A Villa Rinchiostra a Massa sono iniziati gli incontri di Primavera e non poteva esserci concerto d’apertura di quello offerto dal duo pianistico Alberto Pedri-Federico Gerini di domenica 17 aprile. Il concerto, organizzato dalla Scuola Comunale di Musica e dall’Associazione Musicale Massese, ha richiamato un foltissimo pubblico che ha gremito la sala grande della villa, chiaro indice delle alte aspettative che non sono state affatto disattese. Anzi, la performance del duo pianistico le ha, se possibile, addirittura superate.
La prima parte del concerto prevedeva l’esecuzione di una composizione di Samuel Barber, per fortuna non l’onnipresente Adagio, ma la curiosa Ballet Suite “Souvenirs” op.28. È una composizione nata come una raccolta di duetti a quattro mani che Barber suonava con un amico (da cui il titolo “souvernirs”): Suite mutevole, ora ironica (i movimenti Waltz e Hesitation Tango), ora esuberante e libera (Schottische e Two-step), ora – nel Pas de deux – addirittura nostalgica e umbratile come un Souvenir d’enfance di Mussorgsky, di non facile esecuzione, è stata mirabilmente interpretata dal duo che, con camaleontica mìmesis, ha saputo adeguarsi ed interiorizzare lo spirito di questa Suite nelle sue varie declinazioni e ha ricordato al pubblico l’ottimo livello tecnico raggiunto dai due pianisti, sulla cui professionalità non c’è nulla da dire, tanto più alla luce dell’impervio finale, lo strepitoso Galop. Una Suite, insomma, volta non solo a mettere in risalto l’abilità tecnica degli esecutori, ma anche il loro controllo delle sonorità e il gusto musicale dell’interpretazione.
Dopo questo gustoso “antipasto” si è arrivati al piatto forte, la celeberrima Suite Ma Mère l’Oye di Maurice Ravel. Il titolo deriva dalla famosa raccolta di fiabe I racconti di Mamma Oca di Charles Perrault e non è casuale dato che Ravel si è divertito a mettere in musica cinque fiabe. Nonostante l’apparente semplicità dei brani, si tratta di una Suite estremamente difficile non tanto per l’apporto tecnico richiesto quanto per la pulizia nell’esecuzione, la squisitezza del tocco e un gusto finissimo, altrimenti i colori tenui della tavolozza di Ravel si trasformano presto in un’unica tonalità di inconsistente grigio Si può affermare con sicurezza che l’interpretazione del duo Pedri-Gerini ha colto pienamente lo spirito di Ma Mère l’Oye e l’ha consegnato intatto al proprio pubblico, raccontando queste fiabe con la stessa delicatezza di un acquerello, a cominciare dalle venti battute oniriche della Pavane de la Belle au bois dormant (“Pavane della Bella Addormentata nel bosco”). In questo brano, prezioso come una miniatura, i due esecutori hanno disegnato un mondo sconosciuto in cui vige la regola del tempo sospeso, di riflessi di forme cristallizzate, in cui si muove una melodia con un’agilità priva di peso, una polifonia di puri concetti. C’è anche un’altra melodia, più vicina alla dimensione umana: forse è il sonno della principessa, possiamo indovinare il suo respiro impercettibile.
Alla Bella Addormentata segue Petit Poucet (“Pollicino”), smarrito nel bosco, e il suo errare è descritto da scale in terze che, con il loro ciclico ripetersi, sembrano propagarsi all’infinito e lo spazio in cui si muovono si apre come un ventaglio e ad ogni battuta il ritmo cambia: 2/4 – 3/4 – 4/4 – 5/4. Molto bravi i due pianisti in questo brano ad accentuare la distanza prospettica tra il disegno in terze e la melodia, così da accentuare il sentimento di solitudine. Gerini continua il disegno in terze, mentre Pedri si diverte ad riprodurre il canto degli uccelli con semplici acciaccature.
Allo stesso modo, grazie all’intelligenza dei due pianisti, è impossibile non rintracciare il fil rouge che lega il mondo dormiente e cristallizzato della Pavane con quello dell’ultimo, straordinario, quadro: Le Jardin Féerique è senza dubbio lo stesso giardino della Bella Addormentata, descritto nel momento in cui si ridesta dal secolare sonno e torna a vivere e respirare. L’esecuzione di quest’ultimo quadro è stata particolarmente emozionante, soprattutto nel momento della climax in cui Gerini evocava il rintocco di campane (i do e sol della penultima riga) ed anche l’ultimo incantesimo del nostro incantatore si infrange con il maestoso finale, ornato dagli sfavillanti glissandi nel registro acuto.
Luca Fialdini
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