21 Novembre 2024

Si sente spesso parlare del Concordato, dell’8xmille e della necessità di abolirli o modificarli, ma al di là dei luoghi comuni e dei pregiudizi, perché ciò non è mai avvenuto? Le motivazioni si trovano nell’importanza del ruolo sociale (ed economico) ricoperto dalla Chiesa nella società italiana. In questo articolo cerchiamo di analizzare e fare chiarezza sulla situazione servendoci anche dei dati.

La disputa sul DDL Zan, in cui per la prima volta la Santa Sede ha impugnato il Concordato per una legge ancora al vaglio del Parlamento, ha riportato al centro l’annosa questione del Concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica. I Patti Lateranensi del 1929 sono un accordo bilaterale che ha sistemato la disputa tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, cominciata dalla breccia di Porta Pia del 1870, quando invadendo Roma vennero requisiti alla Chiesa i beni immobiliari che oggi sono i palazzi del nostro governo. Il Concordato è stato successivamente revisionato dal Governo Craxi e la Santa Sede nel 1984, con l’Accordo di Villa Madama, che ha dato al Concordato la forma che abbiamo oggi, rendendolo un testo composto di ben 14 articoli, recepito dall’articolo 7 della nostra Costituzione e modificabile soltanto per volontà e accettazione di ambo le parti.

La laicità dello stato

Questo articolo non vuole parlare del DDL Zan, ma di fronte a quanto emerso nel dibattito pubblico di questi giorni, vuole addentrarsi nello spiegare l’esistenza e l’importanza del Concordato, e soprattutto di uno dei suoi punti più dibattuti, cioè l’8xmille. Prima di entrare nel merito, serve operare una breve digressione sul concetto di laicità dello stato. Nella nostra Costituzione non è mai usato il termine “laico” in riferimento all’Italia, ma ad esplicare il termine laicità dandogli un valore chiaro alla luce della Costituzione è stata la sentenza della Corte Costituzionale numero 203 del 12 aprile 1989, sentenza in cui  la Corte Costituzionale ha sottolineato che il principio supremo di laicità dello Stato “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale“.
A questo proposito il 24 giugno ha scritto l’ANSA a commento della sentenza che “non è quindi – è stato sottolineato dai giuristi – una laicità che restringe l’ambito religioso in una sfera individuale della coscienza destinata a non proiettarsi oltre; né una laicità che – sul modello francese – implichi indifferenza dello Stato nei confronti delle religioni. Al contrario, una laicità fondata sulla garanzia di neutralità dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale, con piena legittimazione alla proiezione nella dinamica sociale. Nella linea definita dalla Corte Costituzionale il principio di laicità dello Stato, in definitiva, distingue Stato e Chiesa, politica e religione, ma non li rende antagonisti. Separa le rispettive aree di competenza, ma non rende incomunicanti i due ambiti: la sfera spirituale e religiosa resta distinta da quella temporale e civile, ma tra i due ambiti resta ineliminabile una osmosi di valori culturali e di aspirazioni ideali che attraversano sia la comunità civile, sia la comunità religiosa.
In sostanza, semplificando in attinenza alla questione degli ultimi giorni, in uno stato laico è lecito che il Vaticano si pronunci su questioni sociali e politiche, influenzando le coscienze di elettori e politici cattolici, quel che non è lecito è che sia il Vaticano a scrivere le leggi italiane o a pretendere di avere un potere diretto di modifica. Se guardiamo bene è proprio a questa sentenza che si è ispirato il Presidente del Consiglio Mario Draghi nella sua risposta in Parlamento.


Un’Italia senza l’8xmille è un paese migliore?

Chiarito questo concetto fondamentale, è necessario addentrarsi in uno dei punti più rilevanti (e criticati) del testo del 1984, cioè quello relativo all’istituzione dell’8xmille. Non tutti sanno che l’8xmille è stato istituito come uno strumento che è andato a sostituire i proventi diretti che lo Stato Italiano erogava alla Santa Sede a titolo di risarcimento per i beni ad essa espropriati, ma non è tutto, perché un’altra notizia che non tutti sanno è che è possibile scegliere a chi destinare l’8xmille della propria IRPEF, se allo Stato o ad atre confessioni religiose, e così ad oggi, pur restando la Chiesa Cattolica il maggiore beneficiario, anche le altre religioni non sono esenti da questo sostentamento. Tuttavia, cogliendo l’occasione del dibattito di questi giorni, a proposito di povertà, coesione sociale, e dell’8xmille in questa breve dissertazione verranno offerti una serie di dati su cui riflettere rispetto all’importanza dell’8xmille:

– Riguardo al sostegno alla povertà offerto dallo Stato, a dicembre 2020 erano 2,8 milioni le persone beneficiarie del reddito di cittadinanza.

Caritas, 2020: aiutate 1,9 milioni di persone con 6.780 servizi grazie a 93.000 volontari. Nel corso di più un anno di pandemia si sono rivolti alla Caritas 453.731 nuovi poveri.

– Come si finanzia Caritas? Attraverso l’8xmille, 5xmille, donazioni, eventi propri. Nel 2021 dei 1,13 miliardi relativi all’8xmille sono stati destinati alle opere caritative circa 253 milioni, di cui 150 milioni alle diocesi (fonte: 8xmille, Cei).

A questo punto, vista l’importanza in termini di numeri delle persone che beneficiano dei servizi di Caritas, viene da chiedersi: ma lo Stato potrebbe replicare un simile modello in modo a-confessionale dirottando i fondi dell’8xmille? In teoria sì, ma a patto di trovare 93.000 volontari mossi dallo stesso spirito di servizio, di godere di un gran numero di donazioni e costruire una simile “macchina” di carità. In effetti, se ci pensiamo bene, ad oggi senza Caritas il problema della povertà in Italia sarebbe ben più drammatico, e Caritas non è che la più grande delle tante realtà cattoliche che si occupano di assistenza e sostegno sociale.

Entrando più nel merito dell’8xmille, ai dati appena esposti si devono aggiungere i 70 milioni destinati alla catechesi e all’educazione cristiana, che servono a tenere in piedi gli 8.000 oratori italiani (fonte Ipsos) a cui nel 2018 hanno preso parte 2 milioni di ragazzi e ragazze (fonte: Forum Oratori Italiani), questi offrono una realtà educativa per giovani e giovanissimi, offrendo prospettive di divertimento, ma soprattutto di crescita e di impegno. Da questo conteggio è comunque esente la gran parte dell’associazionismo cattolico laico, che però necessita di strutture di riferimento dove svolgere le attività e parroci come assistenti. Parliamo di associazioni con moltissimi giovani e giovanissimi tesserati, tra cui le due più grandi sono gli scout AGESCI (181 mila) e l’Azione Cattolica (270 mila). I giovani frequentando le associazioni cattoliche vivono percorsi educativi e di servizio verso il prossimo che li accompagnano fino all’età adulta, dove poi possono scegliere a loro volta di diventare educatori.
Proprio riguardo alle strutture, un’altra fonte di sostegno importante sono gli 82 milioni che consentono alle Diocesi la manutenzione delle chiese, molte di queste parte del patrimonio artistico, spesso soggette alla Belle Arti, e che altrimenti cadrebbero in rovina visti i costi esosi di manutenzione. Anche su questo l’articolo 12 del Concordato esprime la necessità di una collaborazione tra Stato e Chiesa alla tutela del patrimonio artistico religioso.
Da notare poi che la spesa maggiore ad oggi rimane quella del sostentamento del clero italiano, che ammonta, sempre nel 2021, a 420 milioni (fonte: 8xmille Cei), la motivazione anche su questo ce la fornisce l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi che “aggiunse senza perifrasi la convinzione che lo sosteneva nel dettare quel comportamento: e cioè che l’Italia, il tessuto e anche la vita democratica del Paese senza la Chiesa e il suo clero non reggevano” (Gennaro Acquaviva, Quello strumento di conciliazione e di solidarietà, L’Osservatore Romano, 14 febbraio 2010).


La Chiesa, le tasse e le scuole private

Sempre relativamente alla questione patrimoniale, ma al di fuori dell’8xmille, a proposito della diatriba fiscale sollevata dal noto esperto di diritto internazionale, canonico e tributario, Fedez, all’articolo 7 del Concordato nei commi 1, 3 e 4 si legge:

1. La Repubblica italiana, richiamandosi al principio enunciato dall’art. 20 della Costituzione, riafferma che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

3. Agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione.

4. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime.”

Inoltre una nota Vaticana, ha specificato che solo la Santa Sede nel 2020 ha pagato per imposte 5,95 milioni di euro per Imu e 2,88 milioni per Ires, senza contare i proventi pagati da tutte le Diocesi nei propri territori di riferimento. Inoltre la Chiesa è tenuta a pagare le tasse sugli affitti che gestisce e sulle attività economiche non a fine di beneficienza o di istruzione. Ad ogni modo rispetto a quanto sostiene Fedez sui presunti 5 miliardi di evasione, Vatican News ha specificato: “In passato, le polemiche furono alimentate perché l’Ici (imposta comunale sugli immobili) prevedeva l’esenzione per gli immobili degli enti senza scopo di lucro, integralmente utilizzati per finalità socialmente rilevanti (per esempio, scuole, mense per i poveri o centri culturali). A tale proposito, è bene chiarire che questo tipo di esenzione non riguarda solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica. Di questa esenzione hanno sempre beneficiato e beneficiano tutte le altre Confessioni religiose, tutti i partiti, tutti i sindacati e tutte le realtà che realizzano le condizioni previste dalla legge. Il ragionamento che giustificava l’esenzione era semplice: i comuni rinunciano all’imposta, perché il vantaggio che la comunità riceve da tali attività è di gran lunga superiore“.

In conclusione, anche considerando le attività educative e caritatevoli religiose e confessionali al pari di una qualsiasi impresa o no-profit, è evidente come, anche solo guardando ai numeri riguardo all’incisività della Chiesa Cattolica nel tessuto sociale italiano, sia difficile togliere certe agevolazioni senza creare danni a tutto il tessuto sociale, o senza sobbarcare lo stato di oneri economici gravosi per far fronte alla coesione sociale e all’emergenza educativa. Se a questo aggiungiamo il peso delle scuole paritarie cattoliche, notiamo che ad oggi ospitano più di mezzo milione di alunni (fonte: Miur 2019), che tolgono dall’edilizia scolastica e dal sistema scolastico pubblico. Così lo Stato Italiano, seppur erogando a queste finanziamenti, può avere un risparmio enorme rispetto al costo che avrebbe una loro eventuale chiusura, visto che ricollocare mezzo milione di alunni in strutture pubbliche e coprirle con nuove assunzioni di personale docente pubblico ad oggi è impossibile per le finanze statali.

Il senso religioso e le sfide della Chiesa in mondo plurale

Alla fine di questo breve percorso è facile notare come le attività economiche, educative e sociali, messe in campo dalla Chiesa, anche a riguardo del proprio patrimonio, non possano essere paragonate, se non con molta superficialità, ad altri tipi di attività economiche e sociali, data l’incisività delle stesse sul tessuto sociale del nostro paese, ieri come oggi. Questo radicamento che spinge i volontari all’impegno verso la società ha un suo fondamento nel senso religioso, cioè nel valore che un cristiano dà alla carità, al servizio e all’impegno verso gli altri. In un mondo che il capitale spinge sempre più verso un individualismo e un consumismo che annichiliscono i valori e le coscienze, il senso religioso non è da intendere come il sacro fuoco che alimenta una mentalità retrogada, ma come una fucina di valori umani e universali che permeano la società rendendola migliore e più solidale nel silenzio del lavoro quotidiano, valori che oltretutto sono a fondamento della nostra Costituzione.
Rispetto ai fondamenti del senso religioso peraltro quello più proprio della confessione cattolica è la libertà di coscienza del singolo di fronte a Dio, libertà che paradossalmente è osteggiata da alcune anime della Chiesa. Da questo come da altro ci rendiamo conto che la Chiesa non è una comunità omogenea, ma composta da diverse sensibilità, diversi problemi e con le sue questioni interne da risolvere, ma d’altra parte come potrebbe un’istituzione bimillenaria come la Chiesa, non esente nella sua storia da errori grossolani e storture, non interrogarsi, confrontarsi e non modificare il proprio rapporto con la società che cambia in un mondo sempre più plurale?

Per dare un’occhiata più nello specifico a come viene speso il resto dei soldi dell’8xmille dalla Chiesa Cattolica potete scaricare qui il rendiconto: https://www.8xmille.it/rendiconto.

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