Giorno X di quarantena. Difatti per me è iniziata molto tempo prima visto che di amici con cui prendere una birra il sabato sera posso contarne su una mano se va bene.
Per assurdo che sia con il Covid sono riuscito ad uscire più di prima e senza violare alcun decreto.
Sono un soccorritore, uno dei tanti in Italia.
Cercherò di raccontare il mio vissuto senza l’obiettivo di vendere la mia opinione in merito.
A fine Febbraio iniziai a pensare già a cosa avrebbe portato una possibile pandemia in Italia, partendo dalla consapevolezza di aver visto diverse volte il pronto soccorso quasi saturo in condizioni di normalità, figuriamoci con una situazione straordinaria.
I primi servizi con il Covid erano inaspettati, le informazioni che la centrale operativa del 118 dava non ci permettevano di capire che, nell’intervento, ci saremmo esposti ad un paziente potenzialmente positivo. Ho dovuto attendere, in un paio di occasioni, il responso del tampone fatto al paziente senza sapere se sarebbe toccato a me. Non c’erano le Covid Unit. Non ancora almeno.
Verso metà marzo è stata dichiarata la pandemia su scala nazionale e sono state attivate delle ambulanze destinate ai casi con sintomatologia compatibile col virus.
Con il peggiorarsi della situazione, sono diminuiti i volontari disponibili e il lavoro è aumentato, da un turno settimanale sono passato a 3-5 a settimana e assieme a loro è arrivata anche la Charlie Victor, il turno di dodici ore dell’unità Covid. In pratica stessa attività del 118, solo dedicata a casi di Coronavirus.
Sono passato in mezzo a macerie, fango e sangue; ho anche io qualche volto che torna a trovarmi certe volte. Non sono un novellino alla prima uscita sulla “meat wagon”. La Charlie però ti mette davanti ad una realtà diversa. Molto diversa.
A Bergamo e in Lombardia le cose iniziavano ad andare di merda. Quello di cui avevo il timore è che le strutture collassassero e che si arrivasse a dover triagiare le persone fuori dagli ospedali decidendo chi curare e chi no.
A questo ci siamo andati molto vicino.
Com’è lavorare con i pazienti Covid? Uguale a tutti gli altri. Il problema è la carica emotiva dell’intervento che non è dei più leggeri.
Vi faccio un esempio:
Immaginatevi di avere i vostri sintomi, di non stare bene e che i vostri cari non possano accompagnarvi in ospedale, come salutereste la vostra famiglia se la possibilità di non rivederli più fosse concreta?
Immaginate la pesantezza di dover entrare nell’intimità familiare di qualcuno e di assistere ad abbracci in lacrime, a bambini nascosti sotto il letto, a familiari che chiedono di venire e ai quali devi dire di no. No, perché non è più consentito. Le stesse persone che ti lasciano il loro numero e ti chiedono di contattarli per avere informazioni e ai pazienti che durante il tragitto ti chiedono di andare più piano perché vogliono “vedere la strada di casa, perché non la rivedo più”.
Immaginate di doverlo fare tre,quattro, sei volte in dodici ore.
Nonostante abbia imparato a filtrare le emozioni,resto sempre un essere umano e alla fine rimani colpito lo stesso da ciò che vedi.
C’è un altro fattore critico: l’equipaggiamento.
A due settimane dalla pandemia siamo al limite delle scorte di camici e mascherine; i calzari più delle volte sono fatti con i sacchi della spazzatura perché sono quasi introvabili.
Le tute sono spesso della misura sbagliata o sono corte.
Altro esempio: Durante un TSO con paziente positivo, un poliziotto si sfogò con me dicendomi che non avevano mascherine per il turno successivo perché a bordo ce n’era una soltanto per il loro turno. Prima di andare via ne avano “trovate” quattro.
La prima notte di servizio sulla Charlie mi sono trovato a guidare per sette ore dopo una giornata di lavoro. Neache il tempo di un caffè.
Per rimanere sveglio dovevo pizzicarmi ogni due-tre secondi la coscia in modo da non chiudere gli occhi. Lasciamo l’ultimo paziente alle 6, a due ore dalla fine del turno.
Il viso, le orecchie e la testa ti fanno un male cane a causa della FFP2 e degli occhialini che sembra quasi ti taglino la pelle. Con quelle le orecchie perdono sensibilità dopo poco e resta solo una stretta pungente sui lobi.
Le tute si spaccano con niente, non sono adatte all’uso che ne dobbiamo fare noi; le cerniere della divisa le rompono facilmente e spesso ti ritrovi ad averla appena indossata che già ha uno squarcio da rattoppare con il nastro.
Ho adottato il metodo del doppio check prima di montare in ambulanza e prima di entrare a contatto col paziente ed è capitato spesso di chiudere all’ultimo momento un taglio non visto prima.
Lavoriamo così, sperando che la tuta non si rompa e che se succede si riesca a vedere la falla in tempo.
I turni si susseguono tra casa,lavoro e servizi. Dalla terza settimana di aprile, però, le cose iniziano a funzionare come dovrebbe essere sempre.
La fortuna è che nella mia provincia non ci siano tanti contagi e le uscite sulla Charlie diminuiscono pian piano.
Ciò che temo è che con la Fase 2 il numero di contagi giornalieri torni a salire e che questo incubo non finisca più, con altri morti, con un dispendio di energie e risorse reso totalmente vano.
Vi prego non rendete vani questi mesi di sacrifici per tutti.
Alcuni mi hanno chiesto se non abbia paura. La verità è che per me è l’unica via da seguire è quella di mettermi in gioco, per il Paese e per tutti coloro che ho accanto.
Se lo fanno in ospedale, sulle volanti, sulle autobotti tutti i giorni posso farlo anche io.
Faccio parte di una categoria che ha scelto di esserci a 365 giorni l’anno, adesso come mai. Tirarsi indietro è stato da subito fuori discussione.
Sì, all’inizio c’è stata l’incertezza, ma come ho spiegato ai miei cari se ci tiriamo indietro tutti le ambulanze non escono più e questo per me è inaccettabile. Il mio posto è esattamente dove sono.
Sento di avere la responsabilità morale di esserci, al di là di cosa potrebbe succedere. Rischiavamo già nella normalità, adesso c’è solo un fattore in più da considerare.
Non mi reputo un eroe, mai voluto esserlo sinceramente parlando.
Sono una persona comune che ha fatto una scelta coerente con se stessa.
Mi piace pensare, da bravo romantico, di riuscire a dare senso concreto a quelle parole che nei tempi del liceo mi segnai su un taccuino e sulle quali ho rimuginato molte volte.
Stiamo riscoprendo un valore che sembrava ormai perso, la solidarietà e da ogni difficoltà in qualche maniera ne uscirà una nazione nuova e spero migliore.
A voi tutti il mio augurio per il meglio.
“E quell’orror che primo
contra l’empia natura
strinse i mortali in social catena”