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Crisi Ucraina: le nostre opinioni

La guerra bussa alle porte dell’Europa: la crisi in Ucraina ci riguarda direttamente, mettendo in discussione l’equilibrio geopolitico fra USA, Russia ed Europa. Luigi Ferrieri Caputi, Marco D’Alonzo, Lamberto Frontera, Giulio Profeta e Giovanni Sofia ci hanno dato il loro contributo. Cinque spunti per approfondire la questione, oltre le apparenze e la retorica delle parti.

 

Il ritorno della Storia

La crisi in Ucraina ha definitivamente messo in soffitta 30 anni di illusione postmoderna: la fine della storia di Fukuyama è stata sconfessata dal suo stesso teorizzatore, che ha dichiarato di aver sottovalutato la debolezza dei paesi occidentali”.

Nel nuovo ordine mondiale, la cortina di ferro non esiste più e il limes europeo non è più centrale nei piani statunitensi, come esplicitato da Trump e dal patto Aukus sottoscritto dall’amministrazione Biden, in continuità col predecessore. La storia non è finita e le guerre saranno sempre possibili, finché esisteranno gli stati e la loro più o meno legittima volontà di potenza e autoconservazione.

L’Europa è giunta a un bivio: o scende dal piedistallo della post-storia, dotandosi di un esercito comune che possa competere con quello delle altre potenze mondiali, di una politica estera comune, di una politica energetica comune e, in definitiva, di una vera politica economica comune basata anche sulla redistribuzione fra gli stati, oppure soccomberà. Gradualmente magari, ma inesorabilmente. E con essa, anche l’importanza, le ambizioni e la sicurezza dei singoli stati, che saranno chiamati ad un ridimensionamento anche in termini di qualità della vita.

Qui o si fa l’Europa, quella vera, o si muore.

Giovanni Sofia

La decisione di Putin avrà conseguenze nefaste per la Russia. Mossa della disperazione?

La decisione di Vladimir Putin di procedere unilateralmente al riconoscimento delle repubbliche separatiste filorusse del Donbass e del Luhansk, conferendo un’investitura formale a un disconoscimento dell’integrità territoriale ucraina già in corso de facto dal 2014, nonché di inviare reparti militari nei loro territori, ufficialmente allo scopo di garantire la pace, ma, più verosimilmente, nella prospettiva di un conflitto armato con l’Ucraina dalle proporzioni ancora incerte, sulla falsariga di quanto avvenuto in Georgia nel 2008, desta non poche perplessità.

L’inevitabile pioggia di sanzioni economiche a cui la Russia andrà incontro, dal blocco della costruzione del gasdotto North Stream all’esclusione delle proprie imprese dal sistema internazionale dei pagamenti (il cosiddetto Swift), per non parlare dell’altrettanto inevitabile isolamento internazionale che conseguirebbe a uno scontro e della consequenziale declassazione di Mosca a vassalla di Pechino, costituirebbero, anche in caso di vittoria sul campo, il salatissimo e irrimediabile prezzo da pagare per vantaggi strategici sproporzionatamente inferiori.

È da escludere, infatti, un ritorno, in Ucraina, allo status quo ante 2014, stante il fortissimo sentimento nazionalista, filoeuropeo e antirusso che anima tutta la parte occidentale del Paese, mentre l’eventuale raggiungimento di obiettivi di secondo piano, come la ventilata occupazione della regione intorno alla città portuale di Mariupol, non compenserebbe neppure in minima parte il danno arrecato all’intero sistema economico-sociale russo dalle sanzioni dell’Occidente.

L’impressione di chi scrive è che, intorno al Presidente russo, l’aria inizi a farsi malsana e che l’escalation di tensione delle ultime settimane costituisca un tentativo, ai limiti della disperazione, di guadagnare sostegno e popolarità in casa propria, in una preoccupante analogia con la giunta militare argentina nel 1982.

Marco D’Alonzo

Il velo di maya è stato strappato: l’Europa ha bisogno della NATO

Se qualcuno si chiedeva che scopo avesse ancora oggi la NATO, ha trovato una risposta. La Russia ha mosso guerra in Europa, nel più totale disprezzo del Diritto internazionale, invadendo un paese di cui non riconosce neanche la sovranità (Putin ha dichiarato che l’Ucraina “non è un paese autonomo”) e dopo che per anni ha condotto violente operazioni militari clandestine nel paese. Tutto ciò, al culmine di una politica estera così aggressiva da aver reso la minaccia russa, forse, persino più grave di quella che un tempo fu sovietica.

Di fronte a questo scenario, la risposta europea è stata caratterizzata, ancora una volta, da inconsistenza e disomogeneità. La capacità di reagire minata da quella profonda debolezza intrinseca, nonché sintomo di mancanza di lungimiranza strategica, che è la dipendenza dal gas russo, sostenuta nella fallace speranza che l’interdipendenza con la Russia avrebbe potuto frenare le sue mire espansionistiche (nonostante gli americani ci avessero avvertito del contrario fin dagli anni Ottanta).

Con questa crisi, tramonta quell’illusione velleitaria che i paesi europei, da soli, pure attraverso l’integrazione europea, fossero in grado di gestire la propria sicurezza, di difendersi da soli, contrapponendosi alla volontà di Mosca. Ma mentre nel vecchio continente si minimizzava la minaccia, per tenere vivo quel mercantilismo antipolitico ed antistorico di cui l’Europa va tanto orgogliosa, era da molto tempo che l’intelligence americana diramava chiari rapporti sulle intenzioni russe. Domani, se gli ucraini sapranno difendersi, sarà soltanto grazie al sostegno che Washington ha fornito al governo di Kiev. Se i cittadini delle altre democrazie dell’Europa orientale possono ritenersi più al sicuro degli ucraini, sarà soltanto grazie all’appartenenza al sistema di difesa collettiva della NATO.

Se gli Stati Uniti, attraverso l’azione di Biden, hanno dimostrato di non voler tradire gli impegni assunti in Europa e di ritenere ancora centrale la sicurezza del vecchio continente, adesso, sta a noi europei abbandonare ogni possibile ambiguità e rafforzare quel rapporto transatlantico da cui non si può prescindere per la nostra sicurezza ed il nostro futuro.

Lamberto Frontera

L’illusione della pace ci ha dato la guerra

La tragedia che stiamo vivendo in Ucraina è strettamente legata all’illusione liberale che ha accompagnato l’Occidente dopo la caduta della cortina di ferro: la storia è finita, la guerra non esiste più, la pace è vinta. Oggi sentiamo in continuazione frasi come “sta per scoppiare una guerra” (nonostante il conflitto sia già iniziato 8 anni fa), non è possibile che “nel 2022 si faccia ancora la guerra” – nonostante i numerosi conflitti presenti ancora tutt’oggi in moltissime parti del mondo. Nonostante gli allarmi dei servizi segreti, nonostante le foto satellitari, nonostante centinaia di migliaia di soldati russi in posizione di combattimento “la guerra non è possibile” e chi la riteneva tale “allarmista”.

Le élites europee hanno creduto che attraverso l’interdipendenza economica i buoni rapporti con la Russia sarebbero divenuti una realtà sempre più concreta, che la democrazia naturalmente si sarebbe espansa e che magari, un giorno, Mosca avrebbe preso il suo posto all’interno del Consiglio.

La Difesa del vecchio continente non può prescindere dall’Alleanza con gli Stati Uniti. L’Europa ha scelto di dipendere da un nemico strategico pensando che la nozione di nemico appartenesse alla storia e che essa fosse si conclusa. Ha creduto che la politica di potenza fosse ormai seppellita e che il mondo stesse viaggiando verso “una nuova era di pace”.

Un’Europa sovrana si dimostra, al momento, inesistente – purtroppo – e incapace di difendere i propri interessi. Un’Europa con una propria autonomia energetica e in materia di politica estera (il che presuppone una deterrenza nucleare propria, che a oggi solo i Francesi hanno) dovrà essere in grado di superare i postumi della caduta del muro di Berlino, mettendo da parte teorie che la storia ha più volte dimostrato false. Alleati sì, ma sovrani.

Luigi Ferrieri Caputi

La consunzione della Pax Occidentale degli anni Novanta

Il crollo dell’Unione Sovietica negli anni Novanta, l’Impero del Male secondo Reagan e buona parte dei governanti occidentali dell’epoca, ci aveva consegnato un mondo egemonizzato dalla guida Statunitense, che tramite la nascente globalizzazione si stava per propagare in ogni angolo del pianeta.

Erano gli anni dei Mcdonald in ogni dove e del mito dei diritti individuali, la fine della storia, per usare la celebre espressione di Fukuyama.

La crisi Ucraina ci riporta alla realtà, una realtà fecondata a lungo da una serie di errori occidentali che affondano proprio in questa illusoria presunzione di poter rimanere per sempre alla guida del mondo.

In primo luogo, lo sfarinamento del tessuto sociale occidentale.
Oggi tanto l’Europa, quanto gli Stati Uniti si mostrano lacerati al loro interno, nel cuore pulsante delle loro istituzioni, da scontri e divisioni: se gli anni Novanta era quel periodo in cui le elezioni si vincevano al centro, oggi le consultazioni sembrano un gioco alla lotteria, dove non necessariamente polarizzare risulta essere una scelta sconveniente (vi siete già dimenticati di Trump?)

Economicamente, inoltre, il blocco occidentale appare incancrenito a difesa di un sistema neo-mercantilista, il neo-liberismo, che oramai ogni giorno di più mostra i suoi limiti. Crescita economica sganciata da redistribuzione, impoverimento dei servizi sociali e crescita dell’ignoranza sono solo alcuni dei costi sociali che stiamo sopportando per mantenere un impianto a tutela di pochi (e per lo più anziani), a scapito di molti.

È, tuttavia, sul piano politico che la crisi Ucraina sta dispiegando i suoi effetti più pericolosi. La fine della storia ci aveva cresciuto con la convinzione che non esistesse alternativa alla democrazia neo-liberista occidentale (ricordate la Thatcher?). Ebbene, ad oggi non solo non è più così, ma la stessa democrazia si pone in ritirata come modello istituzionale nel mondo. L’ascesa fulminea del dragone cinese, che nel giro di vent’anni è divenuto quasi prima potenza economica nel mondo, si è accompagnata alla precisa volontà di Pechino di preservare le peculiari logiche marxiste al governo: il socialismo cinese è, non a caso, definito come “socialismo con caratteristiche cinesi”, in contrapposizione a quella democrazia liberale (da loro definita nei termini di falsa democrazia)occidentale. Questo mutamento politico ha rinvigorito un campo piuttosto vasto ed eterogeneo di Paesi sotto la comune insegna dell’avversione all’Occidente, in un’alleanza occasionale e opportunistica che sta mettendo in netta difficoltà le cancellerie europee e americane.

Certo, c’è ancora uno spazio politico per correggere la rotta e, d’altronde, l’Occidente ha spesso rivelato una resilienza senza pari nella storia del mondo. Occorre, però, attuare una serie di riforme incisive e radicali per poter affrontare le sfide odierne e, sinceramente, c’è da chiedersi se la nostra classe dirigente sia pronta a farlo.

Giulio Profeta

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