Domenica 16 marzo 2014 è stato votato, in Crimea, un referendum per chiedere la secessione dall’Ucraina e l’annessione alla Russia. Il risultato è stato schiacciante: con oltre il 75% di affluenza, il 97% dei votanti si è espresso a favore del quesito proposto. Appena i risultati sono stati resi noti, la tensione ha pervaso gli ambienti diplomatici internazionali: dubbi sulla legittimità costituzionale del voto, su pressioni militari e simili. In particolare, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno subito provato a dimostrare la non validità del referendum (invito a leggere l’articolo “Guerra di Crimea 2.0” per capire gli interessi in gioco), ma siamo sicuri che i sospetti siano fondati? Per quanto concerne la legittimità costituzionale, in effetti, i dubbi si possono considerare leciti: la Costituzione ucraina stabilisce che, nel caso di un’elezione referendaria che riguardi la secessione di una regione nazionale, tale referendum si deve svolgere in tutto lo stato e non solamente nella regione interessata, come è successo in questo caso (infatti le consultazioni si sono svolte solo in Crimea). Altrettanto non si può dire a proposito delle voci ventilate dalla Casa Bianca, per cui il voto si sarebbe svolto sotto la pressione dei militari russi che stanno occupando la zona: innanzitutto bisogna considerare che, avendo votato il 75% degli aventi diritto e avendo questi espresso, per ben il 97%, voto favorevole, è possibile dedurre che, in linea di massima, se l’affluenza fosse stata totale, il “sì” avrebbe vinto comunque col 70% dei consensi. Sarebbe, quindi, inverosimile asserire che le minacce dei militari avrebbero potuto falsare il voto in maniera così radicale, dal momento che è anche risaputo che la popolazione della Crimea è sempre stata filorussa. Inoltre, testimoni attendibili, ovvero alcuni eurodeputati italiani presenti durante le consultazioni, hanno spiegato che in realtà la situazione era molto tranquilla, a parte alcune manifestazioni spontanee di gruppi filorussi, che si sono formate verso la chiusura dei seggi (e che probabilmente non si sarebbero formate se il voto fosse stato pilotato).
Ciò che è davvero preoccupante è che, a prescindere dagli interessi dei vari stati e dell’incostituzionalità del referendum, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, cultori ed “esportatori” di democrazia, si vogliano opporre ad una scelta popolare, nonostante sia pur vero che anche la Russia ha i suoi interessi in gioco. Infine, è importante la posizione dell’UE (Italia compresa) che si trova divisa tra l’alleanza con gli americani e le minacce di Putin di interrompere i rifornimenti di gas in Europa. Questa situazione potrebbe causare dei gravi squilibri diplomatici.
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