Per un’eredità misteriosa due ragazzi partono per un viaggio avventuroso. Ecco un’altra puntata della nostra rubrica settimanale “Storie brevi”, una raccolta di piccole storie con vari temi e stili, ma sempre brevi e dirette al lettore. Questa settimana ecco la seconda parte del nostro racconto a puntate. Buona lettura!
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A cura di Simone Bacci
I due arrivarono nel paesino di Pendice verso l’ora di pranzo, durante il viaggio Francesco aveva raccontato a Tommaso la storia che lo aveva spinto a partire, e Tommaso non l’aveva presa benissimo: gli sembrava più una follia che un viaggio di piacere, ma ormai erano lì, e volevano entrambi saperne di più. Il piccolo paesino di Pendice era a 900 metri di altezza, le costruzioni erano tutte in pietra, le strade passavano strette tra le case, i tetti erano a punta in su e ogni pochi metri c’era una fontana d’acqua fresca. Non c’era molta gente per le strade pur essendo agosto, ma il sole batteva alto e i pochi passanti si riparavano all’ombra. I due trovarono subito un piccolo parco deserto, e si fermarono a mangiare i panini comprati in autogrill.
Scusi signora dov’è la strada per il Santuario? Chiesero a un’anziana che entrando nel parco si sedette su una panchina accanto alla loro.
Andate a Montagnone? Chiese l’anziana. Di solito i giovani non vanno a Montagnone, cosa cercate voi?
Un po’ di pace, rispose Tommaso.
Scusi – lo interruppe Francesco – lei conosce Padre Felice?
No, non sono una donna di fede.
Nemmeno noi – disse Tommaso – o meglio io non più.
Se volete andare a Montagnone seguite la strada dietro il ristorante “Il Pellegrino”, due ore circa e siete arrivati.
Com’è la strada? Chiese Tommaso.
Tranquilla.
Signora, lei vede spesso i pellegrini? Le chiese Francesco.
Li vedo tutti.
E per caso ha conosciuto una certa Maria? È una donna anziana.
Può darsi, ma non ricordo, almeno non di recente.
La ringraziarono e si incamminarono verso il ristorante: più andavano avanti più le case sparivano, lasciando posto al sterminato. Gli alberi alti coprivano tutto quello che c’era oltre, ma arrivati di fronte al ristorante videro sullo sfondo quello che non si aspettavano: la cima di un grande monte coperta dalle nubi.
Se è vero che loro si trovavano a circa 900 metri di altezza, e il Santuario era a 1.200, quanto poteva essere alto il monte?
Quello è il Montagnone, disse il ristoratore ai due. Si fermarono a bere un caffè, e rimasero sorpresi di vedere il ristorante vuoto.
È alto 2.700 e qualcosa, ma dicono che sia uno dei monti più difficili da scalare. Ce l’avete l’attrezzatura da ferrata? Chiese il ristoratore.
I due non avevano nessuna intenzione di provare una tecnica di scalata in cui erano totalmente inesperti. Con la montagna non si scherza gli diceva sempre suo padre, è un posto che va conosciuto, su cui bisogna impratichirsi prima di osare. Con i sentieri sarebbero potuti arrivare dovunque, ma a Montagnone per arrivare in vetta non c’erano sentieri. Con i sentieri i due potevano arrivare fino al rifugio più alto, a 2.200 metri. Sarebbe stato già più che sufficiente per un’avventura di qualche giorno.
Entrarono nel sentiero che li avrebbe portati fino al Santuario, il sole era ancora alto, l’ombra poca, ma i due erano ben allenati a camminare, e a guidarli fu il silenzio a cui andarono incontro staccandosi dal paesino di Pendice.
Durante il tragitto Tommaso chiese a Francesco perché non aveva detto niente a Sara di quella storia.
Sara era una bella ragazza, buona, intelligente e sempre felice, Francesco l’aveva conquistata dopo un lungo e rispettoso corteggiamento di più di un anno, durante il quale non pensò ad altro che a lei. L’amava al punto di esser sicuro di volerla sposare, eppure, in quel periodo la loro quotidianità gli stava stretta. Francesco non aveva motivi per lasciarla, aveva solo un generico sentimento di apatia che investendo tutti i lati della sua vita lo spingeva a dubitare pure di lei, ma a tratti. Era stato molto tempo da solo, e non aveva mai avuto paura della solitudine, al contrario con il tempo ci si era abituato. Per questo dubitava di lei a tratti: perché l’idea di non poter restare da solo quando voleva lo metteva a disagio. Pensare a due, fare le cose in due, dividere il letto per due corpi, essere giudicato da due menti. Queste erano le sue scuse, perché Sara in realtà lo ascoltava e sapeva capirlo, forse però lo spaventava quel lato quotidiano dell’amore, un lato che fino a prima era per lui un perfetto sconosciuto, ma che d’ora in poi avrebbe dovuto imparare ad accettare “finché morte non vi separi”. Non voleva lasciarla, aveva bisogno di tempo per abituarsi. Era questa la sua idea del perché non avesse avvisato Sara di quella storia.
Passarono poche ore attraversando un dislivello minimo, e prima di cena arrivarono a un grande prato da cui si vedeva il Montagnone fiero tra le altre vette, con metà versante già oscurato dalla penombra. A metà del prato, circondato da mura di pietra scura e palizzate di legno c’era il Santuario di Montagnone in tutto il suo silenzio, violato soltanto dal rintocco del suo campanile, di quelli vecchi e sciupati, ancora a mano.
Salirono fino al portone, ma lo trovarono chiuso, appesa alla cime c’era una piccola targhetta:
“Una notte in contemplazione passerai pellegrino,
Per sentire il Signore a te più vicino:
Il freddo non teme
Chi di sete d’infinito freme.”
Che facciamo ci accampiamo fuori? Disse Tommaso, poi continuò. Non l’hai letta la targhetta?
Proviamo a bussare, rispose Francesco.
Francesco si avvicinò al portone e bussò forte e deciso.
Non rispose nessuno.
Continuiamo, disse Francesco continuando a bussare.
Francesco lasciò lo zaino a terra e cominciò a battere sulla porta così forte da diventare rosso, batteva e urlava per farsi sentire, Tommaso, dapprima scettico, lasciò perdere la targhetta e seguì Francesco nella sua melodia compulsiva.
Dopo qualche momento di frenesia i due sentirono un clic, e la porta del Santuario si aprì.
Guarda la targhetta, disse Tommaso.
Sulla targhetta adesso c’era scritto: “SILENZIO”.
Probabilmente l’abbiamo letta male prima, rispose Francesco.
Quattro versi non si confondono con una sola parola.
Francesco scrollò le spalle.
I due spinsero avanti il portone ed entrarono a piccoli passi nel cortile antistante la chiesa principale, intorno al cortile c’era un loggiato con quelli che sembravano dei piccoli appartamenti per i frati. Si guardarono attorno con sospetto, ma si diressero decisi fin dentro la chiesa: le panche erano fatte di legno antico, i muri affrescati con una predominanza del colore blu e in fondo alla chiesa, proprio dietro l’altare, c’era un crocefisso stilizzato appeso al muro. Ai suoi piedi stava un quadro della Madonna circondato da una corona di fiori e incassato in una piccola edicola, mentre il pavimento era fatto di pietre ruvide e sporche, esattamente come il loggiato d’intorno al cortile. Quel posto aveva tutta l’aria di essere un prolungamento del monte stesso: pietre del monte, legno della foresta e fiori di campo.
Benvenuti fratelli, disse una voce dietro di loro.
I due si voltarono e guardarono il monaco come due ladri.
Ci perdoni padre, non c’era nessuno e siamo entrati.
Se il Signore vi ha portati fin qui deve esserci una ragione, non abbiate timore, la sua casa è di tutti. Rispose il frate.
Che sia stato il Signore a portare i due laggiù era un’affermazione contestabile, ma che ci fosse una ragione dietro al loro incontro era addirittura impossibile da stabilire.
Chi state cercando? Chiese il frate.
Nessuno, riposero i due.
A giudicare dalla vostra reazione alle mie prime parole voi non siete dei pellegrini, forse non credete nemmeno in Dio, però qualcosa vi ha portati qui. Avete zaini troppo piccoli per scalare il monte, dunque le opzioni sono due: siete qui di passaggio e state andando verso il rifugio, oppure state cercando qualcuno. Il frate si fermò a guardarli compiaciuto e poi riprese a parlare.
Ora, dando per probabili queste due opzioni, anni di confessioni mi hanno insegnato che di solito le persone tendono a fingere quando sono messe in contesti che non amano, e dunque tra la rosa delle opzioni più probabili quella giusta è la più distante da ciò che appare. Per questo vi ho chiesto chi state cercando, e dalla vostra reazione mi sembra palese che la mia domanda fosse quella giusta. No?
I due si guardarono negli occhi spiazzati.
Effettivamente siamo alla ricerca di Padre Felice, disse Francesco quando un tuono ruppe il silenzio del Santuario.
A breve comincerà a piovere, seguitemi, disse il frate.
In poco tempo il cielo sereno d’estate fu spazzato via dal vento e si tinse di nero. Scese improvvisa la notte e con lei fulmini e lampi, poi tutta insieme una pungente pioggia di montagna.
Cosa vi porta sulle orme di Padre Felice? Chiese il frate, invitando i due a sedersi su una panchina del chiostro interno e presentandosi loro come Padre Gabriele.
Una fotografia, rispose Francesco, poi frugò nello zaino, prese la foto e la porse al frate.
Ho trovato questa foto tra i ricordi di mio nonno, era insieme ad altre, ma purtroppo erano cancellate.
Quindi tuo nonno e questa Maria conoscevano Padre Felice?
Francesco fece cenno di sì con la testa.
Temo che Padre Felice non possa risponderti, perché il Signore lo ha chiamato a sé quasi un anno fa.
A questa notizia Francesco fu investito da un forte senso di impotenza.
Padre, si ricorda se una signora di nome Maria è mai venuta a trovarlo? Chiese Tommaso.
Di persone Padre Felice ne vedeva tante, era un riferimento per molti pellegrini che ogni tanto venivano a trovarlo, ma non saprei dirti con certezza nomi o cognomi.
A quel punto Francesco ebbe come l’impressione che Padre Gabriele stesse nascondendo qualcosa. Una persona così attenta ai dettagli non poteva essersi dimenticata una pellegrina abituale.
Anche mio nonno ci ha lasciati, disse Francesco, se n’è andato via due settimane fa. Per questo sono qui: per capire chi era Maria e per capire chi era mio nonno.
No, figliolo, tu stai cercando molto più di quello che pensi, rispose Padre Gabriele, che guardò la foto attentamente e poi riprese a parlare.
Tu sei Francesco?
Sì, come fa a sapere il mio nome?
Padre felice qualche giorno prima di morire mi ha detto che sarebbe venuto qualcuno a chiedermi di una scatola, me l’ha lasciata in custodia e mi ha detto di darla soltanto a un certo Francesco che mi avrebbe parlato della morte del nonno e di una sua amica.
Francesco e Tommaso si guardarono stupiti.
E l’amica è Maria?
Di Maria non so niente, rispose Padre Gabriele, però se volete vi darò la scatola.
La pioggia ticchettava sul tetto rompendo quell’imbarazzante silenzio tra i tre, quando si affievolì Padre Gabriele si alzò e sparì dietro una porta in legno.
Padre Felice e suo nonno si conoscevano: dunque quella foto e quelle lettere erano vere, e sempre seguendo questa logica suo nonno doveva essere stato diverse volte al Santuario di Montagnone. Francesco si alzò e si avvicinò alla piccola finestra per guardare fuori.
È tutto nero, come facciamo a dormire fuori? Chiese Francesco a Tommaso.
Se volete potete dormire qui, rispose Padre Gabriele tornando con una scatola di legno in mano.
Non si preoccupi, rispose Tommaso, la situazione è migliorata, ci accamperemo fuori in tenda.
Padre Gabriele porse la scatola ai due che si fermarono a guardarlo.
Questo è tutto, potete tenerla voi – disse Padre Gabriele – siete sicuri di voler dormire fuori?
Certo, non vogliamo disturbare, grazie dell’accoglienza, rispose Tommaso.
Non insisto: se proseguite sul sentiero troverete una leggera deviazione a destra, seguitela per qualche centinaio di metri e arriverete ad uno spiazzo per piantare la tenda, poi continuando su quella strada arriverete al rifugio. Però mi raccomando: state attenti ai fulmini, io nel frattempo pregherò per voi e per il vostro cammino.
I due salutato il padre si misero l’impermeabile, presero le torce e uscirono fuori dal Santuario: faceva freddo ed era ormai buio, ma l’idea di accamparsi vicino al Santuario non piaceva a Tommaso.
Questi posti mi mettono ansia, diceva lui, altro che luoghi di pace, mi ricordano il Nome della Rosa e mi mettono addosso un senso di cupezza.
Invece a Francesco un po’ piaceva la solitudine di quei posti, l’essere immersi nella natura e persino quell’alone da lugubre genio di Padre Gabriele. Vivere in posti del genere non è alla portata di tutti, bisogna essere persone particolari, con una grande fede e un senso di apertura mistica verso il creato.
In poche parole: persone semplici fuori ma complesse dentro, un po’ come un serial killer o un cinico manipolatore: è sempre sottile il confine tra una personalità brillante e un pazzo pluriomicida, entrambe sono anime complesse.
Tuttavia Tommaso, che non vedeva la situazione di buon occhio, era persuaso di non seguire il consiglio di Padre Gabriele.
Me lo dice un sesto senso, ripeteva.
Fatto sta che quella sera il sesto senso di Tommaso ebbe la peggio e i due seguirono la deviazione a destra senza cartelli.
Piantata la tenda nello spiazzo indicato da Padre Gabriele, cenarono sfruttando il poco di luce rimasta, e una volta tramontato del tutto il sole, accesero un piccolo fuoco per ristorarsi e illuminare la scatola di Padre Felice.
La scatola era d’un legno simile a quella del nonno, ma era un pochino più grossa, anche se altrettanto leggera. Francesco la aprì, e al suo interno c’erano due fogli sigillati in un nastro di nylon. Il primo sembrava una lettera, la seconda una mappa.
La mappa era una cartografia topografica del Montagnone. Erano ben visibili alcuni punti segnati in rosso e le varie curve di livello. Tra i punti segnati c’erano il Santuario, la cima del Montagnone e un altro punto, forse in quello che sembrava l’ultimo boschetto prima della vetta.
Che sia la mappa del tesoro di cui parla Maria nella foto? Chiese Tommaso.
Non lo so, ma come facciamo a raggiungere la vetta senza attrezzatura da cordata?
Seguiamo il sentiero, rispose Tommaso.
Ricordati le parole del ristoratore, gli disse Francesco: io cordate non ne faccio.
Vuoi tornare indietro?
Intanto leggiamo la lettera e vediamo se c’è un’altra soluzione.
Francesco prese la lettera dalla scatola, sembrava scritta su di un vecchio quaderno e poi piegata in quattro, la aprì e illuminandola con la torcia la lesse ad alta voce.
“Caro Padre,
Certe volte la vita ci mette di fronte a situazioni che non ci siamo andati a cercare ma che sono successe lo stesso. Si tratta del grande interrogativo dell’esistenza: perché proprio a me? Perché prima o poi tutti ci passiamo. Allora arriva una seconda domanda a percuoterci la coscienza: e se avessi agito in un altro modo?
Da chi dipende quello che ci succede e chi sia veramente a scegliere – me l’ha insegnato lei, Padre – non si può sapere. Ma un’altra cosa che mi ha insegnato lei quando l’ho incontrata a metà della mia esistenza è stata che sperimentarci è la chiave per conoscerci, e conoscendoci si può scegliere in modo migliore per noi stessi e per gli altri.
Mi chiedo tutt’oggi cosa mi abbia portato da lei quell’estate, e solo dopo ho capito il significato di “sperimentarsi”. L’avventura è davvero il sale della vita, il coraggio è l’olio per condirlo, e il pane buono possiamo essere davvero noi.
Caro Padre la ringrazio, perché senza di lei non avrei mai conosciuto la mia Maria, e senza di lei non avrei mai avuto accesso al nostro tesoro.
La prego di aver cura di questa mappa, so che Maria avrà cura di consegnargliela, se dovesse succedermi qualcosa la dia a chi verrà per sapere di più su questa storia. Io che in vita non ho mai avuto il coraggio di dire la verità spero che almeno in morte possa chiarirmi con i miei cari. Maria mi aiuterà, spero che anche lei collabori, qualora un viandante venga a bussare alla sua porta con brutte notizie a mio riguardo.
Lo sa Padre, abbiamo discusso tanto del potere e delle ambizioni umane, e forse il tesoro che abbiamo messo da parte potrà aiutare la mia famiglia a capire dove sta l’essenziale.
Spero almeno che possano perdonarmi per le bugie, anche quelle avevano uno scopo.
La prego di lasciare loro questa lettera con queste raccomandazioni per il tesoro alla mia famiglia: dove sta la croce sulla mappa c’è una roccia che punta a sud verso il vuoto, fatti tre passi indietro verso la punta del monte, e dodici ben larghi a sinistra si vedrà qualche sasso, e più avanti ci sarà un piccolo spiazzo di Stelle Alpine. Scavate in mezzo allo spiazzo, stando attenti a non guardare sotto di voi. Là sta il nostro tesoro, è per voi: per mettervi a conoscenza della verità e guidarvi più consapevolmente a ciò che verrà. In quel tesoro sta il mistero dell’esistenza. L’ho trovato grazie a Maria e a lei, Padre.
Caro Padre, le chiedo ancora una volta di pregare per me: per i miei ultimi anni, per la mia famiglia e per la nostra amata Maria.
Con lo sguardo di un bambino che prova nostalgia di un padre lontano la saluto e la stringo forte.”
Francesco pianse lacrime amare, perché già alla seconda riga riconobbe ben chiara la calligrafia del nonno, nella sua vita lo aveva sempre conosciuto come un uomo pratico e sicuro di sé, come un gran lavoratore, un padre di famiglia, ma non lo immaginava capace di scrivere pensieri di una tale profondità. Non lo pensava nemmeno capace di tradire sua moglie, di nascondere per così tanto tempo una specie di vita parallela in un Santuario sperso tra i monti. Però quelle parole erano sue, il tono tenero era il suo, e leggere quelle parole gli fecero realizzare come mai prima d’ora che il nonno se n’era andato via per sempre.
Tommaso si avvicinò a lui e lo abbracciò come si abbraccia un amico a cui si vuole bene, ma in quel momento Francesco non avrebbe voluto altro che essere lasciato in pace con il suo dolore, tastandolo fino in fondo, fino a soffocarcisi.
Andiamo a letto, disse Tommaso, domani rifletteremo sul da farsi e valuteremo se continuare il sentiero oppure no.
Tommaso era sicuro di voler tornare indietro: le parole del Padre non l’avevano convinto e lo accompagnava una brutta sensazione. Ma in quel momento un forte boato interruppe i loro pensieri, e la pioggia ricominciò a cadere forte e improvvisa. Raccolti i fogli e la scatola di legno si infilarono in tenda e si chiusero bene, mentre fuori i lampi illuminavano le pareti della tenda come fosse giorno. Anche Francesco sprofondò nella tristezza più buia, in un vuoto cosmico senza confine, ma la pioggia cullò i suoi pensieri, e pian piano li lasciò scorrere tutti via, finché l’ultimo rintocco lontano della campana del Santuario non si esaurì assorbito dalla pioggia, e fu notte per tutti e due.
Fu così che Francesco imparò a sentire il proprio dolore fino in fondo.