare russo in favore del regime di Bashar Al-Assad, i cui primi bombardamenti hanno avuto inizio alla fine di settembre del 2015, ha determinato una drastica svolta nella Guerra Civile Siriana, giunta ormai quasi al suo quinto anno di ostilità. Sostenute dai raid aerei di Mosca, le forze governative hanno lanciato una prima offensiva in campo aperto a nord di Hama, tra i primi di ottobre e l’inizio di novembre, ma i ribelli salafiti dell’Esercito della Conquista sono riusciti a non cedere terreno e ad infliggere dure perdite in termini di uomini e di mezzi all’esercito e alle milizie alleate. Gli scettici, tuttavia, sono stati rapidamente smentiti da una nuova, devastante campagna militare lanciata, dopo una sola settimana, più ad ovest, nel settore alawita di Latakia, dove le unità scelte della Guardia Repubblicana hanno iniziato a guadagnare progressivamente terreno, respingendo gli insorti a ridosso della catena montuosa del Jabal Al-Turkmen, per poi addentrarsi anche al suo interno. Nel momento di massima pressione dei cacciabombardieri russi, un intercettore F-16 turco ha abbattuto un Su-24, scatenando una crisi diplomatica senza precedenti tra Vladimir Putin, che ha immediatamente disposto lo schieramento di batterie antiaeree a Latakia, e Recep Tayyip Erdogan, grande sponsor ed alleato dei ribelli. Ciononostante, l’avanzata governativa prosegue, appoggiata anche da forze speciali Spetsnaz russe, che hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella riconquista delle cittadine di Salma e di Rabia; alcuni giornalisti, occidentali e non, sono stati addirittura scortati nelle due località da operatori di queste ultime e li hanno fotografati liberamente, a testimonianza di quanto stia spendendo il Cremlino in questo conflitto, anche in termini di popolarità e di propaganda. Attualmente, l’avanzata continua costantemente lungo il tracciato dell’autostrada M4, in direzione di Jisr Al-Shughur.
Altri attacchi sono stati lanciati, a cavallo tra dicembre e gennaio, a sud, dove la Quinta e la Settima Divisione Corazzata hanno riconquistato Shaykh Maskin, interrompendo così le linee di rifornimento ribelli nel governatorato di Daraa, e nel centro del Paese, lungo il corso del fiume Oronte, area in cui l’Undicesima Corazzata ha rimesso parzialmente in sicurezza il confine amministrativo tra i governatorati di Homs e di Hama, vitali per il collegamento tra Damasco e il settore settentrionale del fronte. Unità governative hanno poi strappato all’Isis, dopo un lungo tira e molla, la cittadina di Mahin, ad est di Homs, salvo poi tentare anche la riconquista di Palmira, ma, respinte dagli uomini del Califfato, si sono trincerate a circa due chilometri dalla città romana.
E’ la zona di Aleppo, tuttavia, ad occupare maggiormente le cronache nazionali ed internazionali, poiché è qui che, dall’inizio del 2016, si stanno concentrando i maggiori sforzi bellici della coalizione che sostiene il regime di Assad. Questa città, la più grande e popolata della Siria, è contesa ormai da quattro anni tra le forze del governo, che controllano la parte nuova e i sobborghi sud-occidentali; un coacervo di milizie ribelli della più variegata estrazione, compresi i qaedisti del Fronte Al-Nusra, jihadisti del Fronte Islamico ed alcune unità più moderate dell’Esercito Siriano Libero, arroccato prevalentemente tra la città vecchia e il suk principale; infine, i miliziani del sedicente Stato Islamico, che controllano saldamente la periferia orientale dell’abitato. Per prima cosa, le brigate della Guardia Repubblicana e della Quarta Divisione Corazzata, coadiuvate da milizie sciite irachene ed afghane, nonché da Hezbollah libanesi e da Pasdaran iraniani, hanno condotto una rapida avanzata nel settore meridionale del fronte, riconquistando molto del territorio perso negli anni precedenti e stabilizzando, così, l’intera periferia sud di Aleppo. Quasi in contemporanea, forze speciali di Damasco, affiancate sul campo da elementi delle Unità Quds iraniane, hanno riconquistato l’aeroporto militare di Kuwairys, situato ad est della città, nel cuore del territorio del Daesh ed assediato per oltre due anni da quest’ultimo; una volta fortificata la base, l’attacco è proseguito sia verso nord, in direzione della roccaforte islamista di Al-Bab, sia verso ovest, con l’obiettivo di controllare definitivamente l’autostrada che collega la città a Raqqa, capitale del Califfato. Infine, nelle ultime settimane, i governativi hanno scatenato una violentissima offensiva verso nord, mirando decisamente e senza indugi alla chiusura di una tenaglia su Aleppo, così da circondare completamente le migliaia di ribelli intrappolate al suo interno. Nonostante una resistenza accanita e palmo a palmo da parte degli insorti, le truppe del raìs hanno dapprima rotto l’assedio pluriennale delle cittadine di Nubl e di Al-Zahraa, “sbloccando” così quasi cinquemila uomini validi ivi assediati, per poi avanzare sempre più a nord, verso il confine turco, ove si sta ammassando una quantità incalcolabile di profughi. Inoltre, limitrofo alle aree interessate dai combattimenti, si trova il cantone più occidentale del Rojava, il Kurdistan siriano, che ha rivendicato da tempo la propria autonomia e le cui forze armate, le milizie YPG, sono considerate alla stregua di un’organizzazione terroristica dalla Turchia di Erdogan. Nella prospettiva di ampliare il territorio sotto il loro controllo e di avvicinarsi progressivamente al resto del Rojava, nonché in ottica anti-turca, i combattenti curdi, affiancati anche da arabi sunniti moderati, sono prepotentemente scesi in campo al fianco dell’esercito, aggredendo il settore occidentale dello schieramento ribelle. Ciò ha determinato il repentino cedimento di quest’ultimo, che è stato costretto non più solo ad arretrare, ma anche a restringersi progressivamente, come ha testimoniato la perdita della base aerea di Menagh, ora saldamente nelle mani degli YPG.
Tutte le operazioni militari, comprese quelle curde, sono state appoggiate continuativamente dall’aeronautica militare di Mosca, che ha letteralmente smantellato, a suon di bombe e razzi, intere brigate dell’opposizione, nonché coordinate sul campo dal generale iraniano Qasem Soleimani.
Con la città ormai stretta in una morsa e con i cacciabombardieri siriani e russi che martellano tutto il giorno, il destino dei ribelli di Aleppo sembra essere ormai segnato. La caduta definitiva della città determinerebbe anche il collasso di tutto il nord-ovest della Siria, che tornerebbe sotto il controllo del governo, reso più forte nell’area dall’appoggio, almeno militare, del Rojava. Le conseguenze di ciò si ripercuoterebbero, poi, anche sul resto del conflitto, poiché l’Esercito della Conquista, arroccato nel governatorato di Idlib, si ritroverebbe attaccato su due fronti dalle forze governative provenienti dalla costa e, per l’appunto, da Aleppo. Tale prospettiva giustifica, pertanto, le dichiarazioni interventiste dell’Arabia Saudita, finanziatrice della ribellione, che ha affermato di essere decisa ad inviare unità militari in Siria, ufficialmente per “combattere l’Isis”, in realtà per controbilanciare nuovamente un rapporto di forze che, almeno per ora, pende pesantemente a favore del regime di Assad. Il Cremlino ha altresì dichiarato di essere in possesso di prove che dimostrerebbero l’intenzione della Turchia di invadere militarmente il nord della Siria, ma da Erdogan non sono arrivate conferme ufficiali; qualora tali propositi fossero veritieri, il rischio sarebbe elevatissimo, poiché le divisioni di terra turche si ritroverebbero pericolosamente non solo nel raggio d’azione dell’aeronautica di Putin, ma avrebbero anche la concreta possibilità di ingaggiare direttamente in combattimento soldati russi, scatenando così una vera e propria guerra tra i due Paesi.
Da segnalare come, nelle ultime ore, il Segretario di Stato americano John Kerry e il suo omologo russo, Sergej Lavrov, abbiano proclamato di aver concluso un accordo per un cessate il fuoco temporaneo, ma non sono ancora chiare né le tempistiche né le modalità, tanto che alcune formazioni ribelli lo hanno già sconfessato. In ogni caso, pare che dall’interruzione delle ostilità sarebbero esclusi l’Isis e il Fronte Al-Nusra, con quest’ultimo che, tuttavia, opera in stretto contatto con altre milizie, rendendo così improbabile la fine dei bombardamenti russi sulle postazioni di queste ultime.
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