Complici i famosi CinemaDays (se volete saperne di più ecco l’articolo del nostro collega al riguardo #CinemaDays ) sono finalmente riuscito ad andare a vedere Everest, un film che già da tempo avevo intenzione di vedere ma, evidentemente, la motivazione del biglietto a 3 Euro è stata la spinta necessaria a vincere una grande forza alla quale sono sottoposto che non è la gravità ma la mia pigrizia.
Il film, uscito nelle sale italiane il 24 Settembre, ha aperto la 72° Edizione della Mostra Internazionale D’arte Cinematografica di Venezia. Compito non di poco conto se si pensa che, nelle ultime due edizioni, tale ruolo, era spettato a grandi e pluripremiate pellicole come Gravity e Birdman; e forse, anche per questo motivo, è stato accolto non con particolare calore da parte del pubblico della mostra.
Siamo nel 1996 e Rob Hall (Jason Clarke) esperto alpinista neozelandese è al comando della sua compagnia di spedizioni, l’Adventure Consultants, che mira ad arrivare sulla cima dell’Everest. Alla scalata partecipano diversi altri scalatori più o meno esperti che, alla “modica” cifra di 60 mila dollari a testa, si iscrivono alla spedizione. La prima parte del film scorre più lenta e lineare ed assistiamo alla presentazione dei vari personaggi e alla loro messa alla prova. Infatti i mesi che precedono la scalata sono di mera preparazione, soprattutto per abituare il corpo stesso alle altezze proibitive e all’area rarefatta. Arrivati al campo base Rob scopre però che ci sono diverse altre compagnie con numerosi scalatori al seguito col medesimo obiettivo e che intendono raggiungere la vetta il suo stesso giorno, il 10 Maggio. Così Rob, avvertendo il pericolo e la competizione tra spedizioni, chiede all’amico americano Scott Fischer (Jake Gyllenhaal), a capo di un’altra compagnia (la Mountain Madness), di fare squadra insieme mentre gli altri invece si disinteressano dei prudenti avvertimenti. Ma come suggerirà un compagno di Scott, non esiste competizione tra compagnie, la sola e unica competizione possibile è tra l’uomo e la montagna stessa. Dunque arriva il gran giorno e, a causa di alcuni imprevisti e del sovraffollamento, avvengono dei ritardi che si riveleranno essere presto letali a causa dell’arrivo di una terribile bufera.
La pellicola è costata circa 65 milioni di dollari ed è stata girata tra Nepal, Italia e Regno Unito. Le scene di scalata sono state sapientemente ricostruite e le riprese dell’Himalaya e delle pareti della
Ma non è tutto oro quello che luccica. Infatti il film mostra delle pecche ma non tanto sul lato tecnico quanto più su quello umano. Spesso c’è poco spazio all’introspezione dei personaggi e altre volte, forse, allo spettatore non giunge bene la drammaticità degli eventi mostrati sullo schermo. Quello che molti hanno rimproverato a Kormakur è una mancata empatia tra i protagonisti e lo spettatore in sala. Ora, io personalmente non mi sentirei di condannare in pieno una supposta mancanza di pathos, che a me in verità talvolta è anche arrivato ma credo che in generale i personaggi siano stati gestiti male.
Infatti, come avrete intuito, il film vede un foltissimo cast di attori ma spesso sono impiegati male e col contagocce. Ad esempio, Jake Gyllenhaal si rende protagonista solo di alcune fugaci apparizioni così come Sam Worthington che invece non ha un ruolo ben definito e compare in maniera più stabile solo nei minuti finali. La stessa Keira Knightley comparirà sullo schermo solo per pochissimi minuti.
Everest di per sé non vuole essere uno dei tanti film catastrofici ma ambisce a qualcosa di più. Solo che, essendo un film evidentemente drammatico, pecca su quello che sarebbe dovuto essere invece uno dei suoi punti di forza ovvero il lato umano e l’emotività. Peccato per la gestione degli attori e per alcuni cali della scenografia che altrimenti avrebbero reso la pellicola un qualcosa di davvero molto più importante ma senza dubbio resta un bel docufilm.
Alessio Nicolosi