21 Novembre 2024

Per un’eredità misteriosa due ragazzi partono per un viaggio avventuroso. Ecco un’altra puntata della nostra rubrica settimanale “Storie brevi”, una raccolta di piccole storie con vari temi e stili, ma sempre brevi e dirette al lettore. Questa settimana ecco la settima parte del nostro racconto a puntate: la penultima. Buona lettura!

 

Per leggere la puntata precedente cliccate qui.

 

A cura di Simone Bacci

 

Beatrice scavò a piccoli colpi del suo martelletto tutto intorno al piccolo buco, fin quando la polvere iniziò a franare a terra con piccoli sassetti di roccia friabile. Tommaso e Francesco invece si guardavano in attesa che succedesse qualcosa di inaspettato. Una volta allargato il foro, divenne visibile una piccola chiave arrugginita, nascosta dietro le rocce in modo che nessuno potesse arrivarci facilmente.


E questa a che ci serve? Chiese Tommaso.

Il tesoro, risposero all’unisono Beatrice e Francesco.

Quindi c’è davvero un tesoro.

Finita la pioggia i tre si interrogarono a lungo sul ripartire o meno, e quando Beatrice prese una decisione agli altri due non piacque per niente.

Andiamo domattina, ormai è tardi, disse lei.

Se andiamo ora arriveremo in tempo in vetta, prima che cali il sole, rispose Tommaso.


Ma la parete è scivolosa, ribatté Beatrice

Lo sarà anche domattina.

Quindi se io resto qui voi due andate?

Nessuno dei due rispose.

Bea, posso chiedertela una cosa? Le disse Francesco avvicinandosi. Perché non volevi venire qui prima?

In che senso? Rispose lei.

Allora facciamo un passo indietro, continuò Francesco, tu com’è che hai perso il sentiero il primo giorno?

Non ho perso il sentiero, cercavo proprio questa strada.

Ma tu hai detto più volte che non conoscevi questo percorso.

Perché non l’avevo mai fatto.

E non ti nemmeno eri informata?

Beatrice non rispose.

Capisci che c’è qualcosa che non torna.

Tommaso e Francesco si guardarono negli occhi, mentre Beatrice fissò l’apertura della piccola grotta, dietro ai due, per lei sarebbe stato impossibile uscire senza affrontarli.

Ora, continuò Francesco, a me non interessa il perché tu sei qui, ci interessa arrivare in vetta il prima possibile e se hai qualcosa da dirci.

Beatrice strinse in mano il proprio martelletto.

Che vuoi fare Frà? Gli chiese lei.

Non so, dimmelo tu, sei tu che mi hai insegnato a controllare la paura.

Io non so niente più di voi.

E allora cosa sai? Chiese Tommaso facendo un passo avanti verso di lei.

Il tesoro, lo voglio.

E cosa sai del tesoro?

Mi ha mandato Padre Gabriele, è rimasto incuriosito dal contenuto di quella lettera e vuole che vi segua per scoprire se c’è davvero un tesoro o meno. Non ho intenzione di derubarvi, voglio solo scoprire se c’è un tesoro e cosa contiene.

Te l’avevo detto che non dovevamo fidarci di quel frate, disse Tommaso.

Ma com’è possibile? Disse Francesco tra sé.

Che facciamo ora con lei? Chiese Tommaso.

Beh, un’idea ve la do io… rispose Beatrice, che prese il martelletto e si scaraventò con tutta la forza che aveva contro Tommaso. Lo colpì forte in testa fino a farlo cadere a terra senza vita in un fiume di sangue.

Poi si alzò, si voltò verso Francesco, che se ne stava a terra incredulo, paralizzato dal terrore e si rivolse a lui.

Scegli quale fine preferisci, combattere con me oppure gettarti giù dal Montagnone.

Francesco era sotto shock, si sentiva debole e confuso e non riusciva a reagire.

Vedo che il veleno che ti ho messo prima nell’acqua sta facendo effetto, disse Beatrice ridendo.

Francesco si alzò verso Beatrice cercando di colpirla a vuoto.

Bravo, hai scelto bene: bisogna sempre combattere, disse lei scansando i suoi colpi.

Dimmi solo una cosa, disse Francesco con la vista ormai annebbiata. Perché hai fatto tutto questo?

Non l’hai capito? Perché voglio il tesoro tutto per me, tu non sei degno nemmeno di una briciola.

Tieniti il tesoro, prendi tutto ma ti prego, salva la vita del mio amico, disse Francesco accasciandosi a terra.

No, è troppo tardi, posso salvare soltanto uno dei due, disse lei guardando l’apertura della grotta. A te la scelta.

Allora salva lui.

Dette queste parole Francesco si alzò e corse verso l’ingresso, quando il terreno scomparve da sotto i suoi piedi si sentì dentro una sensazione di vuoto mai provata prima. Non era il vuoto tipico della tristezza o della paura, era un vuoto piacevole, dolce, come di un bambino che sa che a breve avrà il suo gelato. È il vuoto di chi sta per sentirsi meglio. La caduta sembrò durare una vita, e quando finalmente il terreno si avvicinò, di colpo divenne tutto completamente buio.

 

Svegliati France, dobbiamo andare, disse Tommaso muovendogli la spalla.

Francesco si tirò in piedi emettendo un urlo goffo.

Che succede?

Succede che ti sei addormentato mentre facevamo merenda, rispose Tommaso. Su, sistemati che ora partiamo per l’ultimo tratto, è uscito fuori anche il sole.

Francesco si guardò attorno in cerca di Beatrice.

Dov’è Bea?

È fuori a capire la situazione, rispose Tommaso.

E quindi era stato soltanto un brutto sogno?

Francesco faceva spesso dei sogni ricorrenti, ma quelli che gli rimanevano più impressi avevano un significato particolare per lui. La sensazione che più lo pervadeva in quel momento era quella di essere stato tradito. Aveva condiviso con Beatrice le sue cose più care: la storia del nonno, il rapporto con Tommaso, l’amore per Sara, le proprie paure, non voleva di certo essere fregato da una ragazza che non conosceva che da pochi giorni. Ma c’era dell’altro, perché se da una parte era vero il tradimento di lei, forse era del tradimento di Maria che aveva più paura. Temeva che in fondo quel tesoro non esistesse, che non esistesse Maria, che la storia del nonno fosse tutta un gran fraintendimento. Ma quello non poteva saperlo nessuno, i segni lungo il percorso erano chiari. Solo che certe volte la paura di rimanere delusi ci trascina verso forme di auto-sabotaggio. Di Beatrice poteva fidarsi, di Tommaso e di suo nonno pure. Ormai la cima era vicina e al netto del parere del proprio subconscio non rimaneva che affrontare l’ultimo tratto verso il tesoro promesso.

I tre ripartirono in fretta per l’ultimo tratto di arrampicata verso la cima, Francesco prese la chiave con sé e la mise nella tasca interna vicina al cuore, insieme alla mappa piegata, alla lettera, e alla foto che aveva avviato quell’avventura misteriosa. Ormai il cibo rimasto era poco, le sigarette erano finite, e in quei pochi giorni di sforzo, anche se non se n’era accorto, Francesco aveva imparato a durare fatica per raggiungere un obiettivo, a costo di sacrificare le cose più materiali e accessorie, cose di cui pian piano si accorse di non avere così tanto bisogno. Almeno non con la frequenza con cui le consumava nella sua vita di città. Fu così che Francesco in qualche giorno realizzò il valore dell’essenzialità e del sacrificio, e mentre ad ogni suo passo balzo sulla parete rocciosa diminuiva la fame di cose superflue, aumentava una fame molto più grande. Era quella che lo rendeva spesso curioso e pieno di impegni, quella che ultimamente aveva messo da parte, era una fame simile al vuoto che si prova quando si ama senza essere ricambiati, la fame di chi vorrebbe vivere sempre più a pieno ogni momento, una fame ascetica, limpida, libera.

È il vuoto che tutti abbiamo dentro, diceva sempre il prete che lo aveva incantato da piccolo, poi continuava: un mondo che non indaga questa fame, questo vuoto, è un mondo arido, che ha perso la voglia di vivere.

Era grande amico del nonno don Pietro, sosteneva che questa fame potesse riassumersi in poche parole: il senso religioso dell’uomo. Don Pietro sosteneva che ognuno di noi deve coltivare il proprio senso religioso per vivere la propria vita nel modo migliore.

Poi un giorno don Pietro era morto di cancro ai polmoni, e dal suo funerale Francesco aveva lasciato da parte la fede. Per questo non si era più interrogato su queste parole, che don Pietro ripeteva ad ogni omelia.

Si può riempire quel vuoto anche con oggetti, piaceri di vario tipo e tutti i soldi del mondo, ma quando sei in una situazione come quella che i tre stavano vivendo è impossibile non rendersi conto che in fin dei conti si è sempre degli uomini o delle donne, esseri imperfetti che bramano una sete più forte di loro. Di fronte a questa sensazione è impossibile non domandarsi il perché di molte cose, tra cui la domanda delle domande: chi siamo? Perché esistiamo? Cosa cerchiamo?

Di fronte a queste domande don Pietro rispondeva con una frase che Francesco a quell’età non capiva, ma che incontrò di nuovo alle superiori durante una lezione di filosofia: “Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.

Francesco non aveva mai più pensato a quelle parole che tanto la avevano incuriosito, ma nel silenzio delle sue riflessioni per scacciare la stanchezza mentale si rese conto di avere il volto pieno di lacrime. Non erano lacrime di stanchezza o di infelicità, ma erano lacrime emotive, di gioia, come quelle di quando si riscopre la passione per la vita. E sentiva l’odore della pioggia appena passata, sentiva le mani fredde e bagnate, il peso dello zaino sulla sua schiena, il rumore dei moschettoni che scorrevano sulla corda di ferro. Avrebbe voluto voltarsi a guardare dietro di sé il panorama ma non poteva perdere l’equilibrio in quella posizione, però una cosa che perse decisamente fu tutto il suo pessimismo, finalmente aveva riscoperto la propria inquietudine: quella brama di vivere che aveva perso tempo prima sempre a contatto con la morte.

Continuarono la scalata fino alla fine, compiendo gli ultimi metri con il sole ormai basso e il cielo rosso fuoco che spariva lontano dietro di loro, quando Beatrice poggiò per prima le mani sull’ultimo tratto di arrampicata, vide davanti a sé un sentiero stretto di rocce che portava dritto alla cima del monte, e un cartello di ferro con una freccia a sinistra e una scritta incise nel ferro: “Cima del Montagnone”.   Francesco lasciò lo zaino a terra, si sdraiò con il volto rivolto verso l’alto e si mise a ridere con tutta la forza che aveva, Tommaso si gettò su di lui ad abbracciarlo pieno di soddisfazione, e anche Beatrice prendendo una piccola rincorsa si lasciò cadere sopra i due con lo zaino ancora sulle spalle. La loro scalata era ormai finita, ma i loro passi sarebbero continuati la mattina successiva verso la vetta: presto, di buon ora, secondo i ritmi naturali che ormai avevano imparato a rispettare. La cima del Montagnone era davanti a loro sgombra dalle nubi.

 

Per leggere l’ottava e ultima puntata cliccate qui.

La rubrica Storie brevi è a cura di Simone Bacci, per leggere i suoi libri cliccate qui

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