“Mi senti?”- domandò.
Ma l’eco del nulla suonò nel vuoto e fù, questa, la più brutal risposta mai ricevuta prima. Perché il silenzio non chiede, replica duramente. Quando non hai niente da perdere, non puoi avere che il niente che perdi e nemmeno quelle lacrime, che racchiudono un niente ancor più insulso, valgono la pena d’esser versate.
Quando muori non puoi che morire e nemmeno quell’ultimo soffio di vita vale la pena d’esser spirato. Ma è l’eco del nulla che suona nel vuoto a fare ancor più male.
La sordità dell’emozioni nel suo continuo, vizioso, ripetersi malamente.
La cecità dell’anima.
L’assenza d’amore. E l’assurda incapacità di percepirlo, di riconoscerlo e quindi sentirlo. Terribilmente egoistico. Egocentricamente insensibile e, freddo, il gelo da cui fugge il caldo tepore. Il tiepido angusto angolino che viene spazzato via dalla brina invernale d’una sofferenza inaudita che ha l’inverno nelle sue più grandi esplosioni.
Quando non hai niente da perdere, non hai che niente e non puoi aver che il niente che perdi e quel niente pesa sempre troppo. Quella nullità che ti ritrovi tra le mani è cemento. Quell’angoscia è un macigno che tira e pesa e strattonandoti, ti conduce sempre più giù, sempre più, ed ancor più giù, nel più nero degli abissi più abissali possano esistere.
E’ quel fondo da cui non si risale. Quel cancro da cui non si guarisce. Il cancro della mente. Quel veleno per cui si perisce. E’ l’atroce sofferenza dell’animo umano che spacca pietre, che spezza lame, che rompe vetri da usare contro se stessa, per maciullarsi sola, in un atto di masochistico delirio che riduce in brandelli il cuore. E’ una strada a senso unico senza uscite d’emergenza, senza vie di fuga. Senza ancore di salvezza di quel mare aperto, sempre in tempesta. E’ la fine dell’inizio della fine, perché la vera fine deve ancora incominciare ed il dolore…il dolore deve ancor più arrivare.
E’ il circolo vizioso. Il disco rigato ed il cd incantato. La vena tagliata ed il polso reciso, come un frutto agli albori della vita. Sono le gocce di sangue sul pavimento e l’acqua che ti scorre dentro. Sono capelli che cadono ed il tormento. Il profumo che conosci da sempre e quegli attimi che conosci da sempre. Sono ricordi che bruciano da sempre, più di qualsiasi altra fiamma ed il foglio, una volta bianco, ed ora sporco. Sono campi di zizzania e nastri neri. Agrodolce odore della carne in putrefazione. Case che cadono e momenti che sfuggono.
Fotografie strappate e ricordi nostalgici d’una lontana, seppur esistita, felicità. Sono quelle domande che non trovano risposta, quei “Mi senti?” buttati giù da un dirupo e lì lasciati morire nell’oscurità dei sensi in una notte di desideri sprecati. Quel buio senza luce e quel tunnel senza luce. E’ tutto senza luce. E cos’è la luce? Cosa significa luce e cosa comporta essere illuminati? Come ci si sente ma, soprattutto, cosa si senta ad essere baciati d’allegrezza d’un arancion vivace?
”Mi senti?”- domandò
”Io non sento niente”- si rispose
La morte della ragion di vita per cui il sole splenda sempre, nel carattere di campi gioiosi che avevano le nostre giornate prima della guerra. E’ questa la depressione.
Elisa Benevelli