23 Novembre 2024

Il 5 gennaio 2021 è stata resa nota la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) per la realizzazione del Deposito Nazionale per la sistemazione definitiva e sicura dei rifiuti radioattivi. Questa notizia ha suscitato un’ondata di polemiche da parte dell’opinione pubblica e dei vari presidenti di regione, che non si sono fatti scappare l’occasione per attaccare il governo. Sui social e sui giornali c’è molta confusione su questo delicato tema. In qualità di geologo, avendo un particolare interesse per l’argomento, cercherò di esporre quanto ne sappiamo al momento.

Cosa si intende per rifiuti radioattivi?

Una delle critiche più frequenti mossa sui social è “se noi non abbiamo più centrali nucleari attive, perchè dobbiamo costruire un Deposito Nazionale per stoccare i rifiuti radioattivi?”. Al contrario di quanto si pensi, i rifiuti radioattivi non sono solo quelli legati alle scorie nucleari, ma esistono varie tipologie. Un rifiuto radioattivo, innanzitutto, è “qualsiasi materia radioattiva, ancorché contenuta in apparecchiature o dispositivi in genere, di cui non è previsto il riciclo o la riutilizzazione” (Art. 4 D.Lgs. 230/95 e smi).


Questi rifiuti, emettendo radioattività, devono necessariamente essere gestiti in modo adeguato per evitare rischi per l’uomo e per l’ambiente.

Esistono diverse categorie di rifiuti radioattivi, alle quali corrispondono diverse modalità di gestione a seconda della concentrazione di radionuclidi e del tempo in cui decade la radioattività. In particolare abbiamo:

  • Rifiuti a bassa attività, che varia da pochi mesi a pochi anni (77,7 %).
  • Rifiuti a media attività, che dura alcune decine di anni (17 %).
  • Rifiuti emettitori alfa, che possono essere sia a bassa che a media attività, ma che hanno una vita di alcune decine di migliaia i anni (5%).
  • Rifiuti ad alta attività, ovvero le ceneri e le scorie nucleari di combustione e fissione (0,3 %).

Chi produce in Italia questi rifiuti?

I materiali radioattivi vengono largamente impiegati nel settore sanitario. Una parte dei rifiuti prodotti da queste attività viene collocata inizialmente in depositi temporanei e successivamente viene smaltita nelle normali discariche poiché non rappresenta più un rischio dal punto di vista radiologico (rifiuti ad attività molto bassa). Un’altra parte invece necessita di un condizionamento più accurato e ha bisogno di essere collocata in un luogo apposito.

Diverse attività industriali e laboratori di ricerca si servono di sorgenti radioattive per verificare le saldature, per ricercare difetti in componenti meccanici, per sterilizzare alimenti e molto altro. Anche in questo caso vengono prodotti rifiuti a bassa e media attività, che hanno comunque bisogno di essere trattati con cautela e di essere smaltiti correttamente in un apposito sito.

CISAM (San Piero a Grado, Pisa).

Altri rifiuti radioattivi derivano dallo smaltimento delle centrali nucleari. La chiusura delle centrali infatti, non ha risolto affatto il problema della gestione dei rifiuti radioattivi e attualmente il 90% di questi si trovano nei rispettivi centri di produzione. Oltre alle centrali nucleari di Trino (VC), Caorso (PC), Latina e Garigliano (CE), abbiamo in Italia altri impianti legati al ciclo del combustibile nucleare. Per esempio, uno di questi è il CISAM e si trova a San Piero a Grado (Pisa). La Marina, in collaborazione con l’Università di Pisa, decise di costruire nel 1961 un reattore nucleare sperimentale per l’impiego dell’energia nucleare nel campo della propulsione navale. Negli anni ‘80 è iniziato il suo smantellamento, che sta arrivando a conclusione proprio in questo periodo.

Attualmente, secondo il Bilancio di Sostenibilità del Gruppo Sogin (2019), non sono presenti nelle quattro centrali e nei cinque impianti nucleari italiani rifiuti ad alta attività, ma abbiamo circa 15 mila metri cubi di rifiuti radioattivi ripartiti tra rifiuti a molto bassa, bassa e media attività. Molti nostri rifiuti ad alta attività sono stati invece collocati e condizionati all’estero con costi esorbitanti.


A che punto è il nostro paese?

Secondo la normativa europea, è stato stabilito che tutti i paesi si sarebbero dovuti dotare di un deposito di smaltimento per i rifiuti a bassa e media attività entro il 2013 e di un deposito geologico di profondità per i rifiuti ad alta attività entro il 2018. Con il decreto legislativo del 15 febbraio 2010 è stata affidata alla Sogin S.p.A. la responsabilità di individuare il luogo adatto a costruire il Deposito Nazionale. La sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli generati dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Attualmente infatti, i rifiuti radioattivi sono collocati in depositi temporanei (dal 1987), soggetti a un forte rischio ambientale e non correttamente gestiti. Un esempio è il Deposito Avogadro a Saluggia, in provincia di Vercelli. Questo si trova a poche centinaia di metri dalla Dora Baltea e dunque è soggetto a forte rischio in caso di alluvione. L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei che non si è ancora dotata del Deposito Nazionale, per questo motivo nei confronti del nostro paese è aperta una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.

Deposito Avogadro (VC) a poche centinaia di metri dalla Dora Baltea.

Cos’è il Deposito Nazionale e come verranno gestiti i rifiuti?

Il progetto per la costruzione del Deposito Nazionale, redatto dalla Sogin S.p.A. prevede una superficie di 110 ettari destinata allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi a bassa e a media attività e a un deposito temporaneo per lo stoccaggio dei rifiuti di alta attività, in attesa della costruzione del deposito geologico di profondità. Avrà un costo di circa 900 milioni di euro, darà lavoro a 4000 persone all’anno per 4 anni di cantiere e a 700 persone una volta entrato in esercizio. Oltre al Deposito Nazionale verrà costruito anche il Parco Tecnologico, su un’area di 40 ettari, che comprenderà edifici in cui si compiranno studi sulla gestione dei rifiuti radioattivi. L’intera opera è già finanziata e la pagheremo con una quota degli oneri speciali sulle bollette elettriche.

All’interno del Deposito Nazionale i rifiuti verranno stoccati in strutture a matrioska. Abbiamo:

1) Prima barriera: costituita da contenitori metallici (manufatti) all’interno dei quali vengono condizionati i rifiuti amalgamandoli con una speciale matrice cementizia.

2) Seconda barriera: i manufatti vengono inseriti e cementati a loro volta in calcestruzzo speciale all’interno di moduli

3) Terza Barriera: I moduli vengono inseriti in celle di cemento armato

4) Una volta riempite, le celle vengono coperte e sigillate da più strati di materiali che prevengono le infiltrazioni d’acqua.

Attraverso un sistema di linee di drenaggio inoltre, sotto ciascuna cella, si assicurerà la raccolta di eventuali infiltrazioni d’acqua. Tutte le strutture sopra citate sono progettate per resistere 350 anni.

Nel Deposito Nazionale saranno sistemati definitivamente e in sicurezza circa 78.000 m3 di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, la cui radioattività decade a valori trascurabili nell’arco di 300 anni. Rispetto al totale di rifiuti, 33.000 m3 sono già stati prodotti, mentre i restanti 45.000 m3verranno prodotti in futuro. Nel sito sarà compreso anche il Complesso Stoccaggio Alta attività (CSA), per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 m3 di rifiuti a media e alta attività.

Infine, il Deposito Nazionale ospiterà esclusivamente i rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese, sulla base del principio, affermato dalle norme vigenti, che ogni Paese ha la responsabilità di gestire i propri rifiuti radioattivi.

La proposta della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee

Il 5 gennaio 2021 è stata pubblicata dalla Sogin S.p.A. la proposta della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI). Questo è un primo passo per l’individuazione del luogo adatto per la realizzazione del Deposito Nazionale. Le aree individuate sono state scelte sulla base di criteri molto stringenti. Vengono considerati i rischi sismico, idrogeologico, vulcanico, carsico, vengono escluse le aree naturali protette, le aree vicine a centri abitati, campi coltivati, siti archeologici o di interesse, i siti vicini a fiumi, ad altezze troppo elevate e molto altro. Un altro criterio importante per la scelta è la facilità con la quale si può raggiungere il sito e dunque la presenza di una sviluppata rete di vie di comunicazione. Sulla CNAPI sono dunque riportati 67 siti, che hanno buone caratteristiche secondo i criteri sopra citati. Di questi, 12 hanno caratteristiche ottimali per ospitare il deposito. Due si trovano in provincia di Torino, cinque in provincia di Alessandria e cinque in provincia di Viterbo. Ci sono poi altre 11 aree leggermente meno favorevoli per la costruzione del Deposito Nazionale, comunque ottime candidate. Tra queste ci sono due aree nella nostra regione, una in provincia di Grosseto e una in provincia di Siena.

Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI). Nella carta sono riportati i 67 in cui potrebbe essere costruito il Deposito Nazionale.

Il caso del sito Pienza-Trequanda (SI)

Pienza e la Val d’Orcia, patrimoni dell’UNESCO

La scelta del sito Pienza-Trequanda in provincia di Siena ha sollevato forti critiche da parte dei sindaci della Val d’Orcia, i quali sostengono che l’area sia patrimonio dell’UNESCO. Pienza e la Val d’Orcia sono due dei sette patrimoni UNESCO toscani. In particolare, la piccola città medioevale è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 1996 per i bellissimi palazzi rinascimentali, tra cui Palazzo Piccolomini del 1459, mentre la Val d’Orcia è stata inserita nella lista nel 2004 per la sua bellezza paesaggistica e per la presenza di piccoli borghi come Montalcino e San Quirico d’Orcia, rinomati in Italia e nel mondo per le eccellenze enogastronomiche. Com’è possibile allora che la Sogin abbia proposto di costruire il Deposito Nazionale in un’area Patrimonio dell’Umanità? In effetti non lo ha fatto, dato che proprio questo aspetto è uno dei criteri di esclusione per la scelta del sito. Se si confronta l’area sotto tutela con la CNAPI si può facilmente verificare che è stata selezionata una zona appena al di fuori dell’area UNESCO, tra Pienza e Trequanda. Un’altra critica mossa da alcuni giornali è l’eccessiva vicinanza del deposito alla piccola cittadina toscana. Dalla relazione, pubblicata sul sito del Deposito Nazionale, si evince che l’area individuata dista 2.8 km da Pienza. Leggendo la procedura applicata per individuare le aree distanti dai centri abitati, si può notare che, per questi ultimi e per i nuclei abitati, viene presa in considerazione la loro estensione e viene moltiplicata per 10. Questa sarà l’area entro cui non si potrà costruire il deposito. Per le aziende agricole e per le case sparse invece sono stati cercati siti che distassero almeno 1 km da esse. Sono criteri troppo rigidi? Sono misure troppo blande? Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per il dibattito. Fatto sta che, geologicamente parlando, la posizione del sito sarebbe davvero buona per la costruzione del deposito.

Conclusioni e sviluppi futuri

La pubblicazione della CNAPI ha scatenato forti polemiche sui social, da parte dell’opinione pubblica e nel mondo della politica. Molti presidenti di regione, tra cui Eugenio Giani, hanno dichiarato con forza di non volere sul proprio territorio il Deposito Nazionale. Il problema è che in Italia non è mai possibile muovere un dito perché la protezione del territorio e delle bellezze architettoniche viene sempre prima di tutto. Il punto però è proprio questo. Non possiamo lasciare i rifiuti radioattivi nelle attuali sedi che, come abbiamo visto per il caso del deposito Avogadro nel vercellese, si trovano in condizioni molto rischiose per l’ambiente stesso. In questi luoghi è molto più facile che si verifichino sversamenti e disastri ambientali, come è già successo in passato in alcune centrali nucleari italiane. Al contrario, l’ambiente e il territorio beneficeranno enormemente dalla costruzione del deposito poiché i rifiuti e l’area saranno costantemente monitorati. Sarà fatta sorveglianza attiva durante tutte le fasi di vita del deposito e, anche dopo la sua chiusura, si provvederà al controllo dell’area attraverso continue analisi ambientali. Per questo motivo è assolutamente necessario sbloccare l’attuale immobilismo e mettersi all’opera. Come ho esposto sopra, la gestione dei rifiuti sarà molto sicura e la popolazione sarà adeguatamente protetta. Per fare un esempio concreto, vale la pena ricordare che la radiazione che si assorbe su un normale volo di linea è maggiore rispetto a quella che sarebbe rilasciata dal deposito.

Al contrario di quello che gridano molti presidenti di regione, come per esempio il presidente del Piemonte Cirio, la CNAPI non è una decisione imposta dall’alto da questo governo e decisa da un giorno all’altro. Il progetto è iniziato nel 2003, è proseguito nel 2010 con la stesura del decreto-legge e durerà ancora molti anni. Inoltre, i politici che continuano a sostenere di non essere stati contattati nella stesura della CNAPI, molto probabilmente non sono a conoscenza dell’iter necessario alla scelta del sito che ospiterà il Deposito Nazionale. La CNAPI infatti non è la versione definitiva ma è solo una proposta. Gli esperti del settore hanno redatto questa carta proprio con l’intento di chiedere pareri all’opinione pubblica e alle varie istituzioni dei territori interessati. Nei prossimi 60 giorni verranno consultate le autorità politiche, gli scienziati, le università e l’opinione pubblica. Al termine di questa scadenza, verrà organizzato un seminario nazionale per dibattere sul tema e verrà aggiornata la CNAPI con i suggerimenti ricevuti. Solo a questo punto verrà redatta la CNAI ovvero la Carta Nazionale delle Aree Idonee, che sarà la versione definitiva. Dalla sua pubblicazione si inizierà a chiedere ai comuni interessati di farsi avanti e, per essere incentivati ad ospitare il Deposito Nazionale, verranno offerti dei fondi per lo sviluppo del loro territorio. Questi sono solo i primi passi per la realizzazione del deposito e la strada è ancora molto lunga.

In ogni caso è proprio questo il momento di discutere! Il dibattito però non deve essere strumentalizzato per fini politici né deve essere fatto con pregiudizio. Oggigiorno in Italia la politica, la bassa qualità di un certo giornalismo e un errato utilizzo dei social condizionano oltremodo l’opinione pubblica. Speriamo che, almeno stavolta, prevalgano nella discussione la conoscenza e il pensiero critico.

Ulteriori informazioni sull’argomento

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito della Sogin S.p.A. (https://www.sogin.it/it) oppure il sito del Deposito Nazionale (https://www.depositonazionale.it/), dove è reso pubblico l’intero progetto in modo estremamente chiaro e trasparente. Da questo sito sono state tratte molte informazioni per la stesura di questo articolo. In apposite sezioni sono presenti anche la CNAPI, con le 67 relazioni specifiche per ogni sito e i criteri utilizzati dall’azienda per l’individuazione delle aree proposte.

 

 

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Lorenzo Mori

Studente di Scienze e Tecnologie Geologiche all'Università di Pisa. Cerco, nel mio piccolo, di sensibilizzare le altre persone sugli effetti del cambiamento climatico e su alcune possibili soluzioni, curando la rubrica "Qui e ora" sul blog di Uni Info News.

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