L’attesa è stata appagata: il mercato borsistico ha accolto favorevolmente la rinuncia da parte di Larry Summers al ruolo di guida della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, e il risultato elettorale bavarese che rafforza la posizione politica di Angela Merkel.
Gli indici parlano chiaramente: Francoforte più 1,22%, Milano più 1,05%, Wall Street più 0,57%.
Un’analisi pur minimale del primo fattore d’influenza sui rendimenti borsistici spiega l’attenzione che i mercati finanziari riservano alle prossime mosse della Fed e all’impronta della futura nuova governance economica. L’opzione Summers avrebbe rappresentato una rottura importante con le politiche espansive che hanno inondato di liquidità i mercati americani e, conseguentemente, quelli di mezzo mondo (con la buona compagnia di Regno Unito e Giappone).
Ma cosa tradisce questa espressione di fiducia nei confronti di un’ impostazione più gradualistica nella riduzione dell’intervento della Fed nell’economia Usa e, segnatamente, nel mercato dei titoli di Stato? Nulla di buono, a parere di chi scrive.
E’ opinione sempre più diffusa quella che vede, nell’enorme flusso di denaro riversato nel mercato finanziario (e non nell’economia reale) da parte delle banche centrali Usa, UK e giapponese, un possibile sviluppo della crisi innescata nel 2007: si tratta di una fase in cui si paleserebbe che le politiche espansive siano state l’alimentazione artificiale attraverso cui sacche di speculazione e di bolle finanziarie abbiano trovato nutrimento e sostegno. L’opinione autorevole dell’economista Paul Krugman a riguardo non usa mezzi termini: siamo in presenza di un avvitamento della crisi su se stessa, un andamento che potrebbe portarci ad una “crisi dagli esiti disastrosi mai visti prima”.
A conclusioni non molto distanti si potrebbe giungere prendendo in considerazione la fiducia che i mercati tributano alla Cancelliera tedesca Merkel, rafforzata dal voto bavarese di pochi giorni fa e che, più che probabilmente, tra meno di una settimana, tornerà a guidare la “locomotiva d’Europa”. Tra un segno “più” e l’altro, bisognerebbe ricordarsi delle certe conseguenze politico-economico di un simile scenario: un rafforzamento dell’influenza tedesca nelle decisione europee ed un logico perpetrarsi delle politiche di rigore e austerity che, ancora una volta, lo stesso Krugman ha più volte contestato, disvelando l’egoismo “crucco” celato dietro le vessazioni nei confronti dei cosiddetti “PIGS”. C’è comunque da tener presente che la recessione l’anno prossimo colpirà anche la Germania, quindi appare verosimile un inasprimento del conflitto interstatuale per l’egemonia sulle prossime strategie europee nella gestione della crisi.
In tutto questo, la domanda che più sorge spontanea è: c’è davvero qualcosa da festeggiare?
Francesco Valerio della Croce
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