Dieci minuti di applausi: così si è conclusa la prima del Macbeth di Giuseppe Verdi con la regia di Dario Argento. Dieci minuti di applausi meritatissimi, tanto per il regista romano quanto per i cantanti e l’orchestra. Questa rappresentazione era molto attesa, come ha dimostrato la grande affluenza di pubblico, e personalmente posso affermare che l’attesa è stata decisamente premiata.
L’allestimento si presenta – come prospettato dal regista – assai poco tradizionale, con una scenografia essenziale ma affascinante: qualche corpo mutilato qua e là, una landa desolata, un paio di tavolini con delle poltrone, questo basta ad Argento per catapultarci nell’atmosfera della Prima Guerra Mondiale, periodo in cui ha voluto ambientare l’opera verdiana. La regia di Argento è estremamente raffinata, anche nelle scene di morte che tanta fama hanno dato al regista: dove ci si sarebbero aspettate urla, raccapriccio ed effetti dozzinali, ci si è trovati di fronte a scene magistralmente costruite, con effetti speciali molto sofisticati. Ad esempio, alla fine a Macbeth viene mozzata la testa con un colpo di spada, con relativo copioso sanguinamento. Non è facile rendere un effetto simile a teatro, perché al cinema la scena la si può provare e riprovare finché non viene come il regista la vuole, in teatro deve essere perfetta al primo tentativo. Così come la morte di Banco, colpito a morte da delle picche che fanno zampillare sangue dal suo petto. Non sono cose da poco, anzi! Ma la scena di morte più bella in assoluto, che ha fatto venire la pelle d’oca a molti, è stata l’omicidio di Re Duncano. La scena è questa: c’è una torretta del castello di Caudore, una porta al pianterreno ed una finestra al primo piano (dove dorme Duncano), Macbeth ha deciso di uccidere il Re, afferra il pugnale e si dirige al piano superiore. Poco dopo Lady Macbeth entra in scena, intonando un tranquillo recitativo… e mentre canta vediamo Macbeth, nel silenzio più assoluto, calare il pugnale sul Re e Duncano, coperto di sangue, colpire il vetro della finestra. Non un grido, non un lamento, il tutto avviene in silenzio. Grandioso. Non ho altre parole per definire questo momento, assolutamente degno di un maestro del thriller come Dario Argento.
Per farla corta, ho davvero apprezzato questa regia innovativa, che in linea di massima ha aderito al testo del librettista Piave. Purtroppo però in alcuni punti non lo ha fatto. E me ne dispiaccio perché si tratta di errori evitabilissimi. Ad esempio, all’inizio dell’Atto I si suppone che le streghe spariscano ad un certo punto, tanto più che lo stesso Macbeth dice “Vanir!“, invece le tre ballerine (il cui trucco ricorda quello delle streghe della Terza Madre di Argento) se ne vanno ma i tre cori di streghe rimangono. Non l’ho trovata una cosa molto sensata. Così come durante l’Atto III, in cui è previsto un calderone in cui le streghe gettano gli ingredienti per una pozione: in scena non c’erano né calderone né ingredienti, ma un braciere in cui le ballerine facevano finta di gettare qualcosa. Scelta opinabile, perché la scena era molto bella a vedersi, ma andava in diretto contrasto con quello che cantavano i tre cori di streghe. Comunque ripeto, a parte qualche evitabile pecca, la regia mi ha decisamente convinto.
Lo stesso vale per i cantanti, in special modo i tre protagonisti: Giuseppe Altomare (Macbeth), Dimitra Theodossiou (Lady Macbeth) e Giorgio Giuseppini (Banco). Oltre ad aver cantato splendidamente – tanto da strappare ben più di un applauso a scena aperta – hanno fornito anche eccellenti prove attoriali e penso che abbiano raggiunto l’obiettivo fissato da Dario Argento: una recitazione asciutta, essenziale, priva di qualsiasi manierismo teatrale. Io personalmente li ringrazio moltissimo per aver seguito fedelmente il testo di Verdi, senza aggiungere indebite puntature ed utilizzando (finalmente!) le cadenze scritte dal Maestro. Troppe volte ho sentito cantanti rivoltare le parti a loro piacimento, sono molto contento che abbiano deciso di rispettare il testo originale. Così come ho molto apprezzato il fatto che il canto non sia stato limpido, con tutte le notine al loro posto, ma un po’ ruvido, sporco, perché è il modo corretto di interpretare quest’opera: non sarebbe il massimo se Macbeth cantasse in stile mozariano dopo aver squartato il Re. Cionondimeno, il canto non ha inficiato minimamente sulla percezione del testo, perché si capiva tutto perfettamente, senza alcun bisogno di leggere i sottotitoli. Non è facile rendere il canto “sporco” e mantenere limpida l’emissione delle parole. Però questi tre signori ci sono egregiamente riusciti. In particolare Dimitra Theodossiou è stata efficacissima nel ruolo della perfida Lady Macbeth, soprattutto nei momenti in cui ha suggerito al marito le azioni più terribili quasi sorridendo. Giorgio Giuseppini ci ha regalato una memorabile interpretazione di Banco, sfoderando un’estrema duttilità vocale unita ad un’ottima sensibilità interpretativa, culminando in un meraviglioso e dolente Come dal ciel precipita. Infine, ultimo ma non ultimo, Giuseppe Altomare. Il ruolo di Macbeth non è semplice, né per l’interpretazione né per la resistenza (è un ruolo molto lungo visto che è quasi sempre in scena), ma Altomare ha mostrato di padroneggiare completamente questo personaggio e di comprenderne la notevole complessità psicologica, rendendolo ora spavaldo, ora timoroso, ora sanguinario, ora dolente. Mi ha fatto venire – letteralmente – la pelle d’oca il modo in cui ha pronunciato l’ultima frase prima di assassinare Duncano: “È deciso. Quel bronzo, ecco, m’invita! Non udirlo, Duncano! È squillo eterno che nel cielo ti chiama o nell’inferno!“. È sorprendente che lo stesso cantante riesca a dare interpretazioni tanto diverse all’interno della stessa rappresentazione: se inizialmente il suo Macbeth è stato quasi luciferino, alla fine si è trasformato in un uomo distrutto e alla deriva quando ha intonato, in modo piuttosto commovente, il celebre “Pietà, rispetto, amore“.
Anche l’Orchestra Festival Pucciniano ha dato un ottimo apporto alla rappresentazione. All’inizio dell’Atto I ci sono tate qualche incertezza e qualche sbavatura (imputabili forse al direttore Simon Krečič), che però non hanno pregiudicato assolutamente lo spettacolo e si sono limitate – pressappoco – alla prima metà dell’Atto I.
Critiche più severe vanno rivolte proprio a Simon Krečič, che ha operato deprecabili tagli al testo di Verdi. I direttori che tagliano suscitano in me astio e sarei quantomeno curioso di sapere perché è stato deciso di eseguire a metà la seconda aria di Lady Macbeth (Or tutti sorgete, ministri infernali) invece che nella sua interezza, così come vorrei sapere perché è stato tagliato un pezzo della marcia che segnala l’arrivo di Re Duncano e perché non è stato affatto eseguito il coro Ondine e Silfidi dell’Atto III. Sono tagli di cui non percepisco la motivazione. Se la partitura è scritta in un modo, la si esegua in quel modo. Non importa se a nostro gusto sia bella o brutta o troppo lunga, così è scritto e così dev’essere fatto, non ci sono motivazioni che tengano. Per il resto la direzione di Krečič ha fatto il suo dovere: pulita, senza troppi fronzoli ma neanche troppo ispirata. Avrei preferito un suono orchestrale più deciso: è il Macbeth, si parla di streghe, apparizioni spettrali e sanguinosi omicidi. Se non le troviamo qua delle sonorità dure…
Ad ogni modo trovo che la rappresentazione sia riuscitissima e spero che gli spettatori accorrano numerosi anche domani pomeriggio, perché è assolutamente uno spettacolo che merita e lo promuovo a pieni voti.
Nella gallery qui sotto potete vedere alcune foto (non scattate da me) dello spettacolo e del backstage di Novara e Pisa, mentre cliccando QUI potete vedere un brevissimo trailer dello spettacolo.
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